Mentre tutto muore…
26.08.2017, Articolo di Giulio Tammaro (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2017, Anno XI, n.4)
Noi Bagnolesi, popolo di poeti, santi e navigatori…nel modo più assoluto no. Piuttosto popolo di tuttologi, ma abili commercianti; qualunquisti, ma grandi accumulatori di ricchezza; egoisti, ma difensori a spada tratta di chiunque punti il dito contro uno o tutti noi; invidiosi l’un l’atro, ma capaci di eroici gesti di solidarietà nelle grandi tragedie; catalogatori, ma guai a sbatterlo in prima pagina. Potrei continuare all’infinito per descriverci al meglio, ma un articolo non basterebbe, né questo sarebbe il fine ultimo di questo scritto. Sarete d’accordo o meno con quel che scrivo, ma difficilmente riuscirete a smentirmi su un concetto, ovvero sia che da buoni italiani quali siamo, allo stato attuale le nostre migliori “qualità” sono la capacità unica di puntare il dito contro gli altri e l’incapacità cronica di fare squadra. Perché dico tutto questo? Semplicissimo, perché sono i fatti a parlare, l’espressione più concreta dell’animo umano. Le parole, come si suol dire, le porta il vento con sé…Ma non voglio divagare oltre, passerò subito al nocciolo della questione, in seguito capirete l’importanza di questo preambolo.
Anni or sono, il nostro bel paesello si reggeva su una serie di attività di tipo rurale, prima dell’avvento dell’industria e del terziario. Il passaggio dall’economia di sussistenza a quella di consumo non è stato indolore, ma la ricostruzione post sisma e gli anni d’oro della gemma dell’Irpinia hanno portato ad una crescita rapida e consistente del nostro paese. Ciononostante l’unico comun denominatore tra i due sistemi è stato ed è rimasto, fino a qualche anno fa, uno ed uno solo: la produzione delle castagne. È difficile parlare in questo momento di qualcosa che non sia finanziamenti per le seggiovie, lago che scompare, fabbriche che chiudono…Pensate, negli ultimi anni anche la monorotaia ha avuto più risalto della questione cinipide! A memoria, penso di non sbagliare, tranne ritagli vari di qualche giornale locale, il solo Ernesto Di Mauro ha provato a ricordarci che esistevano ancora alcuni alberi secolari che ci hanno sostenuto e arricchito. Ormai ogni azione e discorso è proteso verso ben altro. Forse sarà che parliamo di una causa persa? O che una sagra col pienone è più redditizia di qualche quintale di quel frutto marrone…Onestamente non saprei dare una risposta a tutto ciò, ma un’idea penso di essermela fatta.
Se ben ricordate, un tempo il mese di ottobre era un periodo davvero atipico, fatto di grande lavoro, di donne che ancora sporche entravano velocemente nei nostri negozietti, tanto era poco il tempo, di uomini con la barba incolta che dormivano al caldo e al fumo dello scoppiettante legname di castagno. Erano tempi in cui anche chi lavorava in modo stabile prendeva giorni di ferie, gente che da ogni dove d’Italia e dall’estero tornava per raccogliere il suo bel castagneto. E come ogni duro lavoro, alla fine pagava, e anche bene. Così bene che i bagnolesi ci hanno costruito la propria ricchezza. Sapete voi tutti come i nostri nonni o genitori hanno costruito le proprie case, hanno avuto la possibilità di darci un’istruzione universitaria, o creato consistenti conti in banca? Pensate che tutto ciò derivi dalla terra, dal lavoro dipendente, dal turismo, dall’albero dei soldi di collodiana memoria? Udite udite, è stato il duro lavoro derivante dalla lavorazione delle castagne!!! Il solo posto fisso, il negozietto di prossimità, e tutto ciò che ci occupava durante l’anno erano necessari al sostentamento quotidiano, il surplus che ha creato la ricchezza è sempre derivato dalle castagne! Anche perché, come sopra ricordavo, siamo pur sempre stati abili commercianti. Così i nostri bei boschi, oggi in procinto di diventare frutteti, ci hanno sostenuto per secoli prima come cibo, poi come merce di scambio, poi come denaro, e chi ha lavorato duro di denaro con la produzione di castagne ne ha guadagnato davvero tanto. Oggi invece, che dovemmo essere noi a sostenere le nostre amate piante, in tutta risposta cosa stiamo facendo? Niente, ma niente niente! Quello castanicolo è un settore ormai morto, cosa per pochi, si sopperisce con le importazioni, e forse a tanti sta anche bene così.
