Irpinia e Val D’Agri: un destino comune?
11.01.2016, Articolo di Ernesto Dell’Angelo (da “Fuori dalla Rete” – Natale 2015, Anno IX, n. 7)
“Le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”.
Questo recita in maniera limpida e cristallina l’articolo 38 della legge 164/2014, meglio conosciuta come “Sblocca Italia”. Nell’ottica di questo obiettivo, il Governo attraverso la modifica del Titolo V della Costituzione, che definisce le competenze di Stato e Regioni, e semplificando le procedure di autorizzazione per le concessioni estrattive, con piglio risoluto scommette sul petrolio. E’ così che l’Irpinia, come già in passato la Basilicata, da anonima terra del sud, diventa obiettivo di interesse strategico nazionale, grazie al prezioso combustibile che serba nelle proprie viscere: il petrolio. Questa terra di boschi, di monti che degradano in piccole valli , di sorgenti d’acqua e castagneti, una volta vocata all’agricoltura e alla pastorizia, potrebbe oggi diventare come la Val D’Agri lucana il nuovo Texas d’Italia. La questione quindi ci riguarda molto da vicino.
Sono un lucano d’adozione, visto che ci vivo da ormai 20 anni , quindi anche se indirettamente la questione petrolio e tutte le sue implicazioni l’ho metabolizzata in questo lungo lasso di tempo. Da 20 anni appunto la Basilicata come un grembo sempre gravido partorisce incessantemente milioni di barili di petrolio. Tutto inizia nel lontano 1996 , quando l’ENI ormai in parte privatizzata (30% Stato Italiano,la restante parte del capitale azionario in mano ad azionisti istituzionali come Gran Bretagna, Irlanda, Canada, U.S.A. ed altri) sigla un accordo con la Regione Basilicata per l’estrazione di petrolio in Val Dagri. La concessione riguarda circa 660Km² di territorio, ed a pieno regime registra in quegli anni la produzione di circa 9000 barili di greggio al giorno. Nel 1998 si insedia il Centro Oli di Viggiano, ove confluiscono attraverso una rete sotterranea di condutture tutta la produzione petrolifera dei vari pozzi di estrazione che nel frattempo è passata, con tre linee di trattamento, alla ragguardevole cifra di 60.000 barili al giorno .Nel 2001 termina la costruzione dell’oleodotto che ,snodandosi per circa 136 Km, collega il Centro Oli di Viggiano a Taranto, attraverso il quale oggi affluiscono nelle raffinerie tarantine quasi 100.000 barili di greggio al dì. La Basilicata con i suoi 126 pozzi di estrazione d’ idrocarburi, di cui solo in Val D’Agri 30 costituisce la più grande riserva petrolifera d’Italia: qui si estraggono circa il 70% del petrolio ed il 15% del gas nazionali. La Regione a fronte delle concessioni estrattive ha visto come contropartita il riconoscimento di una percentuale, tra il 7% e il10% per l’esattezza, sui proventi d’estrazione, percentuale che oggi costituisce le famose royalties ,che nel corso di questi anni hanno maturato fino al 2013, ultimo dato disponibile, la somma di 1,16 miliardi euro. Alcuni di questi proventi sono stati impiegati per finanziare lo stato sociale lucano, nella fattispecie: tra i 20-30 milioni di euro per il sistema sanitario; 2 milioni di euro per borse di studio universitarie; 20 milioni in programmi di forestazione; 3,5 milioni in investimenti nella Società Energetica Lucana. Da un report di ENI del 2013 si coglie il dato dell’occupazione in Basilicata nel settore petrolifero , ossìa : su un totale di 2881 unità di tutto il comparto , circa 1283 sono lucane di cui 206 impegati diretti e 1077 lavoratori della catena di fornitura di beni e servizi (indotto ENI). Fin qui i dati e le cifre ufficiali.
Con lo slogan “ Pittella, (governatore della Basilicata) Pittella, trivella tua sorella”, mia figlia ed i suoi coetanei delle scuole superiori, hanno manifestato ,senza se e senza ma, guidati dalla loro immacolata coscienza ambientalista, contro la paventata ipotesi di nuove trivellazioni in Basilicata. I ragazzi si sa, non sono pronti a mediazioni, a ponderare rischi e benefici : il petrolio per definizione è un inquinante, quindi deve essere necessariamente bandito. Noi genitori che invece siamo chiamati a dare delle risposte utili e concrete, quale approccio dovremmo avere con la questione petrolio ? come ponderare tutto ciò che ad esso ne consegue?
