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Quel circolo vizioso: la storia

23.06.2016, Articolo di Vincenzo Garofalo (da “Fuori dalla Rete” – Maggio 2016, Anno X, n. 2)

Vincenzo-Garofalo-1Scegliendo di parlare di Meridione, non si fa, forse, ancora riferimento all’Irpinia? Credo di si! Questo articolo, quindi, parla del Mezzogiorno d’Italia, non solo d’Irpinia.

Che c’entra, potrebbe chiedersi qualcuno, con “Terre del Lupo”? Rispondiamo velocemente per fugare ogni dubbio legittimo: ho scelto di parlare di un argomento ben più ampio che l’Irpinia, figlio diretto di quell’interesse personale per la Questione Meridionale, perché trovato proprio sulle pagine di un “vecchio” quotidiano di casa nostra: il “Corriere dell’Irpinia”, del 1923. Ma non dilunghiamoci in altre spiegazioni, provo a raccontarvi… Sfogliando gli ingialliti quotidiani, fortunatamente custoditi nell’emeroteca della Biblioteca Provinciale, mi sono imbattuto in una serie di articoli dal sapore amaro: forse non tutti hanno beneficiato di quegli accadimenti storici che oggi vengono narrati con incredibile foga e passione in televisione. Garibaldi, i mille, nascita di uno stato nuovo, il tricolore e l’inno… Non preoccupatevi, non ho uno spirito indipendentista, anzi! Adoro l’idea di un’Italia unita, ne ammiro le piccole diversità locali e penso che siano proprio queste diverse identità la ricchezza della nostra nazione, da valorizzare e raccontare (sto cercando di farlo proprio attraverso le pagine di questo sito), ma non posso far finta di non aver letto, di non aver riflettuto.

Uno degli interrogativi che mi son posto, leggendo questa serie di articoli, è: “Ma davvero la nostra terra ha beneficiato, concretamente, dell’Unità d’Italia? Cosa è cambiato?”. Penso che la risposta non sia del tutto affermativa, come spesso si tenta di dimostrare. Malattia (penso così si possa chiamare) sempiterna delle genti del sud, soprattutto delle classi politiche dominanti, è stata l’estrema volubilità. “Interessante l’anno sessanta per la Storia politica meridionale. Dapprima seguaci entusiasti del Duce, fra l’indifferenza e l’ostilità generale furono pochi scamiciati che davano sfogo all’ideale con schiamazzi e coccarde e guardavano con un misto di compassione e di minaccia la povera gente sulla cui fronte non alitava lo Spirito. E’ questo l’elemento (…) spassoso della nostra lotta politica, quello (…) che ha disseminato di equivoci tutta la vita pubblica italiana. Fu esso che creò l’illusione di un consenso ideale proprio quando il Meridione attraverso le sue classi dirigenti si straniava dalla lotta e veniva così implicitamente a rinunziare ad ogni prerogativa regionale. (…) Occorreranno forse secoli di educazione antieroica perché si possa distruggere dalla radice certo romanticismo da serve che ci rende grotteschi”. [Corriere dell’Irpinia, 08-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”] Quando cadde la resistenza borbonica, fatta l’Italia, fu la borghesia a convertirsi rapidamente al nuovo regime. La stessa borghesia, tra l’altro, aveva, sotto il regime borbonico, potuto ascendere al potere attraverso le politiche di ridimensionamento feudale!

“Il fenomeno è interessante perché per sessant’anni, fino ad oggi, la borghesia meridionale, non farà poi che convergere, ripetendo il movimento iniziale (…) ogni qual volta la lotta sociale esprime dalle libere terre del Nord nuovi valori, tutta la fungaia parassita che vigoreggia sui magri bilanci, tutta l’asinità che s’impingua nel giuoco elettorialistico, ecco in calde lagrime s’affanna a proclamare il nuovo verbo e si piega ai nuovi rappresentati del potere (…)”. [Corriere dell’Irpinia, 08-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”] L’unità d’Italia vide, poi, direttamente contrapposte due realtà differenti: una, quella del nord, particolarmente florida, con “un avvenire di particolare floridezza”, l’altra, quella del sud, composta da “misera gente, ridotta in termini di estremo decadimento per pregiudizi e servitù secolari”, bisognosa di “particolari amorevoli cure”. [Corriere dell’Irpinia, 08-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”]

