Perchè scrivere?
17.11.2017, Email di Luciano Arciuolo
Qualche giorno fa un amico, con il suo modo di fare semplice ma sincero, mi ha detto: “ Prof, non fai altro che scrivere. Ma chi te lo fa fare? Sì, la gente spesso ti dà anche ragione, ma poi dice – Ah, ma questo scrive sempre … Chi te lo fa fare?”.
Bella domanda.
Me la sono ripetuta spesso anch’io.
Ho cominciato a scrivere a undici anni. Per la verità “scrivere” è, per quello che riuscivo a mettere insieme, parola troppo grossa. Ma per me quella cosa che facevo in segreto era importante. Ero solo, a Bagnoli. Scrivere per me, probabilmente, era come il masticare le foglie di coca per gli abitanti di un altopiano del Sud America. Un modo per aiutarsi a superare le difficoltà della vita.
Scrivevo solo per me. Scrivevo di me, ma più spesso degli altri.
Ho cominciato a scrivere a undici anni e non ho più smesso. Non sono mai riuscito a smettere.
Ma la domanda era: perché?
Bergen Belsen era un campo di concentramento nazista, situato in Bassa Sassonia, nel cuore della Germania. In quel campo di sterminio hanno trovato la morte almeno cinquantamila persone, tra ebrei, polacchi, zingari, omosessuali …. Lì, ad esempio, è morta Anna Frank, bambina ebrea che ci ha lasciato il suo Diario, uno dei documenti più toccanti e sconvolgenti mai scritti dagli esseri umani (altri esseri umani, ma di una sottospecie decisamente inferiore, hanno trovato il modo di infangarne il nome e l’immagine per prendere in giro, e anche per minacciare, i tifosi dell’altra squadra di calcio della loro città).
Ebbene, diversi anni fa, da qualche parte, ho letto che, nel campo di Bergen Belsen, proprio vicino ai forni crematori (che servivano alle belve naziste per bruciare i cadaveri, cancellando così anche il ricordo di quelle persone), qualcuno tra i disgraziati che vi erano rinchiusi aveva scritto una frase del tipo: “Io sono stato qui dentro e nessuno mai racconterà la mia storia.”
Non so, e non saprò mai, perché, a undici anni, ho cominciato a scrivere. Ma so perché scrivo ancora, quarantasette anni dopo: per raccontare la storia di quello sconosciuto. E poiché la memoria è esercizio che bisogna coltivare e rinnovare (soprattutto oggi …), so che scriverò ancora per continuare a raccontarla.