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Da Pasolini a Sgarbi: storie di ordinaria postmodernità

16.11.2015, Articolo di Alejandro Di Giovanni (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2015, Anno IX, n. 6)

Bagnoli-da-Pasolini-a-SgarbiLa comunità bagnolese, con fiero autocompiacimento, ripone in soffitta i fasti di una memorabile kermesse d’ottobre, ritornando al dolce torpore di un novembre opulento. Il grande show tartufato ha dorato ogni tasca, ogni anfratto, ogni occhio. Il fiordo dell’ economia si è insinuato tra i colli del paese ancora una volta con grande spinta e protuberanza, rinvigorendo le già fertili e mai sazie praterie. La maratona gastronomica, col suo incontrollato fermento agonistico, ha partorito il puntuale rinascimento monetario annuale, ottenendo giocondi onori al traguardo e premi di riconoscimento sul podio. La parata onnivora di genti diverse è un prodotto, è un numero, è matematica, è economia di mercato.

Nella società dei consumi, la matematica e il numero rappresentano le uniche gratificazioni possibili: riempiti i bauli, torniamo a una nuova vita materiale, l’unica arte davvero rinascimentale per l’uomo medio del nostro tempo. Nel marasma postmoderno, si può cogliere il regresso dell’astratta e discreta poesia che ha abdicato a favore di una volgare e urlata mercificazione spettacolarizzata dell’arte, in un ideale passaggio traumatico e definitivo di consegne compiuto in poco più di mezzo secolo, dai pensieri nobili sui verdi paesaggi dell’alta Irpinia di Pasolini ai pasti appagati e in posa di Sgarbi. La riservatezza del poeta alla ricerca di se stesso, l’ idea del suo silente peregrinare solitario alla ricerca di risposte e bellezza, esempio di un’ umanità estinta, e dall’altra l’incedere dell’ uomo mondano perennemente in vetrina, dall’ animo volgare, più che nobile, che non osserva o descrive ma sentenzia con sicumera saccenteria, in un ideale passaggio di consegne, rappresenta la parabola discendente dell’ uomo (e intellettuale) dell’ era postmoderna.

Certo, il paese rurale degli anni cinquanta del dorato Laceno non esiste più, oggi la società, con la sua fretta, non lascia più tempo e spazio al pensiero materialmente improduttivo, ci si ritrova allora quasi sempre in grandi mercati esclusivamente per mangiare o guadagnare, e per mettere in scena sfilate con simboli riconoscibili e socialmente apprezzabili. Ho provato ad immaginare un suo virtuale ritorno, a quarant’anni dalla morte, a distanza di cinquantasei anni, quando scelse per il suo festival neorealista Bagnoli Irpino e Laceno, e ho visto con lui un paese corrotto, non più genuino come quello che si poteva apprezzare in una società contadina degli anni cinquanta e sessanta.

Affannati in una ricerca ostinata del successo personale, ci fingiamo comunità affiatata nei giorni di sagra, per poi ritornare presto a scannarci tra di noi per affari di poco conto e invidiose maldicenze da “buona e onorabile” provincia. Ma lo spettacolo deve andare avanti con la sua inarrestabile mondanità, con i suoi numeri, i suoi totali, la sua superficialità, con le vetrine mediatiche e le soubrette pubblicitarie stile Sgarbi, e magari non ci sarebbe nulla di male, se poi si usassero i capitali ricavati o la rinnovata visibilità per investimenti strutturali o per una solidale ridistribuzione, piuttosto che per rimpinguare (come sempre) i già saturi forzieri bancari o postali.

A me piace immaginare ancora quel posto che non c’è e quei valori da recuperare, Pasolini disteso su di un prato a Laceno a chiedersi intimamente “che cosa sono le nuvole?”, a stupirsi ancora del volo di Uccellacci e uccellini, mentre realizza un’ opera anche solo pensata, anziché Sgarbi in una ressa che interroga un concitato bagnolese con domande del tipo “che cosa c’è in questo panzerotto?”, mentre fa sfoggio delle sue competenze da critico d’arte circondato da autorità esaltate.

Ma questa, come tante altre, è un’ altra storia.

                                                                                                       

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