Il romanzo del GIRO in Irpinia
di Paolo Speranza (Il Mattino, 14.05.2010)
Con il Giro d’Italia l’Irpinia ha un rapporto speciale, un feeling antico e ricambiato. Fin dal 30 maggio del 1914, quando Avellino ospitò per la prima volta il traguardo di una tappa, e l’indomani la partenza, anche in quel caso – come il prossimo 18 maggio – lungo la direttrice Tirreno-Adriatico, con arrivo a Bari. «Auguriamoci che Avellino sappia, con l’abituale ospitalità, squisitamente ricevere gli ospiti sportivi», scriveva alla vigilia il «Don Basilio». E la città rispose alla grande, con un’organizzazione impeccabile (il Comune e la Camera di Commercio raccolsero anche fondi «per offrire un premio della Città al 1° arrivato dei corridori in equipe e al 1° degli isolati») e un abbraccio popolare alla carovana del Giro così caldo e genuino da restare impresso allo staff della «Gazzetta dello sport». Poco importò che a vincere la tappa (la Roma-Avellino di km 365,400) non fosse l’attesissimo Girardengo, già circondato da un’aura leggendaria, bensì l’onesto gregario Ernesto Azzimi, che tagliò il traguardo al Viale dei Platani, alle 16 circa, con ben 35 minuti e 18 secondi di vantaggio sul secondo classificato, Albini. L’ora dei campioni sarebbe scoccata nelle tre edizioni successive, in altrettanti sprint lungo il Corso cittadino, particolarmente adatto ai velocisti. Nel 1927 vinse il più grande di tutti, Alfredo Binda, che si aggiudicò la Napoli-Avellino, di 153,400 chilometri, e il Giro. La corsa tornerà nel capoluogo solo il 19 maggio del ’65, con la volata di Michele Dancelli davanti a Pambianco e poi un grande spettacolo in piazza Matteotti, con l’orchestra Rai di Gorni Kramer e il Quartetto Cetra Nel 1977 fu la volta di un campione del mondo, Freddy Maertens, il quale, bissando l’impresa dell’anno precedente sul circuito iridato di Ostuni, regolò allo sprint Francesco Moser. Ogni volta una festa, ma dove la corsa raggiunse i toni dell’epica fu nelle tappe di montagna: il passo della Serra, l’erta ripida di Ariano, i tornanti di Montevergine, le curve del Laceno si contesero il titolo di «strada più infame del mondo», come la definì nel ’65 la «rosea». Quelle salite, così rare nel Sud, su strade polverose tra schiere di ruspanti tifosi, mettevano a dura prova anche campionissimi come Gino Bartali e Fausto Coppi, che nel ’47 si contesero sulle alture di Ariano Irpino il Gran Premio della Montagna (vinse il corridore toscano, che lasciò la vittoria di tappa, a Bari, a Bernocchi), ma esaltavano l’estro delle «grandi firme». Ad Ariano c’erano tutti gli inviati più illustri (Indro Montanelli, Emilio De Martino, Bruno Roghi e due scrittori affermati, Alfonso Gatto e Vasco Pratolini) e il passaggio in Irpinia ispirò pagine di pura poesia: «Lo strappo di Ariano, leggendario nella storia del Circo, è sembrato un salotto», scrive Pratolini sul «Nuovo Corriere». Su «l’Unità» Gatto fa rivivere il mito: «L’immagine più bella della tappa di oggi resta l’erta selciata che porta ad Ariano: il ”pavè”, tra le case basse, in una luce che fulmina gli uomini anneriti sotto il sole ad aspettare il ”Giro” (…) Lassù a 800 metri ho rivisto per pochi momenti le immagini vecchie e forti dei ”Giri” e dei ”Tours”, ho respirato l’aria della fatica e del massacro». La verde e povera Irpinia come allegoria della purezza e del ritorno agli archetipi costituirà il leit-motiv di tanta letteratura ciclistica successiva, alternando frequenti cadute nel colore («Contadine che montano l’asino alla amazzone, con una maestà regale. Castelli costruiti un po’ in economia, anche in quelle epoche che i feudatari i soldi ce li avevano. Le donne di Montecalvo, piccole, vastissime», scrive nel ’65 Valentini della «Gazzetta»), un genuino moto di sorpresa per siti sconosciuti («Forse non è nemmeno credibile che esistano pesci in questo lago di pura invenzione poetica», dirà del Laceno, nel ’76, Gianni Brera) e, non di rado, una calorosa ammirazione: «Da Maddaloni all’arrivo posto oggi a Lago Laceno, il Giro d’Italia percorre terre d’eccezionale ricchezza, per chiese e vini. Non solo: per panorami, castelli, borghi e, quasi ovunque, ”frutti” (…) Per raccontarti le meraviglie tutte, pietre, cibi e vini di Mercogliano, Avellino ed Atripalda, avrei bisogno di un tomo in quarto, altro che poche righe», si lascia andare nel ’98 Luigi Veronelli, lanciato (a modo suo) sulla scia di Marco Pantani verso la vetta di Bagnoli Irpino, dove il «pirata» arriverà solo quarto. Vince uno straniero, lo svizzero Zuelle, come già nel ’76 (De Vlaeminck) e nel ’62 a Montevergine, quando nella «tappa più cattolica d’Italia», come la definì «Tuttosport», prevalse il fiammingo protestante Armand Desmet. Il vero mattatore, tuttavia, è sempre il popolo d’Irpinia. E il Giro, sottolineava nel ’65 Giuseppe Pisano, contribuisce in misura notevole «alla propaganda delle nostre bellezze naturali e delle nostre potenzialità turistiche»
Il romanzo del GIRO in Irpinia, Paolo Speranza, Il Mattino, 14.05.2010
E’ ancora vivo in molti di noi il ricordo del mitico PANTANI che scalò con “leggerezza” la nostra montagna.