“Rise of the Robots” (di Martin Ford), riflessioni a margine
23.08.2016, L’approfondimento (di Federico Lenzi)
“Technology and the Threat of a Jobless Future”
Quest’estate avremmo potuto affrontare i soliti temi, come lo spostamento del turismo verso Calitri- Gesualdo e l’assenza di grandi finanziamenti regionali su quello che è il primo polo turistico della provincia (solo per i suoi abitanti). Vogliamo, invece, parlare dei problemi che riguardano la vita di tutti di noi ed a larghe vedute danno una visione approfondita dei problemi di questa terra. Vi parleremo di “Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless”: best-seller dell’imprenditore Martin Ford per il “New York Times”, nonché vincitore del “Financial Times and McKinsey Business Book of the Year Award 2015”. L’opera del futurista della Silicon Valley, tradotta in diciannove lingue (non ancora in italiano,) è divenuta un best-seller mondiale.
Ogni giorno la nostra società scarica la tensione contro facili capri espiatori, pensiamo all’immigrazioni. Eppure, oggi, il vero problema affrontato dai giovani è trovare un lavoro; mentre quello della generazione precedente è riuscire ad arrivare a fine mese. Stiamo assistendo a una polarizzazione tra un élite benestante e masse impoverite. La classe media è in via d’estinzione e le tensioni sociali aumentano con la disuguaglianza. In “Rise of Robot” Martin Ford parte dall’esposizione di questi trend, analizzandoli alla luce dei recenti cambiamenti tecnologici. Non avere autonomia economica significa non avere la possibilità di decidere il proprio futuro, significa vivere in uno stato d’angoscia e di tensione perenne. Al di là di ogni ideologia, il welfare-state oggi più che mai rivendica il suo ruolo fondante per la pace sociale.
In Irpinia l’arretratezza già presente acuisce questi fattori; a riprova di ciò, emigriamo sempre più verso le aree che stanno cogliendo le opportunità dei cambiamenti. Il progetto di un’area rurale e di un ritorno al passato (vedasi treno turistico) senza tener conto di questi fattori risulta semplicemente… anacronistico. Agricoltura, biodiversità e turismo sono possibili se interpretati in un’ottica moderna, altrimenti significa aumentare il divario rispetto alle aree sviluppate.
La terza rivoluzione industriale, come è chiamata l’ondata d’innovazioni degli ultimi anni, ha caratteristiche tecniche diverse e paragonarla a quelle precedenti è una mera faciloneria. L’automazione sta distruggendo numerosi posti di lavoro, ma le attività sorte negli ultimi anni non sono in grado di creare occupazione di massa. Le start-up di maggior successo degli ultimi dieci anni: “Youtube”, “Whatsapp” e “Instagram” sono state vendute per un valore totale di 21.65 miliardi e con solo 133 dipendenti. Pochi tecnici sono in grado di gestire una vasta rete di distributori automatici, costando il posto a decine di commessi. Nessun cambiamento può essere lasciato allo stato brado, sperando che si risolvi da sé. Come nell’ottocento il comunismo spinse le masse contro l’accumulazione del capitale, anche oggi abbiamo bisogno di arginare il ritorno delle rendite e del capitale nell’élite in possesso delle macchine.
Come ampiamente dimostrato, l’avvento dell’automatizzazione e l’aumento della disoccupazione porta al corto circuito delle nostre economie: si produce meglio e a meno, ma andando ad eliminare lavoratori/consumatori. L’aumento della disuguaglianza tra la popolazione qualificata e quella costretta ad accettare salari inferiori amplia il mercato dei beni di lusso e distrugge i mercati di massa. La minoranza ricca non riesce a spendere tutte le sue ricchezze, ma spinge le classi povere ad indebitarsi per garantirsi i servizi essenziali. Tra il 1989 e il 2007 l’indebitamento della classe media statunitense è passato dall’80% al 160%, sapete qual è stato il risultato? Lo scoppio della bolla speculativa con cui è iniziata l’attuale crisi economica. Siamo a un bivio dove andiamo incontro a nuove crisi finanziare lasciando indebitare la classe media o, nel caso opposto, a una brusca frenata dei consumi e della produzione industriale. Gli indicatori economici sono nati nell’era analogica e con gli effetti a catena di automatizzazione-disoccupazione-disuguaglianza ci offrono costantemente scenari negativi. Occorre, quindi, aggiornare anche le modalità con le quali viene monitorata l’economia; molti paesi stanno già rivedendo le modalità per il calcolo del Pil.
