Semplicemente Indro: l’eroe coraggioso del giornalismo
02.09.2016, Articolo di Daniele Marano (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2016, Anno X, n.3)
Per un laureato in Scienze della Comunicazione, peraltro spostato decisamente a destra come pensiero politico, andare a studiare e analizzare a fondo più volte, nel mio percorso di studio, la figura di Indro Montanelli è stata una esperienza paradisiaca.
Non voglio tanto dilungarmi, con i miei sermoni, ma credo che il maestro di Fucecchio, sia la pietra miliare, la scuola vera, l’esempio concreto della parola giornalista, anche se a dirla tutta è stato molto altro.
Raccontare quello che si vede senza attenersi a nessun editore, avventuriero, persino narciso, la figura di Montanelli è condita da un alone di magia.
“Spiego agli altri ciò che io stesso non comprendo”, in questa frase c’è tutta la poesia di un grande maestro. Gli ideali, quelli veri che esistevano una volta, l’essere stato fascista una esperienza che lui stesso addirittura sentirà di non rifiutare mai perché, diceva, “Mussolini sono i miei 20 anni”, l’aver visto nella ideologia fascista, in quegli anni, quasi una scorciatoia piena di pericoli ma che portava nel suo cuore a una strada per la democrazia; armarsi di coraggio e partire per l’Abissinia, testimoniando senza mettere la testa sotto la sabbia (questo gli costò la revoca della tessera di partito e” l’esilio” in Finlandia). Alla fine del Ventennio ebbe il suo primo momento di smarrimento, il ventennio lo aveva trasformato in un uomo quasi disorientato.
Da quel momento in poi Montanelli sarà la voce degli italiani, anarchici certo, ma nello stesso tempo servili; lui divenne “il fustigatore cattivo dei difetti degli italiani”. Ma sono gli anni 50 quelli della consacrazione, Montanelli diventa volto, va per tv, teatri , lui che non amava mettere in mostra la sua intimità (cosa che gli costò anche anni di depressione).
Fu il primo a capire, in seguito, che la Primavera di Praga era una cosa interna al mondo comunista stesso e non una battaglia di ideali contrapposti come molti volevano far credere.
Fiumi di inchiostro che lo portarono presto al regno del giornalismo italiano (la prima firma del Corriere della Sera, lì dove erano Pasolini e D’Annunzio), quel Corriere che ebbe il coraggio di licenziarlo in tronco diversi anni più tardi.
E poi, altri tocchi di classe, nell’Italia colmata di stampa di sinistra in quegli anni ebbe il coraggio di fondare “il Giornale”, l’unica voce fuori dal coro in pratica, l’essere contro il periodo in cui si viveva, l’essere contro il 68, motivo che porterà pochi anni più tardi all’attentato da parte delle Br: la risposta a quell’attentato non si fece attendere “ci vuole ben altro per intimidirmi”, quasi a dire il leone è vivo e vegeto.
“Il passo con i tempi” rischiò di travolgerlo, motivo per il quale dovette per forza abbracciare Berlusconi che non esitò a abbandonare, un Montanelli giustizialista durante Tangentopoli, un Montanelli che lasciò il giornale che lui stesso aveva fondato.
Un Montanelli, instancabile, che non si arrese e fondò “la Voce”, voleva provare invano in quegli anni a mettere insieme i cocci di quella destra che non si riconosceva nel Cavaliere. Dovette abbandonare il suo progetto, ma si sa “certi amore non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano”, tutti noi ci ricordiamo infatti il suo ritorno nel Corriere, l’intuizione di Mieli e la sua “stanza” dove con poche righe nell’ultima pagina del quotidiano rispondeva ai tanti che lo scrivevano. Rispondeva a “gli unici miei padroni. I lettori”.
La sua morte lasciò un amaro in bocca a nemici e amici. L’ultimo canto del cigno fu: “mi dimetto dall’essere italiano. Nessuno oramai è disposto a morire per un ideale, come ai miei tempi”. Come dargli torto. Geniale e immor(t)ale.