“Il pericolo più grave era poi costituito dal differente sviluppo economico che, notevolissimo nel Nord, vi creava ben definite correnti politiche, espressioni d’interessi concreti mentre nel Sud azione politica minacciava coincidere con inconsistenza ideologica ed usurpazioni individuali”. [Corriere dell’Irpinia, 08-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”]

La vita unitaria, stando a questi fatti appena evidenziati, che effetti ebbe? E’ facile dedurre che, in termini politici, il sud ebbe ben poco da offrire, ma sempre fu schiavo di correnti esterne. La borghesia, ormai padrona della vita politica, poi, tutt’altro fece che interessarsi nella promozione del territorio… “non solo non tutelarono al tempo della costituzione dello Stato gli interessi delle nostre regioni, ma impedirono sinanche, poggiando sulla menzogna istituzionale, che lo stato potesse almeno affermarsi fra noi come giustizia e tutela amministrativa”. [Corriere dell’Irpinia, 08-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”] Il problema fondamentale è da ricercarsi nel clientelismo: diedero appoggio politico in cambio di legittimazione a commettere scorrettezze amministrative! Ecco, di nuovo, una citazione dell’articolo originale: “(…) Il così detto rappresentante del paese (…) porta l’adesione della sua gente al governo, protettore a sua volta di élites industriali ed operaie, prevalentemente nordiche, e ne ottiene immunità e tutela ed anche vantaggi meramente individuali”, ma subito d’appresso può notarsi come il costume deviato sia talmente radicato nello spirito di alcuni uomini del tempo, che, invece di veri e propri vantaggi economici-politici, si trastullavano con “belle parole ché fra tutte le deficienze meridionali questa appare senza dubbio la più grave: l’amore del vago, dell’inconsistente, dell’etereo, l’ideale inteso come vuota parvenza, estranea alla vita; quella deficienza di senso concreto che fa, putacaso, gli abitanti di San Pietro Irpino attenti alla competizione nappo-americana e dimentichi dei tratturi per cui son costretti arrampicarsi in gara colle greggi”. [Corriere dell’Irpinia, 08-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”] Gli amministratori, possidenti terrieri, sensibili solo agli interessi personali, riuscirono a raggiungere posti di rilievo proprio grazie all’immatura e vaga coscienza politica delle masse, prive di cultura sociale, di visioni collettive, affiancati da uno stato vorace e interessato a garantire uno sviluppo industriale radicato altrove. Mi sorge spontaneo l’interrogativo: ma l’Italia, e il Mezzogiorno in particolare, ha mai avuto uno spirito rivoluzionario dal punto di vista politico? Se spirito rivoluzionario (politico) vuol dire sovvertire i disequilibri malati e da tempo radicati, allora d’esso non v’è mai stata traccia! Quando le idee innovative della Destra storica iniziarono a circolare, quando le cose avrebbero davvero potuto mutare, si ebbe l’incapacità di cogliere il momento: ci si dimenticò dell’ “umile realtà del Paese, la molteplicità delle tradizioni, la diversità dei bisogni”. [Corriere dell’Irpinia, 15-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”] L’ignoranza ed il disinteresse per lo stato di “salute” del Mezzogiorno comportarono l’applicazione di “ordinamenti unitarii che incidevano nella sostanza viva delle moltitudini e pretendevano cancellare di colpo secolari premesse”. [Corriere dell’Irpinia, 15-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”]

Lo Stato apparve allora alle genti, vessate e povere, come un “Dio rapace e inaccessibile” [Corriere dell’Irpinia, 15-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”].

I suoi burocrati, poi, come piovre, s’impadronivano dei piccoli redditi fondiari di stanchi lavoratori, lasciando crescere un senso di forte diffidenza. Questi circoli viziosi continuarono ad affossare il Mezzogiorno, sempre meno capace di autodeterminarsi, sempre più schiavo di rapaci padroni.

