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Studiare è piu utile che mai

09.03.2011, Articoli tratti da “La Stampa”

Studiare è più utile che mai

IRENE TINAGLI

E’ già abbastanza difficile essere giovani e prendere decisioni sul proprio futuro. Lo è ancora di più in contesti in cui si ricevono informazioni confuse, superficiali, o addirittura sbagliate. Questo è, purtroppo, il contesto in cui vivono e devono prendere decisioni i giovani italiani.

Un contesto incapace di guidarli ed informarli adeguatamente: solo così si spiega il significativo calo delle iscrizioni all’Università segnalato dagli ultimi dati Almalaurea.

No, non è la crisi il motivo di tale rinuncia. Normalmente in tempi di crisi si osserva il comportamento opposto: considerata la difficoltà di entrare nel mercato del lavoro molti preferiscono tenersi fuori ed investire in istruzione e competenze per rientrare poi, freschi di formazione, in un mercato del lavoro in ripresa. Ed è, infatti, quello che si è osservato negli Stati Uniti, dove il 2009 ha visto un record storico di diplomati iscritti all’Università (oltre il 70%), un boom che denota una voglia di investire in se stessi in attesa di tempi migliori.

In Italia no. In Italia i giovani non hanno fiducia né nella ripresa né nel valore di investire in se stessi. E non ce l’hanno perché i primi a non avercela sono i loro genitori, i loro maestri e i loro governanti. Tutte quelle persone che ormai da tempo continuano a dire che tanto studiare non serve. Che è meglio essere umili, accontentarsi magari di terminare la scuola dell’obbligo e imparare un mestiere. Un diploma è già abbastanza. Nessuno ha detto a questi giovani che la probabilità di restare disoccupati senza un titolo di studio superiore è il doppio che in presenza di un titolo. Certo, nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione nel primo anno dopo la laurea è aumentato dal 15 al 16%. Ma questo dato è la metà del tasso medio di disoccupazione giovanile in Italia. Senza contare che, comunque, a cinque anni dalla laurea l’80% dei laureati ha un lavoro stabile, mentre chi è senza istruzione tende a cumulare precarietà. E nessuno dice ai giovani che, anche in presenza di un titolo, c’è un’enorme differenza di prospettive tra un diploma e una laurea. Dati Istat indicano che nell’arco della vita lavorativa i laureati hanno un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (77% contro 66%). Non solo, guardando al lungo periodo i laureati hanno retribuzioni che in media sono superiori del 55% rispetto a quelle dei diplomati. Un gap che chiaramente si accumula con il tempo e che si reduce tra i più giovani. Ma anche nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni la retribuzione dei laureati supera del 30% quella dei diplomati. E’ sciocco quindi consigliare ai giovani di non andare all’università perché i salari di ingresso sono analoghi tra laureati e diplomati. Un salario di ingresso dura un anno, ma una vita professionale ne dura minimo 30. E l’effetto dell’istruzione nell’arco di questi 30 anni è enorme.

E’ vero, il mito della laurea che appena conseguita ti garantisce il posto fisso e ben pagato è andato sgretolandosi – in Italia come in molti altri Paesi -, così come è vero che i nostri laureati rispetto ai loro genitori hanno una vita più difficile, ma il valore dell’istruzione resta comunque indiscusso anche per le nuove generazioni. Anzi, in un mondo sempre più qualificato studiare è più necesario che mai. E la vera scommessa per qualsiasi Paese che abbia la voglia e la forza di guardare al futuro non è istigare i giovani a deporre le armi ai primi segnali di incertezza che trovano agli inizi di carriera, ma al contrario adoperarsi ed investire per aiutarli ad orientarsi, per dargli il coraggio di guardare avanti.

Perché se questi ragazzi rinunciano ad investire in se stessi a farne le spese non sarà solo il loro futuro, ma quello di tutti noi. Come pensiamo noi di riqualificare e rilanciare il nostro sistema economico e produttivo con una forza lavoro che anziché qualificarsi si dequalifica? Come pensiamo noi di sopravvivere in un mondo in cui anche la competitività di Paesi emergenti come Cina e India è sempre più trainata da scienza, cultura e tecnologia quando non riusciamo a far laureare nemmeno il 20% dei nostri giovani?

Il quadro che emerge dal continuo calo di iscrizioni universitarie è scoraggiante. E’ il quadro di una generazione senza direzione, senza guida, senza fiducia nel futuro. Un tratto che non è tipico dei giovani, ma che è frutto di un Paese che ha perso il senso stesso della parola futuro, identificata ormai delle sue stesse classi dirigenti con la prossima tornata elettorale e con la fine o meno del proprio mandato. Ma questi giovani hanno tutta la vita davanti. Diamogli un motivo per affrontarla a testa alta, con grinta e determinazione. La loro rinuncia è una sconfitta per tutti noi.