Dalla sommità del Sacro Monte di Viggiano (circa 1725 metri ), si domina la vallata della Val D’Agri. Il verde dei boschi si alterna al giallo delle coltivazione di grano e all’azzurro delle acque del fiume Agri che affluiscono nell’invaso-lago del Pertusillo, un carosello di colori nel quale in stridente contrasto spicca il grigio metallico dell’impianto del Centro Oli Di Viggiano, il più grande d’Italia. Un monumento alla modernità, che con la sua fiamma sempre accesa, ed il suo consueto andirivieni di mezzi in transito ha in parte compromesso un paesaggio da cartolina. Il fiore all’occhiello del settore agroalimentare e turistico della Basilicata si sforza di convivere con la nuova realtà delle estrazioni petrolifere. L’ENI e la Regione pur inserendo nel protocollo di intesa la sostenibilità ambientale dei progetti, hanno disatteso le aspettative dei valligiani, oggi seriamente preoccupati per l’inquinamento ambientale e per le ricadute di questo sulla salute. Il riferimento è alla contaminazione delle acque del Pertusillo e alla qualità dell’aria, visto il presunto aumento di patologie tumorali e cardiorespiratorie (qui ogni condizionale è d’obbligo vista la mancanza di dati certi, il ruolo poco incisivo di organismi terzi di controllo e la recente introduzione di un registro tumori ancora non accreditato). Eppure l’Arpa Basilicata con il suo costante monitoraggio della qualità dell’aria, giornalmente fornisce dati non allarmanti, perfettamente in linea con quelli fisiologici. Nonostante tutto l’inquinamento c’è, si vede ,si percepisce. L’Acqua dell’Abete sorgente con annessa fontanella a 1200 metri di altitudine nei boschi di Calvello, alla quale per devozione vanno ad abbeverarsi i fedeli della Madonna Nera di Viggiano, è risultata inquinata, tanto che il comune ha dovuto apporre la scritta “ACQUA NON CONTROLLATA” , nell’impossibilità di assicurare un costante monitoraggio delle sue sorgenti avvertendo così, che chi beve lo fa a proprio rischio e pericolo. L’ultima indagine epidemiologica che ha fotografato lo stato di salute delle popolazioni residenti nelle aree interessate dalle estrazioni petrolifere risale all’anno 2000. Il progetto, frutto di una convenzione tra la Regione Basilicata e il Consorzio Mario Negri Sud, aveva l’obiettivo di implementare sistemi informativi orientati al monitoraggio sanitario delle comunità particolarmente esposte. Le indagini, basate sulla valutazione delle schede di dimissioni ospedaliera del triennio 1996-98, utilizzabili per l’analisi epidemiologica degli eventi sentinella mediamente più gravi, riguardarono un territorio della Val D’Agri che all’epoca faceva registrare poco più di 11mila residenti. L’analisi condotta, evidenzia: tassi di ospedalizzazione urgente per eventi sentinella cardio-respiratori mediamente più elevati rispetto all’insieme regionale. In particolare nell’area della Val D’Agri furono registrati tassi di incidenza da 2 a 2,5 volte superiori alla media regionale di “ asma, altre condizioni respiratorie acute, ischemie cardiache e scompenso”. Risultati preoccupanti se si considera che l’aumento significativo di alcune patologie cardio-respiratorie si è verificato dopo nemmeno 3 anni dall’entrata in funzione del Centro Oli ENI di Viggiano. Poi nulla più. . Parte dei soldi del petrolio sono stati utilizzati per incentivare e rafforzare l’attività agricola. Operazione velleitaria, visto che – secondo l’Istat – dal 2000 al 2010 le aziende del settore nella Val d’Agri si sono ridotte di circa il 60%.
«È inutile prendersi in giro. Le trivellazioni sono incompatibili con la vocazione agricola del territorio. I nostri prodotti ormai non li vuole più nessuno». A parlare sono gli agricoltori che possiedono ettari di terreno a una manciata di chilometri dal Centro Oli. La petrolizzazione ha danneggiato il territorio non solo sul piano ambientale e paesaggistico, ma pure su quello sanitario, identitario e della coesione.“Fino a ieri, per i lucani la terra era un elemento di identificazione culturale e sociale. Nessuno dubitava dell’acqua e della salubrità dei prodotti locali. Ora invece pensano che le risorse naturali possano essere compromesse e questo cambia profondamente la loro identità. Nel loro immaginario la natura da fonte di vita si è trasformata in rischio di morte “ Ad asserirlo il dott. Alliegro un antropologo,dell’Università Federico II di Napoli che ha dedicato alla questione del petrolio in Basilicata un libro, Il totem nero, nel quale prova ad andare oltre la consueta critica ambientalista e ad analizzare le mutazioni antropologiche dettate dal cambiamento del rapporto tra la gente del luogo e la natura.
In una amabile discussione con l’amico Ignazio, già presidente ed oggi amministratore unico di SEL (Società Energetica Lucana) questi alla mia domanda se ne fosse valsa la pena, saggiamente da politico consumato mi ha risposto: “è inutile crucciarci ancora oggi se ne sia valsa o meno la pena , oggi in Lucania il petrolio che ci piaccia o no è una realtà, il futuro di voi Irpini invece non è stato ancora scritto. Esperti del settore e autorevoli cattedratici potranno convincerci del contrario, di un possibile sviluppo sostenibile legato al petrolio, mostrandoci complesse e moderne tecnologie di estrazione rigorosamente rispettose dell’ambiente. Quello che dobbiamo tener ben presente invece è che in discussione è il futuro delle nostre aree territoriali e il concetto di sviluppo delle stesse, se incentrarlo indissolubilmente sullo sfruttamento delle risorse del sottosuolo con tutto ciò che ne consegue, o se fare per tempo delle scelte alternative e incentrarlo sulle peculiarietà e potenzialità che ricadono sul suolo, con tutte le difficoltà e l’impegno che questo comporta. La scelta petrolifera spiegherà tutta la sua efficacia rispetto alla soluzione dei problemi economici e sociali delle nostre aree? Oppure oltre che all’inquinamento, all’ impatto ambientale, e ai rischi per la salute, risulterà anche essere un enorme freno per altre prospettive di sviluppo, tutte praticabili, che a partire dalla difesa dell’ambiente e della biodiversità possono puntare ad una programmazione dello sviluppo in armonia con le peculiarità locali?.
Dalla Val D’Agri (o Mal D’Agri come oggi ribattezzata), che certo non è ad un tiro di schioppo da noi , ma sicuramente non lontana, quello che di utile noi irpini possiamo mutuare è la consapevolezza che oggi hanno acquisito i valligiani, vale a dire: l’equazione petrolio-ambiente-salute sarà sempre irrisolta.
“Nei prossimi 30 anni ci sarà una grande disponibilità di petrolio e nessun compratore. L’età della pietra non finì perche ci una mancanza di pietre, così l’età del petrolio non finirà perché mancherà il petrolio”. (Ahmed Zaki Yamani)