L’automatizzazione fa risparmiare sulla produzione e garantisce prezzi più bassi. Per qualsiasi profano/populista questo appare come una manna dal cielo, ma lo è davvero? Il calo costante dei prezzi (deflazione) spinge i consumatori a rimandare i consumi in attesa di prezzi più bassi, facendo così diminuire gli scambi. Al contempo, i datori di lavoro difficilmente riuscirebbero a convincere i sindacati ad abbassare i salari e sceglierebbero di licenziare. In questo scenario i debiti verso gli istituti finanziari rimarrebbero costanti portando nuovamente in crisi il settore bancario. L’uso di prodotti derivati nell’economia mondiale è ancora massiccio e faciliterebbe il dilagare di una nuova crisi finanziaria. In fin dei conti, non è stata una decennale deflazione ad aver fermato la crescita giapponese?
Le nostre società sono orientate verso il settore dei servizi (salute, educazione, assicurazioni, finanza, ristorazione, ecc..), dove abbiamo gran parte dei posti di lavoro e spendiamo le nostre risorse. Ad esempio solo il 3% del PIL statunitense finisce in manifatture cinesi, nonostante esse occupino gli scaffali di gran parte del settore retail.
La delocalizzazione offshore era solamente la prima via per abbattere i costi di produzione, la seconda fase sta vedendo il ritorno delle multinazionali in patria grazie al lavoro automatizzato. Se questa prima fase ha interessato il settore manifatturiero, non appare impossibile l’impiego di laureati cinesi e indiani per le ultime posizioni ben retribuite. Il loro livello di inglese e preparazione risulta ancora mediocre, ma con grandi investimenti stanno cercando di recuperare il gap. In un mondo di pochi ricchi, dove il liberismo spinge l’economia verso l’anarchia, è scontato ipotizzare come l’opportunità di nuovi profitti porterà offshore anche il settore terziario. Questo fenomeno spinge la popolazione qualificata nelle ultime posizioni di lavoro lasciate dall’automatizzazione ai lavoratori non qualificati, spingendo questi ultimi verso la disoccupazione e mandando in corto circuito il mercato del lavoro.
Come l’automatizzazione cambia la nostra società?
Un esempio da poter applicare localmente, nei castagneti, viene dalle fattorie australiane dove con software, sensori e piccoli droni è possibile controllare le piante intervenendo unicamente su quelle bisognose di cure. Questa tecnica permette di fornire acqua e pesticidi solo se necessari, garantendo eco-sostenibilità e notevoli risparmi. Un drone è acquistabile con poche centinaia di euro e lo stesso vale per le restanti attrezzature. Inoltre, nel futuro i lavoratori stagionali impiegati nella raccolta potrebbero essere sostituiti da macchine (come accaduto nelle coltivazioni di noci in California).
Molti di noi hanno problemi di memoria su smartphone e pc con l’avanzare della tecnologia, ma all’interno delle aziende questo problema è stato risolto grazie al cloud. Miliardi di documenti sono conservati su immensi server in luoghi remoti, ma restano accessibili in ogni angolo del mondo grazie alla rete internet. Oggi è possibile risolvere complicatissimi problemi affittando la potenza dei computer del server: migliaia di pc lavorano contemporaneamente sullo stesso problema, aprendo orizzonti sterminati. I server possono essere un’opportunità economica per le comunità rurali: necessitano di vasti spazi in zone isolate e fresche, dov’è possibile ottenere incentivi fiscali uniti ad energia elettrica a poco prezzo.
I primi cambiamenti stanno avvenendo anche nella ristorazione, la catena giapponese “Kura” utilizza macchine per preparare il sushi e sono già in sperimentazione robot per i fast-food. Le grandi catene americane potranno presto avere prodotti gourmet a prezzi discount. “Le cose di una volta”, quelle fatte a mano, hanno un sapore diverso… potreste obiettare… certamente, ma tentativo dopo tentativo i linguaggi di programmazione stanno abbattendo ogni ostacolo. In fondo, non sono anche loro una creazione umana?
Neanche la governance delle città è immune da questi cambiamenti: la municipalità di Chicago attraverso una serie di sensori, telecamere e dati raccolti dai suoi uffici ha creato un enorme database a disposizione dei city manager per un’efficiente gestione della stessa. Ogni giorno abbiamo la possibilità di raccogliere migliaia d’informazioni, le quali con l’avvento dei big-data iniziano a divenentare una ricchezza inestimabile.
