Quando Monicelli fu premiato a Bagnoli
06.12.2010, di Domenico Cambria (tratto da “Il Corriere” del 01.12.2010)
Fu tra i protagonisti del Laceno d’Oro
Nel giugno scorso avrebbe dovuto essere ospite, nell’auditorium della Banca della Campania, della rassegna “Aspettando Giffoni”, insieme ad una delle sue muse, Ornella Muti, per ritirare il premio “Immagine e Comunicazione”. Poi, le sue condizioni di salute non glielo avevano permesso e a salutare il pubblico irpino era stata solo Ornella Muti. Per lui sarebbe stato un ritorno in Irpinia, dove era stato ospite degli anni più belli del Laceno d’Oro. A consegnare un toccante ricordo del suo arrivo in Irpinia, all’indomani della sua scomparsa è Domenico Cambria. Ma una commossa testimonianza arriva anche dalla consigliera regionale Rosetta D’Amelio “La morte di Mario Monicelli mi intristisce molto. Con lui se né va un regista dal talento straordinario, dalla genialità unica. La sua scomparsa lascia un grande vuoto, il nostro paese e la cultura tutta perdono uno straordinario regista, autore di indimenticabili film della commedia all’italiana. Monicelli – sottolinea Rosetta D’Amelio – è stato il regista italiano che più di tutti ha raccontato con attenzione il mondo delle donne. Un mondo fatto di donne di tutte le età delle quali abbiamo tante volte ammirato la storia, ascoltato i monologhi, sorprendendoci per la naturalezza con la quale l’artista toscano ne metteva in evidenza le diversità”.
E’quasi un obbligo per chi, come me, è di Bagnoli, rendere omaggio a Mario Monicelli, uno dei maggiori interpreti non solo della commedia italiana, ma anche di quel grande momento culturale del cinema italiano che fu il Neorealismo. E per questo Bagnoli, con il suo “Laceno d’oro”, dedicò al grande regista la sua VI edizione con il film “I Compagni”. Migliori attrici furono anche Scilla Gabel e Lidia Alfonsi, che accompagnarono il regista al Laceno per il ritiro del premio. Allora giovanissimo, ricordo le due bellissime attrici ospiti presso il Vivaio Forestale sul Laceno, a prendere il sole in bikini come due dee. Noi ragazzi a spiare attraverso la rete metallica che divideva i nostri sogni da una realtà troppo bella e lontana per essere appena possibile. Con Monicelli, tutta una schiera di grandi interpreti come Zavattini, Nanni Loy, Pasolini, Antonioni, De Sica, Rossellini, Visconti, Germi e altri a rappresentare un’Italia in uno dei suoi più significativi movimenti cinematografici e non solo, che ebbe tra l’altro profondi e significativi impatti nella storia del cinema mondiale. Con questi gli uomini politici di quello che dopo fu definito “Il miracolo italiano”: Fanfani, Andreotti, Piccoli, Zaccagnini, Rumor, La Malfa, Spadolini, Nenni, Berlinguer, ecc.. Era quella l’Italia degli anni 60 e 70, l’Italia della grande ascesa economica e culturale. All’interno di questo “miracolo”, tra le tante, il Neorealismo. Tommaso Aulisa, indimenticato sindaco di Bagnoli per den 25 anni proprio in quel periodo, lungimirante come era e di una intelligenza non comune, seppe cogliere questo momento inserendosi all’interno di questo momento, dando l’idea a Camillo Marino e Giacomo d’Onofrio di organizzare qualcosa in Irpinia, perché no a Bagnoli, anche per il lancio del villaggio turistico del Laceno che proprio allora stava venendo alla luce. E così fu. Tra i primi a giungere sul Laceno, Pierpaolo Pasolini, poi direttore artistico della manifestazione. Il primo anno il premio fu assegnato ad Antonioni con il film “Il grido”; il secondo anno a Pietro Germi con il film “Il ferroviere”; il terzo anno a Gillo Pontecorvo con il film “Kapò”. Viaggiava come la luce Bagnoli e il suo “Laceno d’oro”, sino a quando nell’anno 1986 ne decretata la cancellazione perché non gli furono assegnati neppure i 5.000.000 delle vecchie lire che i due organizzatori avevano previsto per l’acquisto della targhe! Un vero e proprio omicidio. Così parla Paolo Speranza attraverso la rivista “Gli anni del Laceno d’oro”, edita a cura dell’Amministrazione Provinciale:
Ma con gli anni 80 l’avventura del “Laceno d’oro” volge all’epilogo, in una terra che vive una nuova e profonda mutazione. I soldi e gli affari della ricostruzione, più che le ferite del sisma, sconvolgono il tessuto urbanistico e sociale della provincia di Avellino. La fase della solidarietà internazionale, delle speranze, delle spinte al cambiamento si esaurisce ben presto, a vantaggio della corsa all’arricchimento facile, alle opere faraoniche, ai mega convegni politici. In questo scenario la cultura perde irrimediabilmente terreno. Avellino diventa più ricca, ma il Corso e il centro storico sono un deserto e le sale cinematografiche chiudono una dopo l’altra. L’Irpinia degli anni 80, d’altronde, non ha più bisogno del Laceno d’oro per farsi conoscere in Italia e nel mondo. A questo ci pensa l’effetto terremoto, la sua ascesa politica, la squadra in serie A…Tanto più che il neo realismo, dopo il terremoto, va inteso “come cultura della denuncia del malcostume politico, dell’opposizione alle clientele politiche, della lotta alle ribalderie mafiose che infestano tutte le regioni dal sud al nord”, come scrive nell’81 Camillo Marino. Il Festival muore a fuoco lento, tra i sorrisi di circostanza e le pacche sulle spalle degli amministratori locali democristiani e l’indifferenza miope di tanta parte della sinistra”. Oggi, a distanza di oltre cinquant’anni dalla sua nascita, il “Laceno d’oro” rivive appena nei ricordi di un tempo proprio attraverso l’impegno di Paolo Speranza, senza però che, né Bagnoli tantomeno il Laceno siano rappresentati perché le solite beghe paesane si antepongono a interessi che potrebbero essere ben oltre quelli campanilistici, se la manifestazione fosse vista come una rinascita della stessa Irpinia, del suo territorio, della sua cultura e del suo fiorente artigianato.
Ma avevamo iniziato a parlare di Monicelli e con Monicelli vogliamo terminare, alla sua grande arte e ai grandi interpreti delle sue commedia che vogliamo onorare. Tra questi: “Guardie e ladri”; “I soliti ignoti”; “La grande guerra”; “I compagni”; “La ragazza con la valigia”; “Boccaccio 70”; “L’armata Brancaleone”, “Amici miei” Bagnoli, come ha dedicato una lapide a Pasolini, così adesso dovrebbe fare anche con Monicelli per ricordare un momento e un’epoca che fanno parte dei sogni più belli del passato, che probabilmente non torneranno più perché tante cose dal 1955 sono cambiate in questa Italia sempre più lontana da quegli uomini e quella gente che solo quarant’anni fa furono i protagonisti del suo “miracolo”.