Irpinia attenta a quel petrolio
21.08.2016, Articolo di Vincenzo Garofalo (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2016, Anno X, n.3)
Ormai se ne parla da tempo, l’Irpinia è giacimento petrolifero nelle mire dei piani di sviluppo (ma si tratta di vero sviluppo?) del Paese Italia. La storia ci dice, anche scorrendo le pagine di antiche guide turistiche del Touring Club Italia, che qualche giacimento petrolifero, con relativa pompa di estrazione, effettivamente c’era… ma basta soffermarsi sul perché queste trivelle siano oggi scomparse per domandarsi come mai. Un qualche motivo ci sarà, oppure no?
Ma lasciamo ai curiosi le ricerche storiche. Petrolio solitamente è sinonimo di ricchezza.
Simbolo di questa associazione di idee (Soldi & Petrolio) è la storia di un personaggio il cui nome è passato alla storia: J. D. Rockefeller. Personaggio vissuto a cavallo tra l’800 ed il 900, John Davison fondò una delle compagnie petrolifere più grandi degli Stati Uniti diventando, in poco tempo, uno degli uomini più ricchi del mondo. Qualcuno ancora ci crede a questo sogno dell’oro nero, qualcun altro, invece, proprio no. E se qualcuno è diffidente, probabilmente, un motivo ci sarà. Proviamo a capire il perché? Spostiamoci in una regione confinante con la nostra, la Basilicata. Sicuramente ci verrà in mente una terra selvaggia, verde, montuosa, silenziosa, dove tra l’altro producono un vino rinomato, stretto parente del nostro: l’Aglianico del Vulture. Come mai la Basilicata? E’ proprio la nostra vicina ad essere già teatro di estrazioni petrolifere. Cosa sta accadendo li? Cosa potrebbe, con elevata probabilità, accadere anche a casa nostra?
Il Corriere dell Sera, noto quotidiano di tiratura nazionale, si è occupato, con un’inchiesta, della situazione nella regione dei Sassi di Matera. In “L’oro nero che in Italia rende poveri” (si cerca di comprendere come mai, proprio nella terra del petrolio la povertà sia dilagante. Con questa frase, che mi ha fortemente colpito, si apre l’inchiesta: “La Basilicata è la regione più povera d’Italia: dati Istat 2010. La Basilicata ha una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale: dati dell’Associazione Italiana Registro Tumori“.
Quel che sta accadendo è piuttosto grave: l’economia invece di crescere, nell’indotto petrolifero, muore. Le aziende agricole soffocano e chiudono, posti di lavoro si perdono, il turismo viene suicidato. Due frasi andrebbero messe a confronto:
La Basilicata ha oltre 400 siti contaminati dalle attività estrattive: dati della Commissione Bicamerale sul Ciclo dei rifiuti.
La Basilicata è ricca di petrolio: dati Eni. Quel che è ancora più grave è che non si riesce neppure a denunciare il disastro ambientale che sta contaminando l’intero ecosistema: “In Basilicata si sta tentando di salvare l’ambiente da un presunto inquinamento provocato dai pozzi petroliferi. Per questo si va in galera. Ne sa qualcosa Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia Provinciale di Potenza che per aver segnalato una massiccia presenza di idrocarburi nelle acque del lago del Pertusillo, a due passi dal Centro Oli Eni a Viggiano, è stato sospeso dal servizio, dalla paga e dai pubblici uffici per due mesi, sottoposto a un processo e spostato a guardare le statue in un museo. Non è andata meglio al giornalista e coordinatore dei Radicali lucani Maurizio Bolognetti che ha pubblicato la notizia dell’inquinamento. I carabinieri gli hanno perquisito casa da cima a fondo. Pochi mesi dopo, in quel lago sono morti centinaia di pesci”.
Anche Anno Zero, l’ormai defunta trasmissione di RaiDue, si occupò del petrolio lucano.