Sorvolando l’applicazione nel campo politico/dirigenziale, pensiamo per un attimo a “Facebook” e al suo principale scopo. Mi auguro sappiate come il social network per eccellenza riceva introiti grazie alla vendita (per fini commerciali) delle informazioni da voi fornite attraverso likes, ricerche, amici, spostamenti, stati e quant’altro. “Google” con l’accentramento di una miriade di servizi nel suo universo opera nello stesso modo. Le multinazionali, grazie ai cookies, sanno cosa avete appena visualizzato sul vostro pc e dopo pochi minuti sono in grado di bombardare il vostro schermo con annunci simili. “Amazon” e “Netflix” possiedono algoritmi in grado di analizzare statisticamente le vostre ricerche e indovinare i vostri gusti. La promozione turistica del Laceno giungerà mai all’uso dei big-data o almeno a una gestione dei social-media efficiente?
Tornando alla distruzione di posti di lavoro, pensiamo ai magazzini di “Amazon” interamente gestiti da robot, o alle catene di produzione nel settore automotive: settori in cui si svolgono mansioni poco qualificate, semplici o ripetitive possono essere conquistati dalla robotica. Fino a qualche anno fa le macchine avevano una visuale 2d che impediva movimenti in profondità nello spazio o di distinguere velocemente forme e colori; il mondo dei videogiochi ha però introdotto l’accelerometro con la “Nintendo Wii” e la “Xbox” ha risposto con la “Kinect” (una telecamera a infrarossi capace di calcolare distanza e movimento degli oggetti sul ritorno del fascio luminoso). Queste due tecnologie stanno portando allo sviluppo di nuovi robot che presto elimineranno ogni lavoro nel settore logistico.
Nei prossimi anni sono a rischio anche i lavori maggiormente qualificati, pensiamo ad esempio al crollo delle retribuzione di chi possiede un bachelor (laurea di 3 anni) e di tutte quelle professioni imitabili dalle macchine. Esistono già dei software in grado di sostituirsi ai giornalisti, specialmente per la cronaca di eventi sportivi/dibattiti. Possiamo considerare anche l’esperimento “Watson” della “IBM”: in grado di sconfiggere il campione umano del quiz di cultura generale “Jeopardy!”. Ora “Watson” è utilizzato come supporto nelle diagnosi in alcuni ospedali USA e nelle analisi finanziarie. Lavori un tempo altamente qualificati come l’analista finanziario e il radiografo sono oggi messi a rischio da questo progetto della “IBM”. Non dimentichiamo come l’Italia anni abbia lasciato fallire l’”Olivetti”, prima di raccogliere i frutti di quello che era il principale competitor del colosso americano “IBM”.
Una quota tra il 50% e il 70% delle transazioni finanziare sulle piazze americane è mossa da fondi pensioni e fondi d’investimento collettivi attraverso software autonomi. Oggi parte della finanza globale è in mano alle valutazioni degli algoritmi. Le stesse informazioni, capaci d’influenzare gli umori dei mercati, sono elaborate da aziende come “Bloomberg” con software per l’analisi del flusso continuo dei dati.
Negli studi legali al servizio delle grandi multinazionali software capaci di analizzare e trovare non solo parole, ma interi concetti in migliaia di documenti digitali. Questi hanno diminuito il numero di personale da assumere e non hanno offerto altrettante possibilità di impieghi.
Nelle zone di guerra e per mille altri usi, i droni hanno già sostituito i piloti di elicotteri ed aerei.
Le stampanti 3d stanno facendo la loro comparsa permettendo di costruire strato dopo strato complessi oggetti in plastica o altri materiali, ma per il momento sono modelli lenti e in piena evoluzione. Nonostante ciò, lo sviluppo di stampanti 3d da impiegare nel campo edile e nelle cucine potrebbe distruggere settori che assorbo gran parte dei lavoratori meno qualificati.
Oggi tutti conosciamo l’auto a guida automatica di Google, un progetto volto alla creazione di un mondo dove ognuno potrà chiamarne una dallo smartphone per condividerla con altri viaggiatori. Questo progetto porterebbe alla distruzione di un’industria automobilistica (con il relativo indotto) basato sul mito di un auto come status-symbol per ogni famiglia/individuo. Nonostante i molteplici progressi, questo settore resta ancora lontano diverse decadi dal rivoluzionare le nostre esistenze. L’unica vera rivoluzione, al momento, resta “Uber” con lo scardinamento del mercato chiuso dei taxi.