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La scuola è il segreto del successo

BARACK OBAMA

Ho fatto qui in Massachusetts (il presidente parla agli studenti della TechBoston, ndr) parte dei miei studi.

Ero più giovane, non avevo capelli grigi, allora non c’erano lavagne intelligenti e la tecnologia più eccitante era quella della matita elettrica.

I tempi sono cambiati. Sapete per caso cosa sono le matite? Voi, ragazzi, usate le matite? Sono grato a Melinda Gates, ed al marito Bill, entrambi leader straordinari della riforma dell’educazione. Microsoft e la Fondazione Gates sono stati a fianco di TechBoston sin dall’inizio e io sono grato a loro per questo. Sono fiero di loro. Ora siamo nel mese che la Casa Bianca ha dedicato all’educazione e sono voluto venire qui affinché il resto dell’America possa vedere cosa avete fatto. Siete un modello per tutti. Avete un corpo di insegnanti d’eccezione, ogni studente può studiare ed avere successo, indipendentemente da chi sia e da che aspetto abbia. Riuscire ad avere la migliore educazione possibile non è mai stato tanto importante quanto in questo momento, ed il motivo è che oggi un buon posto di lavoro richiede una buona formazione. Viaggio attraverso la nazione, visito le fabbriche e le aziende. Non importa quale lavoro sia, ma se non si ha una buona educazione non si riesce ad avere successo. Nei prossimi dieci anni quasi la metà di tutti i nuovi posti di lavoro richiederanno un’educazione superiore alla licenza delle scuole superiori. Purtroppo la realtà è che troppi studenti oggi non sono sufficientemente preparati. Troppi lasciano la scuola senza avere le competenze necessarie per un posto di lavoro che paghi. Oggi un quarto degli studenti d’America non finisce le scuole superiori. La qualità della nostra formazione in matematica e scienze è inferiore a quella di altre nazioni. L’America è scivolata al nono posto nella classifica dei Paesi per numeri di laureati. Eravamo primi, ora siamo noni. Non è accettabile.

La maniera più efficace per creare posti di lavoro in America è cambiare queste statistiche. Non c’è politica economica migliore di quella che produce più laureati con le competenze necessarie per avere successo, fondando nuove aziende e creando le loro Microsoft. Per questo la riforma dell’educazione è la responsabilità di ogni singolo americano. Ogni genitore, ogni insegnante, ogni imprenditore, ogni funzionario pubblico ed anche ogni studente. Ciò di cui abbiamo bisogno sono standard più alti: più tempo passato in classe, più attenzione per materie come matematica e scienze. Abbiamo bisogno di insegnanti straordinari che siano anche leader flessibili e rispondano dei risultati che ottengono. Sono tutti ingredienti che qui a TechBoston voi avete. Gli studenti ricevono un computer appena varcano la soglia dell’entrata. Certo, costa denaro ma apre anche una finestra all’apprendimento. Se vogliamo prosperare nel XXI secolo, se vogliamo tenere vivo l’American Dream, dobbiamo crescere assieme per poter garantire a tutti i nostri figli la stessa educazione di livello mondiale che voi ricevete qui al TechBoston. Fino a quando sarò presidente mi batterò per questo.

*dal discorso pronunciato alla TechBoston Academy di Boston, Massachusetts.

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Laurearsi serve sempre (e si guadagna di più)

Nonostante il calo delle iscrizioni, per Almalaurea il titolo universitario resta il miglior investimento. Se un diplomato guadagna 100, il laureato arriva a 155. Ed è anche più facile trovare il lavoro giusto

RAFFAELLO MASCI

Sia chiaro: studiare serve e laurearsi serve ancora di più. Ieri abbiamo pubblicato i dati del consorzio Almalaurea sul destino dei laureati italiani negli ultimi cinque anni, e abbiamo sottolineato come la laurea, il famoso pezzo di carta agognato dalle mamme e poi tenuto incorniciato nel tinello, avesse perso gran parte del suo potere di attrazione. Nelle patrie università, insomma, negli ultimi cinque anni si era assistito ad una diminuzione sistematica delle immatricolazioni, superiore al 9%: 26 mila studenti in meno. Almalaurea ribadisce oggi che, comunque, laurearsi è ancora oggi la via più certa per trovare un lavoro prima e meglio.

«Il calo delle immatricolazioni non deve meravigliarci – dice Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea – in quanto è il frutto di tre fattori concomitanti. Primo, negli ultimi 25 anni i diciannovenni sono diminuiti del 38%. C’è stato un oggettivo calo demografico. Secondo, il tasso di passaggio tra scuola superiore e università è crollato di 9 punti (dal 75 al 66 per cento) a motivo della controversa immagine che l’università italiana ha dato di sé: dalle parentopoli, agli sprechi, alla moltiplicazione dei corsi inutili. Terzo, la laurea triennale (mantenere un figlio agli studi 3 anni invece di 5) ha aperto gli atenei a fasce di popolazione prima escluse, ma poi queste stesse si sono trovate di fronte al problema dei costi aumentati e non ce l’hanno fatta più».

