L’Irpinia del turismo: terra di snob, millantatori e prestigiatori. Meglio si chiurimmo proprio
17.08.2016, Articolo di Giulia D’Argenio (dal sito www..orticalab.it)
Se per Napoli parte del merito pare possa essere ascritta ad ISIS, ad Avellino, come di consueto, il risultato raggiunto è certamente e assolutamente tutto farina del nostro sacco. E visto che la paura 90, è evidente che la patria della smorfia per questo Ferragosto ha fatto tombola anche perché, vista l’aria che tira in giro per il mondo, tanta gente ha invertito la rotta riversandosi sul Capoluogo partenopeo: 3milioni di turisti per l’esattezza.
Noi, invece, le fiurelle le appariamo da soli, confermando, nella caparbia coerenza che connota i montanari, il nostro zero assoluto: qui i caselli avranno lavorato al massimo nelle direzioni in uscita da Avellino, varcati da quanti, pochi o molti non è dato saperlo, hanno deciso di lasciare all’Irpinia il suo idilliaco verde e andare a vedere un poco di vita altrove. E, per carità, niente velleitarie volontà di mettere a paragone la lana con la seta. La città del Golfo non ha nulla a che fare con la nostra “provincetta” di piccole e disordinate contrade (un paragone con Avellino Capoluogo, poi, equivarrebbe addirittura a sparare sulla Croce Rossa), ma questa sonora mazzata nei denti dovrebbe insegnare una cosa molto importante a noi, cittadini, amministratori, rappresentanti e consimili: stammoci zitti che facimmo chiù bella fiura.
L’Irpinia è l’ombelico di se stessa, la terra nella quale lo sport nazionale più e meglio praticato è quello della chiacchiera libera: i consorzi, i vini, le eccellenze, la terra delle bellezze incomprese, dei festival, delle feste e festini e dei forastieri in casa. Sì perché, diciamoci la verità, questa provincia pullula di grandi personalità, dai produttori agli artisti, che si vendono, letteralmente, molto bene fuori dall’Irpinia e vendono ancor meglio quanto qui producono, in senso più o meno materiale, mentre a casa loro passano il tempo a farsi la guerra o, peggio, fanno a gara a chi snobba di più il vicino in virtù di una presunta superiorità.
A questi maestri di portamento col naso all’insù, si aggiungono i prestigiatori della parola e della moneta: quelli che, riempiendo la testa della gente di chiacchiere incomprensibili e gareggiando a chi la spara più grossa su prodigiosi progetti di sviluppo, fanno sparire i soldi nel nulla senza che nessuno se ne accorga. Li fanno sparire convogliandoli su progetti inutili e dispendiosi che, in almeno 30 anni, hanno avuto come unico effetto quello di confermare, di volta in volta, la loro incapacità a pianificare una politica economica e di sviluppo seria, cosa ben più complicata e complessa della politica delle chiacchiere e dei pensieri. Ora, la nuova carta a disposizione dei nostri prestigiatori è data dai fondi della famigerata programmazione 2014-2020. Soldi che, stando così le cose, sarebbe meglio dare a chi è capace di imbastire solide realtà piuttosto che favolistiche narrazioni che producono poco più di una sagra, smunta e di basso profilo, che va calando di anno in anno.
Insomma, se questo è il meglio che siamo capaci di fare, è meglio che chiurimmo proprio che tanto nisciuno c’addora, e non solo a Ferragosto.