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L’Alta Irpinia tra paesi reali e paesi narrati

28.06.2016, Articolo di Paola Liloia (da www.irpiniapost.it)

IrpiniaL’Alta Irpinia nei titoli, nei sottotitoli, negli occhielli ammiccanti postati su Facebook. C’è una tendenza che osserviamo da qualche tempo da parte degli altirpinofili che vivono nelle città. Di quelli di Avellino, dei napoletani. Degli esigenti villeggianti milanesi che tornano sempre più di rado.

E’ la tendenza a guardarla, descriverla, considerarla come un’entità a sé rispetto al resto della provincia; un’entità in grado di distinguersi da tutto il resto, di rappresentare con quell’appellativo tutto ciò che è posto ad est di Avellino, proiettato verso la Lucania o la Puglia. Distese di terreno che contengono borghi, castelli, chiese, santuari, sorgenti, fiumi, laghi, montagne, campi a grano e mandrie al pascolo. Viottoli, torri, sacro e profano, castagneti, filari di viti, colori vividi, cieli tersi, aria tagliente e rigenerante.

Con l’estate, anche se siamo al terzo giorno di bel tempo del 2016, l’Alta Irpinia diventa terra di cultura e natura, meraviglioso luogo per il “retiro” estivo di artisti e intellettuali. Capossela e i caposseliani, gli spettacoli sull’acqua e sulle alture. La poesia, l’incanto, lo stile di vita, gli anziani seduti sulle panchine, gli anziani suonatori e gli anziani da fotografare a Cairano. La dimensione contadina, i sorrisi degli abitanti, l’accoglienza

Ma bisogna ricordare che questa Alta Irpinia, sapientemente descritta da tanti cantori della nostra provincia, è anche terra di servizi scarsi o non adeguati, di battaglie contro i mulini a vento il più delle volte perse da cittadini e amministratori. Terra di quei pochi che restano, che devono attendere e pazientare più che altrove per vedersi riconosciuto un diritto. Quindi la poesia stride col dramma, chi vive qui il dramma lo coglie. E’ la storiella del calabrone, ma al contrario. Lui non avrebbe la struttura per volare in relazione al suo peso, ma non lo sa e vola lo stesso. All’opposto molti altirpini sanno benissimo di non poter volare. E infatti non si vola, al limite si scompare nonostante le narrazioni sulla bellezza dei luoghi.

A volte si legge o si sente la percezione di altri e l’abbaglio di alcuni. C’è infatti un enorme divario tra i paesi reali e i paesi sognati o cantati. Tra i paesi della brevissima estate e quelli attraversati da un inverno che dura 9 mesi. Per cui sarebbe necessario recuperare un po’ di misura nelle descrizioni, nelle attività di promozione anche in buona fede.

Probabilmente il nostro eccessivo disincanto è un limite, un’incapacità di pensare in grande e sognare, di capire che una narrazione del territorio che punti a farne un marchio riconoscibile e riconosciuto, come accaduto al Salento o al Cilento, può essere solo un fatto positivo. Della creazione di un marchio d’area del resto si è discusso anche ai tavoli del progetto pilota in quanto strumento di gestione del territorio e mezzo di promozione strutturata.

Chi scrive però vede un rischio. Quello di utilizzare l’espressione Alta Irpinia come specchietto per allodole da inserire in un ragionamento su carta, sul web o dal vivo per assicurarsi un vestito di poesia.Sta passando l’idea che basti scrivere due frasi piazzandoci le parole “bellezza” e “Alta Irpinia” per descrivere appieno i luoghi e attrarre curiosi e potenziali viandanti. Salvo poi scoprire una volta su quei luoghi che si è ancora troppo impreparati per gestire la visibilità data da un eventuale “Marchio Alta Irpinia”. E vale ovviamente per altre zone, come l’Ufita e la Baronia.

Qualche giorno fa un’imprenditrice di Vallesaccarda osservava in una conversione informale: “Vogliono portare pullman di studenti e turisti a Trevico, che è bellissima, è stata risistemata. Ma a Trevico c’è un bar, non c’è un ristorante o un albergo o persino un tabaccaio, manca una bottega di tipicità. E’ questo fare turismo?”.

Premessa l’ovvia considerazione che questa parte di provincia non è adatta a turismi di massa e neppure deve ambire ad attrarli, proporre l’Alta Irpinia nel suo insieme, come marchio, appare ancora prematuro perché l’attitudine all’accoglienza che pure chiunque nel piccolo della sua abitazione possiede in modo innato, non è stato ancora tradotto in valore. Perché l’offerta per turisti, vacanzieri e potenziali residenti non è ovunque adeguata. Il rischio è di comunicare con eccessiva fretta un contenitore con contenuti non ancora all’altezza.

                                                                                                       

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