Da qui il calo degli iscritti. Ma l’università paga. Tutti i dati statistici confermano – infatti- la diretta proporzionalità tra laurea, occupazione e reddito. Se prendiamo i diplomati e i laureati usciti dai rispettivi corsi di studio nel 2004 e li andiamo a rivedere nel 2009 (a cinque anni di distanza), scopriamo che esiste uno zoccolo duro di persone non ancora occupate, pari al 14,8% dei diplomati e al 12,1% dei laureati triennali. Ma mentre un lavoro continuativo (anche se non fisso) ce l’ha il 37% dei diplomati, questo dato sale al 67% tra i laureati. Un impiego a tempo indeterminato ce l’hanno il 18% dei diplomati, ma ben il 37% dei laureati. Complessivamente, quindi, i laureati lavorano molto di più e con maggiore stabilità rispetto a chi ha studiato di meno, come conferma il tasso di occupazione complessivo che, nel caso dei laureati, presenta un vantaggio di 11 punti sui diplomati (66 contro 77 per cento).

Si ribatte che, però, i dottori guadagnano poco. «Se noi consideriamo le retribuzioni sull’arco dell’intera vita lavorativa, un diplomato oggi guadagna 100 quando un laureato arriva a 155: il divario è enorme – spiega Cammelli – e l’abbaglio che molti prendono quando osservano che un diplomato prende più di un laureato, dipende dal fatto che osservano le retribuzioni iniziali, e quando il laureato si mette sul mercato del lavoro il diplomato c’è già da almeno quattro anni. Sui tempi medi e lunghi la differenza appare invece evidente e tutta a vantaggio dei laureati».

Ciò detto non tutte le lauree sono uguali e altrettanto spendibili. Uno studio di Confindustria ha rilevato il numero dei laureati di un anno accademico e quello richiesto dal sistema delle imprese nello stesso anno: alla luce di questi dati si nota come l’Italia abbia bisogno ancora oggi di 20 mila ingeneri in più, 15 mila economisti e statistici, 8 mila medici e sanitari. Per contro c’è un esubero annuo di 4 mila psicologi, quasi 17 mila laureati in lettere o lingue, 4 mila architetti, 3 mila geologi, eccetera. «Non c’è, dubbio – continua Cammelli – che le lauree scientifiche, tecnologiche ed economiche danno una possibilità di impiego più rapida delle altre. Tuttavia, valutati i laureati a distanza di 5 anni, anche quelli delle lauree generaliste hanno trovato un lavoro. Impiegando solo più tempo».

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“Per avere più chance scegliete facoltà scientifiche”

Alberto Meomartini, il leader degli industriali della Lombardia e presidente della Commissione di Confindustria sull’Università

RAFFAELLO MASCI

Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda e della Commissione di Confindustria sull’Università. Siamo sicuri che il sistema delle imprese abbia bisogno di più laureati?
«E’ del tutto evidente che la competizione oggi si gioca tutta sulla conoscenza: più so, più cresco e più mi sviluppo. E’ quindi fondamentale per una impresa l’acquisizione di conoscenze, e quindi di persone preparate, nonché la loro valorizzazione una volta assunte».

Si aveva invece la sensazione che ormai le imprese puntassero più sui tecnici intermedi. Una sensazione sbagliata?
«Solo in parte. In effetti abbiamo una necessità enorme di tecnici ben preparati, ci vorrebbero almeno 100 mila periti industriali in più ogni anno. Ma la competizione più forte che stiamo soffrendo in questo momento, non è tanto con chi è in grado di ridurre i costi – non con la Cina, per intenderci – quanto con chi è più avanti nella ricerca e nello sviluppo. In sostanza con chi sa di più: Germania, Stati Uniti … è la conoscenza che ci farà crescere. Il resto, al più, ci potrà aiutare».

Più investimenti? più rapporto con l’università? Più ricerca all’interno delle aziende?
«Tutte queste cose, evidentemente. Più investimenti, non c’è dubbio: i dati Ocse ci relegano in bassa classifica, da questo punto di vista. Tuttavia capiamo anche la congiuntura economica e abbiamo molto apprezzato – per esempio – il carattere premiale con cui si è deciso di distribuire i fondi alle università: di più a chi fa meglio, nella didattica e anche nella ricerca. E’ un buon inizio».

