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“Zombiegeddon: evoluzione della specie”

14.12.2017, Rubrica Cinemacelleria di Nello Frasca (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2017, Anno XI, n.5)

DawnDeadL’autunno si sa, è la stagione ideale per darsi alle serie tv, molte delle quali traggono la loro ragion d’essere da esempi cinematografici concepiti come veri e propri atti d’amore verso la settima arte. Se oggi aneliamo per esempio, ad ogni stagione di The Walking Dead e puntualmente restiamo affascinati dal suo brutale universo, lo dobbiamo in larga parte a ciò che è stato realizzato prima in circa quarant’anni.

Tra i titoli che compongono questo lungo periodo del cinema dei morti viventi uno dei migliori è Dawn of the Dead (“Zombi”, nell’edizione italiana) – seconda opera di George A. Romero (scomparso lo scorso 16 luglio) – sul tema, datato 1978. Di fronte al dilagare dei morti viventi, la società si sfalda. Un elicotterista, Steven, la sua donna, Gwen, e due soldati delle forze speciali, Roger e Peter, fuggono da Pittsburgh e trovano rifugio in un centro commerciale. Ripulitolo dagli zombie e barricatisi all’interno, cercheranno di ricostituire un simulacro di vita, finché non sopraggiunge una banda di saccheggiatori. Quanto tempo sia passato dall’inizio dell’epidemia non si sa; qualche settimana forse, ma il quadro apocalittico è già chiaro. Gli zombie diventano una realtà con la quale occorre iniziare a fare i conti, non solo in termini di strategia per sopravvivere, ma secondo un angolo incidentale antropologico.

Cosa sono, chi sono? Se lo scienziato della televisione blatera con sofismi della loro irriducibilità alla nostra specie, negando la possibilità di definirli “cannibali”, Gwen capisce fin da subito che la battaglia in corso è contro noi stessi (come si evince palesemente anche dalla progressione delle stagioni di “The walking dead”), e che siamo fatalmente destinati a perderla. Di tutte le pellicole che il regista dedica a queste sue rinnovate creature (ne dirigerà ben sei in quarant’anni) “Dawn of the Dead” risulta forse la più complessa e affascinante, sia per lo scenario brutale e ironico che fa da fondale ad una spietata critica sociale, sia per l’originalità dello schema narrativo più simile ad un film d’avventura che ad un horror.

I più sofisticati possono scovare, senza troppa fatica, riferimenti e critiche sulla società americana della fine degli anni settanta, talmente immersa in una delirante ricerca del consumismo da non trovarne mai pace neanche dopo la morte. Tuttavia, più che la metafora sul consumismo e la mercificazione-alienazione della società, ad affascinare in “Zombie” è proprio questo aspetto, diciamo così antropo-escatologico. Gli zombie sono l’alba (appunto “Dawn”) di una nuova razza, che nasce dalle ceneri dell’uomo per evolversi, diventando dominante. Steven può ancora dire che il loro vantaggio su di noi consiste nel “non pensare”, ma Romero in progresso di tempo, con i film successivi ( con “Il giorno degli zombie” prima, e “La terra dei morti viventi” dopo), finirà per dimostrarci l’opposto. Non c’è scampo.

Un affresco complesso e convincente di un Armageddon moralista e inquietante, dove la fine non arriva da una dimensione esterna, ma dalla società stessa, fallimentare e decadente. Parlare di questa pellicola non è mai fuori tempo o luogo. Non è un rimestare in un passato ormai irrecuperabile dettati dall’irrimediabile nostalgia che ci prende in questi tempi di carestia cinematografica. È invece un riaffacciarsi su un punto fondamentale del tessuto complesso ed ampio che comprende questo filone tanto amato da fans di tutto il mondo e di tutti i tempi. “Zombi” è un capolavoro che non cede il passo a nessuno e rimane un’opera unica nel suo genere.

                                                                                                       

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