Carni rosse, l’Irpinia (e il Laceno) dicono verde
10.11.2015, Articolo tratto da “Il Mattino”
I ristoratori Pisaniello e Memoli: «Solo allevatori seri».
Anche in Irpinia allarme carne rosse? L’argomento necessita di chiarezza: quantità e periodicità nel consumo è ben altra cosa rispetto a quello delle carni trasformate. La chiave esistenziale dell’essere del noto dubbio amletico, diventa quella del vivere bene legato al salutismo, rispetto al non essere, ovvero a quel (rischio) di morire se non si osserva con diligenza comportamenti legati ad una sana e bilanciata alimentazione.
Oggi siti, giornali e tv si equivalgono a menu da ristoranti a cinque stelle, in fatto di consigli, pareri medici, questi ultimi spesso discordanti, ma che ineluttabilmente sanciscono l’equazione qualità-quantità. E non certo per l’uso-abuso delle carni rosse finite sotto i riflettori dell’Oms attraverso studi e non chiacchiere, bensì associandola a tutti gli alimenti dell’ormai celebrato lifestyle.
L’Irpinia dalla sua ha iun vantaggio: la garanzia della tracciabilità di allevatori locali e macellai.
Sul tema, come la pensano i ristoratori? «Sono sincero – esordisce Antonio Pisaniello di Locanda di Bu, Nusco – tutti gli eccessi a tavola, come nella vita, fanno male. Se una produzione deve sfamare milioni di persone, è inevitabile che si finisce per intaccare il prodotto finale. Gli eccessi generano criticità e rischi. 200 anni fa vincenva la produzione di qualità: pochi capi allevati, l’uso di una volta al mese, dettato anche da problemi eceonomici. Dov’era il pericolo delle carni rosse? Oggi il cibo è imposto dalle multinazionali, si deraglia negli eccessi. COme combatterli? Con allevamenti controllati e di nicchia, giusto dosaggio, 300 grammi al mese e cottura giusta».
Per Nicola Memoli (nella foto, ndr), “Lo spiedo” a Laceno, «la razza podolica grazie ad allevatori seri, vedi Branca Dell’Angelo Russo, bruca solo erba naturale dell’Altopiano; i foraggi industraili sono banditi e ciò garantisce genuinità del prodotto».