Alta Irpinia, il progetto polveriera ci sta spaccando
22.12.2016, Articolo di Giulio D’Andrea (dal sito www.irpiniapost.it)
Si sta chiudendo un anno che per l’Alta Irpinia può dirsi interlocutorio, a voler essere diplomatici. Perché a voler essere diretti sarebbe meglio definire il 2016 un anno improduttivo e pure dannoso. Si dovevano porre le basi per un rilancio dell’area attraverso il Progetto Pilota e invece si sono creati i presupposti per uno scontro totale: uno scontro che non trova pace o quantomeno armistizi come dimostra l’ultima assemblea di Nusco.
Dal punto di vista pratico il progetto cammina a piccoli passi. Nel senso che si sta proseguendo con le riunioni ma il documento finale, l’Accordo di programma quadro, va ancora scritto. Dovrà essere approvato anche da Roma dove è cambiato il vertice romano della strategia sulle aree interne, da Fabrizio Barca a Enrico Borghi. La successiva caduta del premier non si è tradotta in una caduta del Governo e quindi, in teoria, tutto resta perfettamente in piedi.
Sempre dal punto di vista pratico, al tavolo di Nusco (non più a quello di Calitri) si è affrontato ogni tema dello scibile umano ma senza proposte concrete e fattibili. Dalla scuola alla sanità, dai trasporti alla cultura, il tenore dei documenti è “servirebbe questo e servirebbe quello“. Con una serie di contraddizioni: ci sono meno abitanti ma si chiedono più scuole, per ricordarne una.
E le contraddizioni proseguono entrando nell’ambito burocratico. Roma dovrebbe tirar fuori un po’ di soldi per i progetti – gli studi seri, quelli redatti dai super-esperti – e la Regione dovrebbe favorire un processo: fare in modo che la stessa Regione funga da tramite con l’Unione Europea per sviluppare i punti individuati nella strategia locale approvata pure dal nazionale. Un bel casino, ma questo è all’origine del progetto stesso che interessa una cinquantina di territori in tutta Italia. C’è chi è più avanti e chi è ancora indietro. Si dice che l’Irpinia sia a buon punto ma oggi il presidente dell’Area Pilota, Ciriaco De Mita, ribadisce che di Roma si fida poco: meglio confidare nella Campania. E avrà anche ragione visto che, tra l’altro, l’esito del referendum è chiaro: la Regione dovrà continuare a occuparsi delle “sue” materia esattamente come prima. Ma allora – se si può fare a meno di Roma e confidare in quelle Regioni che hanno pesanti competenze su sanità e trasporti, punti essenziali della sperimentazione – continua a sfuggire il senso stesso della strategia sulle aree interne.
Lato pratico e lato politico. Com’è noto la spaccatura si consuma da mesi e vede da una parte una forte maggioranza di amministratori schierati – schierati, diciamolo – con Ciriaco De Mita. Schierati perché molti di loro non parlano in presenza del leader, tutto qui. Potremmo definire gli altri “antidemitiani“, “dissidenti“, “quelli del Pd ma neanche tutti”. In realtà il fronte dei contrari non è esattamente compatto nelle strategie. Non si può non evidenziare la differenza di approcci tra una Rosanna Repole, che va costantemente in assemblea a duellare con De Mita, e un Michele Di Maio che sceglie di non entrare direttamente nel colosseo nuscano. Calitri è rimasta isolata nel discorso Gal, ha perso di fatto la sede del progetto ma domenica scorsa ha ospitato l’assemblea sul progetto pilota di varie associazioni. Un’assemblea, manco a dirlo, che De Mita non poteva digerire e che infatti non ha digerito. De Mita ha torto? De Mita ha ragione? De Mita continua a incazzarsi e a urtarsi? Interessa poco rispetto alla considerazione che confronti del genere andassero fatti fino alla nausea nei mesi e negli anni scorsi. Ed è colpa di tutti i venticinque i sindaci – di tutti – se l’operazione trasparenza e partecipazione non sia stata mai perseguita. Tuttavia il passaggio da Calitri a Nusco ha segnato un netto ridimensionamento dell’informazione alla comunità da parte del vertice del Progetto. E per vertice, sia chiaro, intendiamo proprio tutto il vertice: da Nusco a Roma passando per i funzionari napoletani.
Quando la squadra è in affanno si punta il dito contro l’allenatore, nel nostro caso è De Mita. Il problema è che non vediamo centravanti in grado di cambiare la partita. Se poi quei potenziali bomber, siano o meno in linea con il mister, si chiudono nel mutismo o eseguono il compitino tutto diventa più difficile. Il comportamento dei partiti ha poi complicato terribilmente le cose. Neanche nelle situazioni di maggiore tensione la vicenda altirpina è stata oggetto di dibattito politico provinciale per più di un giorno. Negli ultimi mesi il referendum ha paralizzato tutto e abbiamo assistito a decine di convegni inutili quando non erano imbarazzanti. Se la metà degli sforzi organizzativi per quei convegni fosse stata messa in campo per il Progetto Pilota, l’ancora indecifrabile strumento sarebbe sicuramente più noto ai più: nei suoi punti di forza o di debolezza.
Recuperare è ancora possibile. Non serve necessariamente la coesione e l’armonia totale tra i venticinque. Servirebbe spiegare alle persone, magari dal vivo, che cosa abbiano prodotto due anni di percorso. E, nel caso, cosa potrebbe davvero produrre il progetto. Giusto per farsi qualche illusione o per non farsele affatto.
Si potrebbe poi citare lo stesso polo museale discusso martedì mattina, oggetto misterioso. Ma avremmo preferito che dalla serie di riunioni fosse uscita una proposta a breve termine, anche al di fuori dal progetto stesso. Si parla tanto di giovani in fuga, il ministro Poletti ha fatto scoppiare un caso generazionale. E allora non si capisce perché venticinque cervelli alla guida di altrettante amministrazioni non abbiano pensato di rendere fruibile, magari in accordo con l’Asi, una delle tante strutture abbandonate nelle varie aree industriali altirpine. Una struttura che possa essere utilizzata da startup del posto. Idea troppo poco affascinante? Il fatto, tornando al caso degli italiani in fuga, è che nel 2016 non ci sia stato segnale alcuno in grado di convincere un giovane a restare in Alta Irpinia. Mentre si filosofeggiava, la Ocm di Nusco chiudeva i battenti e chiudeva anche la Biocon di Calabritto. Più di cento posti di lavoro. Certo, c’è la sempre arzilla Ema a Morra De Sanctis e la favola Acca Software che continua più bella di prima. Ma se parliamo di aziende nuove, di un sogno oppure di una speranza, non viene in mente proprio nulla.