È ormai un decennio che i nostri boschi sono funestati dalla Dryocosmus Kuriphilus, il Cinipide Galligeno, volgarmente chiamata “mosca della castagna”, con effetto reale a partire dal 2011. Ma le prime avvisaglie di ciò che poteva succedere sono state annunciateci dalla Regione Piemonte già nel lontano 2002. “I nostri castagni sono sani”, dicevano qualcuno, “i nostri castagni non hanno bisogno di alcun aiuto”, dicevano altri, “anche quando hanno avuto il cancro si sono ripresi da soli, sarà così anche stavolta”, dicevano i più vecchi. Che dire, noi tuttologi sapevamo il fatto nostro… tant’è che l’anno scorso la produzione è stata praticamente azzerata. Sapete, da bambino vedevo mio padre curare con amore e con vari prodotti naturali le piantine che ogni anno coltivava in campagna, e quando arrivava il periodo di pulizia dei castagneti la mia domanda per lui era la medesima: “Papà, perché curi tutte le piante e mai i castagni?”, e lui per tutta risposta mi diceva: “Non ne hanno bisogno, sono forti già da sé”. Ed era vero, se non fosse che l’imprevedibilità della natura, e soprattutto dell’uomo, ci hanno condotto allo scempio attuale. Mi vanto di aver pensato già in tenera età quello che andava fatto, e che mai nessuno ha pensato di fare, tanta era la nostra convinzione condita da cotanto orgoglio nel sapere e conoscere come curare le nostre castagne. In fondo chi meglio di noi poteva conoscere la coltivazione delle castagne, tra le tante nostre qualità c’è anche quella di essere i massimi esperti in agronomia…noi siamo così, sappiamo sempre cosa fare e guai ad aprire la mente al nuovo… Se solo avessimo dato ascolto a chi aveva avuto problemi prima di noi forse si sarebbe potuto evitare, almeno in parte, la distruzione delle nostre piante, e con essa quella del nostro ecosistema e della nostra economia, troppo chiusi e saccenti noi per poterlo fare.
Ma allo stato dell’arte qual è la situazione? Un disastro, se pensiamo allo scorso anno. In Irpinia, ma anche nel resto della Campania, parliamo di una produzione quasi del tutto azzerata, di cicli annuali ondivaghi, di un costante abbandono del controllo personale dei boschi, di una perdita economica ingente. Non saprei quantificare con precisione quanto il comparto castanicolo poteva fruttare all’economia locale fino al 2010, le cifre ufficiali non sono attendibili dato la mole di produzione svolta in nero. Penso però di non sbagliarmi affermando che l’aggregato delle entrate era non inferiore ai 7/8 milioni di euro. Pensate che, escluse le aziende che fanno parte dello stesso comparto castanicolo, sommando le entrate di tutte le attività produttive, commerciali, dei servizi e anche della sagra di Bagnoli una cifra del genere si raggiunge forse in 2 anni, giusto per dare una misura di quanto stiamo perdendo. Detto del malato, parliamo della cura. In questi anni ci hanno continuamente propinato la filastrocca della lotta biologica, dell’efficacia nel tempo del Torymus Sinensis, di come in Piemonte siano riusciti negli anni a debellare in una misura pari al 100% la parassitizzazione del Cinipide, di avere pazienza e fiducia nella sperimentazione in atto. Doveva quindi essere solo una questione di tempo, poi con gli ingenti finanziamenti della Regione e delle amministrazioni succedutesi, in aggiunta all’enorme sforzo economico profuso dagli stessi castanicoltori, tutto sarebbe rientrato. Se ci erano riusciti in Piemonte, che non conoscono un fico secco delle castagne, figuriamoci noi. Una bella storiella, non c’è che dire. Tuttavia più di qualche crepa c’era, ma avevamo bisogno di sentirci rassicurare da qualcuno, e allora ce la siamo bevuta appieno. Quali sono le crepe? Partiamo con la carrellata: la Regione Campania, diversamente da quella piemontese, ha stanziato per la sperimentazione una cifra irrisoria, che sommata alle briciole dei finanziamenti comunali e alla totale assenza di quella privata ha prodotto il nulla; in Piemonte alcune zone hanno realmente raggiunto il 100% della parassitizzazione della Cinipide, ma per la maggior parte questo favoloso prodigio della natura prolifera che è un amore; nelle poche zone in cui la Cinipide è stata sconfitta la produzione raggiunge in 50/60% di quella pre infestazione. Date un’occhiata al bollettino regionale piemontese di fine 2016, troverete tutte queste informazioni e molto altro, e vi assicuro che il molto altro preoccupa più dei miseri risultati raggiunti. Si può leggere chiaramente che lo sforzo prodotto dai piemontesi nei primi anni 2000 è stato notevole, che grazie a ciò qualche risultato si è raggiunto ma che oggi la Regione non finanzia più quelle cifre, lasciando la sperimentazione in una fase di stallo. Inoltre, e qui viene il bello, gli esperti del settore non assicurano che con gli stessi mezzi e le stesse azioni in altri luoghi si possano raggiungere i medesimi risultati, perché sono molti i fattori endogeni ed esogeni da tener conto, come la temperatura di un territorio, la consistenza del terreno, la