La situazione appare alquanto preoccupante, e lo è ancor di più osservando le immagini proposte tempo fa sulle reti nazionali. Ma continuando a scorrere l’inchiesta del Corriere, ci si imbatte in un altro passaggio piuttosto importante (perché? Perché si parla d’acqua, e l’acqua è l’oro blu della nostra provincia): “Al di là di quello che è il balletto dei numeri, siamo andati sulla linea di sbarramento della diga del Pertusillo. A dieci metri di distanza c’è l’impianto che porta queste acque a Bari, Brindisi, Lecce e in parte della Basilicata. Le stesse acque vengono utilizzate in agricoltura. In superficie galleggia un fitto manto marrone, schiumoso e maleodorante. «Non è terreno – ribadisce il tenente Di Bello – Sotto ci saranno almeno altri 60 mt di acqua». Lancia un sasso. Fa fatica ad affondare. Si muove come in una melma, come se fosse petrolio. C’è di tutto, dalle bottiglie di detersivo agli pneumatici. «L’amalgama di tutto sono gli idrocarburi leggeri e i densattivi provenienti dai depuratori che non funzionano». Idrocarburi sono stati trovati anche nel miele delle api. Nessuno osa dire da dove provengano. «Qui nessuno dice che c’è inquinamento. Se vai alla regione ti dicono che è tutto a posto» commenta sconfortata Giovanna Perruolo della Confederazione Italiana Agricoltori”.
“L’elenco delle conseguenze dell’inquinamento è lungo. Parla di animali che non fanno più il latte nelle vicinanze degli impianti petroliferi, vigneti secchi, uva che cresce con una patina d’olio sui chicchi, terreni diventati infruttiferi, pesci che muoiono in massa, pere dal marchio Dop che non coltiva più nessuno. «Ormai ci arrivano solo richieste di pensioni per masse tumorali, l’incidenza delle malattie è altissima»”.
Si dirà che tanto, a casa nostra, le cose potrebbero andare diversamente. Potrebbero, un termine che, invece, non dovrebbe in alcun modo esistere in questi casi… è la certezza, certezza che nessuno può darci, che le cose vadano diversamente a dover esser richiesta. Utopia.
Ad occuparsi della questione oro nero in Basilicata è stato anche il quotidiano Repubblica.
Nell’inchiesta: “ Il petrolio della Lucania” si parla anche del parco naturale della Val d’Agri. Ancora qualcosa che ci riguarda da vicino: li dove vogliono estrarre petrolio c’è un Parco Regionale, quello dei Monti Picentini, ricco di sorgenti e falde acquifere. Nel sottotitolo della galleria fotografica dell’inchiesta di Repubblica si legge: “Una regione che aspettava il rilancio, se non la ricchezza, dall’oro nero scoperto ormai due decenni fa nel suo sottosuolo. Oggi si vive una certa delusione: forse le royalties hanno evitato la bancarotta ma lo sviluppo non è partito e ci sono ancora molti dubbi sull’aspetto ambientale“. Ancora altre fotografie, in perfetta antitesi alle bellezze naturali che sarebbe opportuno promuovere e conservare, stavolta di pozzi d’estrazione e raffinerie, accompagnate da una breve descrizione:
Gli impianti in Val d’Agri, l’area lucana con la maggior concentrazione di trivellazioni di tutta la Regione, con 39 pozzi di estrazioni che pompano quasi 90mila barili di greggio al giorno. Anche la Gazzetta del Mezzogiorno non tace sullo scempio petrolifero della Basilicata. Accade nella terra dell’oro nero: “«Ci sono 11mila gestori – spiega il Presidente di Faib Martino Landi – che hanno accumulato debiti per mezzo miliardo di euro, rischiando di giocarsi casa»“. Sarà colpa delle tasse, delle politiche nazionali o del sistema locale, ma il fatto è uno: lì dove avrebbe dovuto esserci benessere, lì dove vede la luce la melma nera, i benzinai chiudono.