La macchina non si ammala, non si distrae, non ha contrasti con i colleghi o altri mille imprevisti tipici del lavoratore umano; pertanto il capitalismo tende a grandi falcate verso la massimizzazione del profitto per mezzo dell’automatizzazione. Automatizzazione significa però perdita d’esperienza da parte dei lavoratori umani, relegati ad attività di supervisione. Naturalmente il progresso nel campo della robotica procede a scaglioni, periodi di grandi invenzioni sono seguiti da lunghe stagnazioni, e quest’ondata d’innovazioni potrebbe arenarsi presto. Con le tecnologie attuali appare ancora utopica una macchina dotata della versatilità e creatività del cervello umano.
D’altro canto questa rivoluzione offre la possibilità di aumentare le proprie competenze anche non potendosi permettere le rette dei migliori college: perdiamo lavori poco qualificati, ma abbiamo nuove opportunità per migliorare le competenze di disoccupati e inoccupati. Come mai questo fenomeno non sta bilanciando gli effetti negativi della robotizzazione? Sono ancora pochi i soggetti con la volontà e un inglese sufficiente per seguire un MOOC su “Coursera”, “Edx” o “Udacity”. Questo mette in evidenza l’urgenza d’investimenti nei sistemi scolastici onde adeguarli a un mondo globalizzato e digitalizzato.
Possibilità e impossibilità di cambiare questo trend.
Per risolvere queste problematiche una soluzione ampiamente dibattuta in questi anni è il reddito di cittadinanza: un minimo capace di redistribuire le ricchezze garantendo a tutti i servizi essenziali. Lo stesso risulta più efficiente della pubblica erogazione, in quanto sostiene i consumi sui liberi mercati. Ovviamente servirebbero uffici per l’impiego davvero capaci d’inserire e formare, punendo coloro che vogliano approfittare di questo minimo essenziale. Un’altra alternativa sarebbe fornire questo reddito minimo in cambio di lavori di pubblica utilità, dando incentivo a trovarne uno vero. Il reddito di cittadinanza è stato testato solamente in piccole aree (Alaska dal 1976) o per poco tempo, e una sua introduzione richiederebbe successivi perfezionamenti. Ad esempio, potrebbe contenere ulteriori incentivi economici per chi scelga di rivitalizzare il tessuto sociale ed economico delle aree sottosviluppate come l’Irpinia. Dalla finanza al capitale, dall’evasione fiscale fino all’emissione di gas serra sono molteplici i settori in cui introdurre nuove tassazioni a sostegno di questo progetto. Il problema in se’ non è dato da insufficienti imposte, ma da un sistema progressivo unicamente nei principi. Quali sono gli effetti? Il carico fiscale si ripercuote soprattutto sulle fasce più deboli. Eliminare la tassazione è un colpo basso al welfare state e offre grandi vantaggi solamente ai più facoltosi. Il vero problema è far pagare le giuste tasse all’alta società e alleggerire il carico fiscale sulle attività economiche.
L’ultimo ostacolo per affrontare quest’epoca di cambiamenti è dato di un sistema legislativo obsoleto e pretenzioso di rimanere ancorato ai canoni tradizionali in un mondo in continua trasformazione. Pensiamo alle tante piccole attività/iniziative che potrebbero aiutare a sviluppare il turismo in piccole zone come le nostre, ma costrette ad essere accantonate per i troppi requisiti o costi richiesti dalla burocrazia. Il sistema giuridico, come mezzo di controllo della società, in alcuni paesi finisce per amplificare gli effetti negativi di questi cambiamenti. Consideriamo la facilità con cui i facoltosi occultano i capitali in paradisi offshore o alle tassazioni preferenziali ottenute dalle grandi imprese e, al contempo, all’asfissiante tassazione sulla classe media. La stessa società italiana sembra non rendersi conto di questi grandi cambiamenti. Provate a leggere un giornale o un sito anglofono e confrontatelo con le notizie sui tabloid italiani: il divario è abissale, per non accennare a cosa circola sui social…
“Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless” è una spiegazione scientifica e razionale dei fenomeni in corso nella società occidentale, un’alternativa all’ irrazionalità delle ruspe. L’ordine democratico e sociale è messo a rischio da queste forze disgreganti, le quali potrebbero facilmente evidenziare una frattura sociale in base al livello di formazione (fenomeno già accennato dai movimenti populisti). Il mondo sta cambiando, ma come potrà mai reagire l’Irpinia? Impiccando i caciocavalli? Forse.
Federico Lenzi