varietà del prodotto. E, al contrario di ciò che comunemente si pensa, non è la rigidità delle temperature invernali ad influire positivamente sul debellamento della Cinipide (o meglio in parte lo è anche), bensì è il caldo estivo a favorire la proliferazione dell’insetto. Facendo due conti spiccioli, in Piemonte sono partiti 8 anni prima della Campania, hanno finanziato ingenti somme per la sperimentazione e ora hanno raggiunto risultati parziali, con tutte le caratteristiche climatiche, territoriali e di varietà da loro presenti. In Campania siamo partiti tardi, la sperimentazione è stata finanziata con le briciole e tenuto conto che i nostri inverni sono sempre meno rigidi, ma soprattutto le nostre estati sono sempre più calde, e che a parità di condizione le nostre varietà potrebbero comunque non rispondere in modo positivo (come si sta verificando), il risultato più probabile è anche quello che tutti possono ammirare alzando gli occhi al cielo: piante in sofferenza, piene di galle che ad anni alterni riempiono i rami (negli anni di maggior produzione il caldo favorisce l’insediamento dell’insetto, l’anno successivo la produzione si annulla per impossibilità di proliferare vista la mancanza di gemme, l’anno successivo di nuovo maggiore produzione e condizioni favorevoli per l’insetto che agirà negativamente per la produzione l’anno successivo), ripresa zero, intere montagne abbandonate e a forte rischio idrogeologico, economia spazzata via.
Detto ciò, esistono soluzioni alternative? Ora in molti mi odieranno e daranno contro, ma la mia risposta è sì! Avete mai sentito il detto, “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”? Beh, personalmente ho sempre ritenuto la lotta attraverso l’insediamento del Torymus una caccia alle streghe, in cui solo chi la proponeva come unica soluzione ci stava guadagnando. Non a caso quei pochi spiccioli a ciò destinati sono stati ripartiti tra ricercatori e rappresentanti vari di sigle sindacali. Sono stati effettuati i lanci (pochi)…non di Torymus, ma dei soldi nelle loro tasche e delle nostre ultime speranze nell’etere! Sfido chiunque a darmi torto, i risultati sono visibili a tutti. Eppure, nonostante in campo agricolo la ricerca in termini biologici ha fatto passi da gigante e proposto soluzioni non solo efficaci ma anche economicamente sostenibili, a nessuno è mai passata per la testa l’idea di proporre prodotti come il piretro naturale (non quello sintetico), ma non solo. Perché mai nessuno l’abbia proposto? Beh, è il segreto di pulcinella. Un prodotto naturale, a basso costo, applicabile in autonomia cosa avrebbe mai portato nelle tasche dei nostri cari avventori? Niente ovviamente, quindi meglio tacere e adottare soluzioni maggiormente remunerative. Intanto qualche privato ha commissionato a proprie spese la sperimentazione del piretro, ha applicato il prodotto su alcune piante e come risultato in meno di 2 anni ha ottenuto l’80% della produzione pre infestazione e la certezza di aver lasciato il terreno e le falde sottostanti in perfette condizioni. Non sono questi risultati accettabili? Firmerei oggi stesso per raggiungere l’80% della produzione standard. Ma a qualcuno la cosa non andava bene, così si è obiettato che l’utilizzo di fitofarmaci, seppur biologici, non era consentito nei boschi, categoria in cui assurdamente sono stati sempre inquadrati i nostri castagneti. In tutto ciò un primo passo importantissimo si è avuto qualche mese fa, quando in Commissione Politiche Agricole della Regione Campania è stata deliberata la possibilità di variare il classamento dei castagneti da bosco a frutteto, così da poter finalmente utilizzare tutti i trattamenti concessi in agricoltura biologica. Come potete vedere, armati di buona volontà qualche soluzione si trova. Ma noi bagnolesi siamo sicuri di essere animati da tutta questa buona volontà? Permettetemi di dissentire. Dal lato del settore pubblico, le risorse stanziate a favore della lotta biologica sono sempre state esigue. Personalmente ritengo tale scelta grave, considerando che l’economia di Bagnoli è sempre stata più che fondata sulla produzione di castagne, che la questione coinvolge un paese intero (proprietari, produttori e dipendenti) e non una singola categoria. Chi amministra è rappresentante della volontà popolare, perlomeno la maggioranza, non di certo di pochi. Così ci ritroviamo a finanziare manifestazioni o entità privatistiche, con tutto vantaggio di pochi eletti, a scapito della maggior parte della comunità. Eppure ricordo dagli studi di diritto tributario che l’imposizione verso i contribuenti si rendeva necessaria alla ripartizione di tale entrate a beneficio della comunità, non dei singoli. Di ragioneria pubblica invece ricordo bene la nozione di responsabilità degli amministratori nelle decisioni sulla spesa pubblica… Dal lato del settore privato invece, tranne i chiacchiericci da bar non ho mai visto nulla di concreto (e in questa categoria è presente colpevolmente anche il sottoscritto).