Prima di chiudere con il discorso Basilicata e Petrolio, eccovi un link che vi permette la lettura e di scaricare un approfondimento curato dal Parco Appennino Lucano sulla situazione lucana tra gli anni 2008-2009.
E in Irpinia? A casa nostra cosa accade?
Online potete trovare informazioni e approfondimenti sulla situazione locale grazie al comitato NO TRIV. Sul blog si parla dei problemi connessi alle estrazioni petrolifere, ai pericoli per la salute e per l’ambiente, per le comunità locali e si tenta una manovra di sensibilizzazione… Nel video che trovate sul sito “Terre del lupo” si può ascoltare più d’una voce. Si parla di impatti ambientali, di limitazione dei danni e di sicurezza. Qualcosa però non torna, proprio guardando a cosa accade in Lucania. Interessante, e toccante, proprio sul tema petrolio, è quanto scritto in una lettera-appello aperta a tutti e diffusa online: Appello Basta Petrolio.
“Non siamo dei nostalgici né siamo contro il progresso, ma il nostro modello di sviluppo punta sul biologico e sull’originalità; sulla valorizzazione del territorio e delle sue peculiarità. Questa è la vera modernità: valorizzare le proprie ricchezze. Questo è il nostro “petrolio”: l’agricoltura biologica e sostenibile, le nostre peculiarità enogastronomiche, l’acqua potabile, l’aria salubre, le bellezze artistiche, architettoniche e del panorama. Con queste ricchezze possiamo dichiararci gravidi di futuro, utili per la collettività e non nostalgici del passato agricolo. Anzi siamo orgogliosi di questi che oggi sono dei veri valori umani. Quanti di Voi conoscono e apprezzano la nostra cucina, i nostri prodotti agricoli: il vino, l’olio, le soppressate, il formaggio, la verdura, le uova fresche, ecc. ecc”.
In un territorio dove l’acqua è regina, il vino re, l’agricoltura l’unica valvola di sostentamento, il turismo l’occasione del futuro, il terremoto paura costante, vien logico domandarsi: perché il petrolio? Perché mettere a rischio tutto quello che fa parte del nostro patrimonio, del nostro passato, del presente, del futuro, per qualcosa che, inevitabilmente, in un bilancio sociale ed ambientale, produce più effetti negativi che positivi? Perché porre le basi per un declino ancor più rapido, invece di correre a promuovere un angolo incontaminato d’Italia, di quel Mezzogiorno sofferente?
E’ questa la domanda da porsi. Una risposta arriverà inevitabilmente, e non sarà certo quella che ci piacerebbe ricevere: l’Irpinia non è degli irpini.
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Vincenzo Garofalo
Nato ad Avellino, ha studiato Economia, Mercati e Management presso l’Università di Ferrara, con tesi in Organizzazione e Gestione delle Risorse Umane (dal titolo: Analisi della relazione tra Promotive Control, Restrictive Control e Job Crafting). Laureato in Economia e Amministrazione delle Imprese presso l’Università degli Studi di Salerno, con tesi di Laurea in Storia Economica (dal titolo: L’economia del Mezzogiorno durante il Fascismo. Il caso dell’Irpinia), è appassionato lettore di saggistica, romanzi e fumetti. Sommelier A.I.S. (I, II e III livello), appassionato di fotografia e musica, attraverso il vino e la cucina, i libri e le ricerche, ha deciso di immergersi nel mare di storia e tradizione della propria terra natia: l’Irpinia, la “terra” del lupo. L’amore per l’Irpinia ha trovato, poi, compimento in un altro progetto: Invasioni Irpine, un viaggio fotografico itinerante di scoperta e divulgazione, di cui è co-fondatore. Da febbraio 2015 collabora con il giornale online ilNadìr.net occupandosi di Economia, e con Zon.it occupandosi di temi locali.