E le imprese?
«La ricerca all’interno delle imprese è fondamentale. Le più grandi sono in grado di farla in proprio ma, come è noto, il tessuto produttivo italiano è costituito da realtà medie e piccole e, per queste, il rapporto con le università è vitale. Devo dire che negli ultimi dieci anni è stato anche un rapporto molto assiduo: la ricerca si è fatta dentro le università e in collaborazione con le università. Dove più, dove meno, ma complessivamente si è molto lavorato insieme».

E per questo servono più laureati?
«Assolutamente sì».

Che cosa direbbe ad un genitore che ha un figlio laureato e disoccupato?
«Ai genitori preoccupati non si possono certo leggere le statistiche che dicono, comunque, che sui tempi medi i laureati lavorano più e meglio dei diplomati e di chi ha titoli di studio inferiori. Una cosa però bisogna indicarla con chiarezza: questo paese e il suo sistema di imprese, non sono in grado di assorbire allo stesso modo tutti i laureati di qualunque corso di laurea».

Sia più esplicito.
«Ingegneri, economisti, statistici, fisici, chimici hanno una possibilità pressoché immediata di essere assorbiti dal mercato del lavoro. Altri indirizzi di studio molto meno, o in tempi molto più dilazionati. Dopo di che, se uno decide di studiare le filosofie orientali perché questa è la sua vocazione, io gli consiglio vivamente di farlo – lo dico sul serio – ma la sua vocazione e il mestiere che gli darà da mangiare potrebbero non coincidere. E questo è bene saperlo dall’inizio».

                                                                                                       

1 Commento »

  • redazione scrive:

    Beppe Severgnini (Il Corriere della Sera – 10.03.2011)

    La laurea serve ancora

    Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio. Certo: in Italia c’è qualcuno, particolarmente dotato, che riesce a unire le due cose. Ma il poeta aveva capito. Quando entriamo nell’età dei padri, diventiamo paternalisti.

    Perdonate quindi se, dopo aver letto i dati (Almalaurea) sull’università italiana, esprimo un’opinione. Non è proprio un consiglio. Diciamo un suggerimento strategico.

    Un laureato 2005 ha oggi una busta-paga media di 1.295 euro; fosse andato all’estero sarebbe a 2.025 euro. I laureati che hanno trovato lavoro in Italia, un anno dopo la laurea, sono scesi del 7% (periodo 2007/2009). Il calo delle iscrizioni (meno 9% in quattro anni) mostra un cambiamento demografico (meno diciannovenni) ma anche la scarsa fiducia delle famiglie nello studio come mezzo di avanzamento.

    Posso dirlo? Sbagliano. Se un ragazzo ha voglia di studiare, ed è portato per gli studi, non deve farsi spaventare. Per il bene suo e del Paese. L’università è un investimento su noi stessi, come ha ricordato Irene Tinagli sulla “Stampa”. E, insieme alla scuola pubblica, resta l’ultimo grande frullatore sociale, capace di mescolare redditi censo e geografia. Se si ferma quello, siamo fritti.

    E’ vero che i giovani connazionali hanno motivi di protestare (“Uno spreco di risorse che li avvilisce e intacca gravemente l’efficienza del sistema produttivo”, ha riassunto Mario Draghi). Ma studiare paga, anche in senso letterale. “Non bisogna guardare solo le retribuzioni iniziali – spiega Andrea Cammelli, presidente di Almalaurea – Se consideriamo l’intera vita lavorativa, un diplomato guadagna 100 e un laureato 155”.

    Voi direte: d’accordo, studiare. Ma dove, quanto, cosa? Semplifico (e mi scuso con i ragazzi).

    DOVE In una buona università lontano da casa (a diciannove anni fa bene!). Vivere e studiare in una T Town (Trieste, Trento, Torino) o in una P City (Pavia, Pisa, Parma, Piacenza, Padova, Perugia, Palermo) cambia la prospettiva. Una laurea al Politecnico di Milano ha lo stesso valore legale di una laurea all’università di Bungolandia: ma un valore intellettuale, morale, sociale, pratico ed economico molto diverso. Le “università tascabili” fondate per accontentare sindaci, governatori, partiti e docenti hanno il destino segnato.

    QUANTO Con ragionevole urgenza. I “fuori corso” sono malinconiche figure del XX secolo. Deve studiare chi sa farlo e ha voglia di farlo. Le università sono laboratori per il cervello, non parcheggi per natiche stanche.

    COSA Quello che volete. Rifiutate il giochino, caro ai genitori, “quale facoltà offre più opportunità di lavoro”. Tutte ne offrono, se avete attitudine, grinta, entusiasmo e successo. Nessuna ne offre, se vi rassegnate alla mediocrità. Scegliere per esclusione – magari giurisprudenza, rifugio degli indecisi – è una follia. Nei concorsi e negli studi professionali troverete ragazze e ragazzi che l’hanno scelta per passione e predisposizione; e vi faranno a fette. Un destino da salami, interamente meritato.

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