Qualche anno fa fui colpito dal modo e dalla forza delle proteste messe in atto dagli attivisti pugliesi quando, imprecando il salvataggio dei loro ulivi secolari dalla Xylella, molte ragazze rimasero in topless e si legarono alle loro piante, pur di attrarre l’attenzione mediatica sul problema. Noi non siamo mai arrivati a tanto certo, ma nemmeno in modo blando abbiamo comunque pensato ad una qualsiasi forma di protesta. Forse non sarebbe servito lo stesso a far arrivare il nostro grido di disperazione a chi di dovere, il problema è che abbiamo affrontato tutto con estrema passività. Certo, se proprio dobbiamo essere l’emblema dell’italiano medio, allora tutto si risolve sempre con convegni e seminari, chiacchiericci qua e là e pacche sulla spalla. E mentre i medici non discutono neanche, ma si bevono un buon caffè, il malato muore. Cari miei concittadini, è questo il senso del mio preambolo e cuore dell’articolo, la nostra incapacità cronica di fare squadra. Quando si presenta un problema non alla nostra portata è l’unione che fa la forza, è il dialogo, l’analisi e la messa in atto di nuove procedure che portano ad affrontare e superare la questione. Sapete come nel nord Italia sono riusciti a rialzarsi lentamente dalla morsa di questa lunghissima crisi, mentre noi non annaspiamo, ma stiamo completamente affogando? Perché forse sono alti, biondi e belli? No. Perché hanno un tessuto sociale basato sul cooperativismo fortissimo, in cui la fiducia, l’impegno e il lavoro reciproco sono più importanti delle chiacchiere, dell’invidia e della chiusura a riccio attorno a quel poco che si ha, perché hanno capito che mettendo da parte orgoglio, pregiudizi e questioni personali e fondendosi in unica entità si poteva ripartire e pensare ancora al futuro con cauto ottimismo. Noi invece abbiamo l’incapacità cronica di fare gioco di squadra, ognuno forte nel suo guscio ad emettere sentenze a destra e a manca, senza proporre lo straccio di un’idea per superare la questione. Forse è perché stiamo bene così, forse qualcuno ha già costruito abbastanza per noi che non vale la pena più combattere. Ma sì, in fondo a noi non ci tocca affatto la chiusura delle piccole attività, la chiusura delle più importanti realtà industriali, la fuga delle migliori menti dal paese, lo spopolamento inesorabile, il declino inarrestabile… In ogni comparto economico degno di tal nome esiste almeno un’associazione di categoria, per quello castanicolo mai visto né sentito né pensato. È pur vero che questo è un comparto formato da una miriade di piccolissimi e piccoli produttori, troppo frastagliato e poco propenso al dialogo, ma non è una scusante sufficiente a spiegare l’immobilismo più totale. Pensate a come sarebbe stato se produttori e piccoli commercianti fossero stati uniti nel pensare alle soluzioni da mettere in atto in proprio e alle richieste da proporre alle istituzioni preposte: oggi parleremmo di azioni, di risultati, di speranza… Invece no, preferiamo abbandonare la questione sperando nel miracolo biologico, mentre il nostro territorio muore e noi con esso, accettiamo l’importazione di castagne europee trattate con chissà quale metodo e nessuno pensa a mettere in campo idee e soluzioni alternative ed innovative. In questo caso sì, ci meritiamo tutto quel che stiamo passando, non sarà la speranza in tempi migliori a salvarci.