Un panorama politico spaventoso, non certo utile a risolvere i problemi radicati nelle piccole realtà locali, non fece altro che peggiorare la situazione: opposizioni caotiche e contraddittorie, sempre pronte a dissolversi, e maggioranze legate da vincoli personali, l’incoscienza dei bisogni nazionali, interessi personali furono spesso causa di “violente esplosioni istintive che macchiavano di sangue la loro miseria”. [Corriere dell’Irpinia, 15-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”.Il caos, l’incapacità di generare una classe politica adeguata, diede vita a una escalation di corruzione! L’Unità, frattanto, non aveva lenito le differenze tra nord e sud, e numerose erano le correnti regionalistiche, lontana invece una seria politica di sviluppo nazionale, unitaria per davvero.

“Favorito dal moto economico lo spirito d’associazione trionfava nelle federazioni padronali, nei sindacati, nelle istituzioni di cultura, nei circoli ricreativi. Queste giovani e rigogliose forze sociali, impadronitesi dello Stato attraverso il metodo democratico, ne volsero a proprio beneficio l’autorità e le risorse mentre nei paesi meridionali il solito pugno di lestofanti allargava le basi del proprio misero giuoco speculando, attraverso i nuovi principi, su nuove miserie e su nuove stupidità”. [Corriere dell’Irpinia, 15-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”]

Le distanze tra nord e sud come potevano ridursi? Il caos político poteva essere mitigato dalla nascita di movimenti prima, partiti poi, figli delle esigenze effettive del popolo. Laddove l’industria soffriva, i sindacati, catalizzando le richieste delle masse, diedero vita a partiti, quali quello socialista, pronti a rivendicare cambiamenti necessari. Ma cosa poteva mai cambiare, quali spiriti potevano mai associarsi laddove l’industria, lo sviluppo, non avevano minimamente posto radici? Il socialismo, quindi, sorse per restare un movimento regionale, creando una distorsione percettiva… fortemente limitato alle aree ove erano i presupposti per la sua esistenza, esso, espandendosi, continuava a dare l’idea di unità, ma nel concreto, quale? “Dopo gli attacchi combinati di camorre industriali e di maestranze agli istituti del credito e alle casse dello Stato, dopo tutta una politica sperperatrice di premi, di privilegi fiscali, di forniture (…) dopo un lungo imperversare di demagogismo plutocratico non è dato più illudersi (…)”. [Corriere dell’Irpinia, 20-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”] Nel momento in cui ci si sarebbe dovuti muovere insieme, ancora una volta, gli interessi del “proprio circondario” prevalsero. Un nuovo buco nell’acqua! Anche il socialismo, nato come organizzazione unitaria, fu un fiasco. Unico sfogo alla povertà e al male, mai curato, del Mezzogiorno, fu l’emigrazione, “come bestiame nel ventre dei transatlantici” [Corriere dell’Irpinia, 20-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”], dei cittadini del sud Italia.

Necessità era (ma non è ancora oggi?) quella di tramutare “le nostre regioni in attivi centri di vita” per “avviare a soluzioni definitive i fondamentali problemi italiani”. [Corriere dell’Irpinia, 20-04-1923 da “Introduzione allo studio del problema meridionale”]. I provvedimenti, qualora presi, causa la leggerezza delle scelte fatte, causa le incomprensioni, finirono con creare illusioni e con l’affermare quel malato sistema di poteri che da tempo vigeva in un sud troppo ignorante per ribellarsi. L’ordinaria attività legislativa, senza essere adeguati alle specifiche esigenze del Mezzogiorno, come avrebbero potuto assicurare la ripresa e lo sviluppo? (La storia, non è forse un circolo?) La domanda, penso, ancora oggi, resta senza alcuna risposta. Intanto l’economia già barcollante della nazione, da anni e anni, mai supportata da politiche adeguate alle esigenze dalla parte meno ricca d’Italia, ma sempre sviluppate per essere momentaneo tampone e catalizzatore di consenso elettorale, continuano ad affossare il Mezzogiorno. L’Irpinia, terra ricca di eminenti personaggi politici (di ieri e di oggi), si ritrova nel pieno della bufera: fabbriche chiudono, agricoltura in crisi, sistemi logistici del tutto inesistenti (si pensi solo allo sviluppo ferroviario locale), continua a cercare di sopravvivere, abbandonata a se stessa, come il resto del sud, sognando grandi progetti, spesso irrealizzabili (o meglio, irrealizzati). E’ destino del Sud essere un peso per la nazione? E’ destino del Sud elemosinare l’interesse di politicanti, ancora oggi, legati al trasformismo e al clientelismo?

                                                                                                       

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