Nella giudecca di Bagnoli, la memoria bastarda di cui rivestire il presente
27.01.2017, Orticalab.it (di Giulia D’Argenio)
Fare memoria significa far rivivere il passato nel presente. La memoria è un tappeto di immagini lungo il quale si snoda il negativo di una narrazione destinata a prolungarsi all’infinito: la storia degli uomini, la Storia dell’umanità. Fare memoria significa rievocare immagini dal passato per cucirle sulla pelle del presente e cercare, così, di conferire un aspetto migliore al futuro.
Fare memoria significa scavare nei sedimenti del passato alla riscoperta delle contaminazioni di cui siamo figli: una consapevolezza a partire dalla quale decostruire ogni presunto arianesimo e negare ogni purezza identitaria. Siamo tutti un po’ bastardi, come gli zingari, gli handicappati e gli ebrei che finirono i loro giorni immersi nell’orrore dei campi di sterminio o coloro che ne portarono dentro le ferite più profonde. Le vittime destinate a soddisfare la sete di sangue della parte più oscura di noi, la cui memoria non dovrebbe rivivere solo nei giorni delle celebrazioni ufficiali, ma ogniqualvolta si incrocia lo sguardo di un nuovo ‘bastardo’ che incede sul nostro ariano cammino. Un bastardo magari già incontrato mille vite fa.
Del resto questa, la terra dell’osso, è stata storicamente un crocevia di incontri contaminanti che ne hanno alimentato la ricchezza oltre a costruirne le identità multiple che compongono il mosaico della varietà interna all’Irpinia. L’Irpinia bassa, che guarda verso Napoli, e quella alta che guarda alle Puglie, attraverso l’Appia antica che veicolava i commerci dal Tirreno all’Adriatico. Identità che oggi chiameremmo bastarde ma che, con un rovesciamento di prospettiva, sono state fonte di ricchezza e prosperità. Come quella che visse Bagnoli Irpino in secoli e secoli di commistione tra la sua preponderante comunità cristiana ed un piccolo insediamento ebraico, che alla prima, gradualmente, si mescolò fino a diluirvisi per proteggersi dalle persecuzioni. Una sovrapposizione graduale che ha visto, poco alla volta, le differenze annullarsi.
Un processo lento e volontario che, nell’arco dei secoli, ha anteposto alla irragionevole rigidità dei dogmi, la naturale evoluzione delle relazioni umane e sociali.
E così, malgrado gli editti e le bolle papali che, tra XIII e XVI Secolo, portarono gradualmente le famiglie ebraiche arrivate a Bagnoli dal porto di Salerno, a concentrarsi nell’antica Felia, ribattezzata perciò Giudecca (col suo Paradiso, il cimitero), i bagnolesi assorbirono nel proprio corpo robusto artigiani capaci dai quali appresero l’arte dell’intaglio, coi quali continuare a concludere affari convenienti, oltre che completare, grazie alle loro conoscenze nella tintura dei tessuti, il ciclo produttivo di lane e pelli. Un processo graduale le cui tracce sono sopravvissute almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento nella vita quotidiana di Bagnoli dove gli ebrei assecondarono, più nella forma che nella sostanza, l’attività di conversione dei frati dominicani che cominciarono a bussare alle porte della Giudecca. E, di fatti, malgrado la loro adesione alla cristianità, alcune case il venerdì continuarono ugualmente a non panificare e i loro comignoli, il sabato, a non fumare.
Le tracce di quella identità sopravvissero nei cognomi, per lo più oggi scomparsi, nei legami parentali con altre terre di storico insediamento ebraico, dalla Puglia alla Calabria, e nei sapori come quello della “conza”, piatto tipico a base di zucca mtuato dalla cucina ebraica. Tracce che, ad esempio, ancora scorrono nelle vene di Michele Nigro, la guida che ci ha condotti attraverso i vicoli del quartiere ebraico cancellato dai sedimenti della Storia, nipote di un’ebrea figlia dell’ultimo rabbino bagnolese.
È Michele, appassionato conoscitore della storia del suo paese, a ricordarci che la ricchezza di questo Mezzogiorno sia sempre risieduta, nei Secoli, nel naturale fluire di scambi e traffici, negli incontri tra economie e culture. Una Storia che dimostra quanto l’“altro” interno sia elemento costitutivo del nostro essere, che si annulla nella sua persecuzione, nella sua esclusione, nella sua discriminazione che vorrebbe cancellare uno dei tratti costitutivi della nostra stessa umanità: la diversità.
Ecco cosa dovrebbe significare, allora, fare memoria: risalire lungo il corso dei Secoli, alla riscoperta delle nostre identità multiple del cui manto di porpora rivestire il presente. Dovrebbe aiutarci a ricordare che, irpini o italici, siamo tutti un po’ bastardi: l’altro ci appartiene, è parte di noi. La sua persecuzione è impoverimento e negazione di noi stessi.
Buona Giornata della Memoria, Irpinia: terra di migrazioni con e senza ritorno: perché tu, al cospetto dei nuovi bastardi della Storia, trovi davvero la forza di dire “mai più”.
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Commednto su fb di Gerardo Nappa:
Sebbene non siano rimaste moltissime testimonianze della presenza degli Ebrei in Irpinia, la passeggiata tra i vicoli della Giudecca di Bagnoli Irpino che ho fatto nella giornata di ieri insieme alla giornalista Giulia D’Argenio accompagnati dall’Ing. Michelino Nigro è stata affascinante: un viaggio nel passato di una comunità che tanto ha segnato la storia di tutta l’umanità.