Mi piacerebbe che chiunque non abbia abbandonato la lettura di quest’articolo finora capisca che il mio intento non è affatto quello di voler rivolgere critiche gratuite e distruttive verso i miei concittadini. Al contrario utilizzo il NOI in quanto anche io parte di questa comunità e colpevole assoluto di inerzia nei confronti di una situazione che definire ormai drammatica è anche poco. Ma soprattutto vorrei che si capisse che la motivazione che mi ha spinto a scrivere queste righe è il mio smisurato amore verso la mia terra e verso un’attività che, seppur in declino in questi ultimi anni, è croce e delizia della mia stessa esistenza. Vorrei che dopo quest’articolo la coscienza e la voglia di tutti voi miei concittadini venga smossa, che le verità qui descritte siano il preludio all’apertura verso una nuova stagione, fatta di una collaborazione fattiva e fruttuosa, che la consapevolezza della possibilità di cooperare noi tutti per un fine più grande sia l’animus pugnandi per la nostra crescita sia economica sia come comunità. Abbiamo poche possibilità di arrestare il declino inesorabile delle zone interne, ed il comparto castanicolo è una di queste. Bagnoli non è solo seggiovie, sagra e turismo mordi e fuggi, Bagnoli è molto, ma molto di più. Sta a noi fare un passo indietro per poter procedere più spediti in futuro. Oggi è già ieri, domani sarà troppo tardi. E mentre tutto muore, lascio ognuno alle sue conclusioni…
Buongiorno, ho letto con fatica il Suo articolo. La frase che mi ha colpito inerente alla malattia del castagno è: se ci erano riusciti in
Piemonte, che non conoscono un fico secco delle castagne, figuriamoci noi.
Allego un articolo:
INVERSIONE DI TENDENZA PER LE CASTAGNE PIEMONTESI: PRODUZIONE IN AUMENTO A 15 MILA QUINTALI
Dopo anni di continuo calo, la raccolta delle castagne segnerà quest’anno un’inversione di tendenza in Piemonte. Dai 40 mila quintali prodotti mediamente ogni anno a livello regionale, si era scesi a 10 mila: quest’anno saranno 15 mila per un giro d’affari di 3 milioni di euro. “Nessun trionfalismo – conferma a La Stampa Massimo Meineri, segretario Coldiretti della zona di Ceva (provincia di Cuneo) – perché il cinipide è ancora presente sulle nostre montagne e i suoi effetti negativi si sentono ancora, però le quantità sono in aumento e la qualità è buona. Sapevamo che la lotta con il suo antagonista naturale, il torymus, avrebbe richiesto anni per dare risultati: finalmente stanno arrivando”.
Nel Saluzzese la campagna è praticamente conclusa. Vanni Nasi, presidente del Consorzio Castagna Cuneo Igp, ha dichiarato: “Qui in Valle Po dovremmo riuscire a raggiungere il 30% di quanto producevamo negli anni prima dell’arrivo del cinipide. I frutti sono di ottima qualità, sani, mentre l’anno scorso erano quasi tutti marci”.
La scarsità di prodotto in tutta Italia ha in parte portato a un rialzo dei prezzi: all’ingrosso si va dai 2,8 ai 3,2 euro al kg per le pezzature migliori, 90 centesimi per quelle piccole; al dettaglio si trovano tra i 2 e i 6 euro.
Fonte: La Stampa 18 – 10 – 2012
Questi dati sono riferiti dopo aver concluso, il trattamento per debellare la cinipide.
E’ opportuno informarsi bene, prima di scrivere delle notizie.
saluti
mario nigro
Egregio Sig. Mario Nigro, forse il suo sforzo nel leggere il mio articolo le avrà fatto perdere l’ironia con cui è stata scritta questa frase…Così le rispondo brevemente in alcuni punti:
1- Nella zona del cuneese sono presenti le più grandi aziende di produzione di castagne d’Italia e ne sono sicuramente i migliori nella conoscenza agronomica, proprio da qui l’ironia di pensare che noi campani ne sapevamo più di loro;
2- Lei riporta un articolo del 2012, redatto a campagna produttiva nemmeno ultimata, io invece riporto i bollettini ufficiali della Regione Piemonte del 2016, ma forse per lei 5 anni saranno un’inerzia…;
3-Se del mio lungo articolo l’ha colpita soltanto quella frase, penso che non abbia fatto fatica, ma addirittura non ha compreso minimamente il senso.
Onestamente quando ho scritto questo articolo mi sarei aspettato delle critiche, ma mai su questa frase, tutt’altro…
Come lei, la invito a documentarsi tramite atti ufficiali e soprattutto aggiornati prima di commentare un articolo e incorrere in brutte figure.
Cordialmente
Giulio Tammaro