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Ci vuole “ciorta”

27.08.2016, La rubrica di Giovanni Nigro (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2016, Anno X, n.3)

C’è chi dice…

scaccia-guai--portafortuna… che oggi in ogni cosa ci vuole fortuna, il famoso “culo” che non è solo il riferimento al fondoschiena, è più una “ciorta” che è quella che non fa andare tutto liscio anzi, riempie il tutto con degli ostacoli non sempre superabili e quasi indistruttibili e impermeabili.

C’è chi crede nel caso, nel destino e anche in qualcosa di più scritto su alcuni libri tanti anni fa, ma non si tratta di questo. Si tratta degli eventi sfavorevoli come il tempo che non fa partire l’estate o la fa partire per poi terminare in una frazione di secondo o per meglio dire in un pugno di giorni ancora a disposizione.

Il tempo è a favore di chi non dovrebbe mai contare sulle crisi atmosferiche e sulle precipitazioni, ma in un luogo come quello che sovrasta il paesello (Laceno) il tempo è di fondamentale importanza. Non inteso certo come il passare del tempo perché quello, ribadito ormai in vari articoli, è per il Laceno una sconfitta, la sconfitta più grande: la vecchiaia e la puzza di statico e stantio. No, non è quel tempo è l’altro il tempo stagionale: niente neve e niente estate. Questa è sfortuna, è sfiga, è maledizione.

Di sfortuna andando avanti e parlando di queste terre l’elenco è lungo: nemmeno la cronaca nazionale riesce a mettere in primo piano l’Irpinia, perché questo posto è inferiore a detta di molti. Non ci siamo riusciti nemmeno con il Terremoto dell’80 che per alcuni non è esistito nemmeno, non è stato il Terremoto più bello d’Italia e non si poteva raccontare, non si poteva acciuffare quel poco pubblico o quella poca fama nazionale che aspettiamo tutti da molti anni.

Non abbiamo fortuna nemmeno per quanto riguarda l’agro alimentare, importante al giorno d oggi perché nella globalizzazione del cibo e della buona cucina sono entrati tutti da Est a Ovest e non possiamo affrontare il problema e non siamo gli unici ad avere nella testa l’immagine di un Kebab fatto da Italiani, ma fumante come i turchi; non possiamo toglierci dalla testa il mondo del McDonald’s che a sapere quello che ci mettono dentro i panini sono in pochi e non hanno il coraggio di dircelo. Qui il problema e gli ostacoli, che non si posso scavalcare, hanno avuto decenni di preparazione alla distruzione della buona cucina.

La sfortuna della buona cucina è simile a quella che sta sconfiggendo uno degli esempi di cultura territoriale irpina: quello che sta accadendo per la malattia delle pecore è la sfortuna più grande. Animali che si distinguono nel panorama irpino, campano e perché no nazionale. La salvaguardia della cultura casearia e quindi genuina del posto è diventata come tanti argomenti un discorso da portare solo in campagna elettorale e non può comunque rimanere appesa. Non può perché stanno morendo molte pecore, soprattutto in queste aree sottosviluppate della Regione Campania, con Bagnoli e Laceno al centro di questo processo di sfortuna e di abbattimento della cultura decennale se non millenaria che gli allevatori dovrebbero continuare e imprimere alle nuove generazioni. La Pecora Bagnolese che ha comunque un nome e quindi una razza quasi riconosciuta è stata coinvolta in questa malattia che è denominata Lingua Blu (Blue Tongue).

Questa è sfortuna, questa è quella “ciorta” che a pensarci bene arriva sempre quando le cose non vanno  (Turismo, Castagne, Tartufi, ecc); arriva in un periodo assai e se non si prende qualche provvedimento potrebbe essere disastrosa. Quindi non resta che sperare o piangere, ma sempre ampliando quel “culo” che non servirà certo per sedersi ma per portarlo in giro e fare qualcosa.

                                                                                                       

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