A proposito di sud e dei referendum abrogativi dello Sbocca Italia
11.10.2015, La nota (di Giuseppe Preziuso)
Trivellazioni, dieci Regioni depositano sei referendum. Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise chiedono l’abrogazione di un articolo dello Sblocca Italia e di cinque del decreto Sviluppo (procedure per le trivellazioni). Sulla questione è attesa anche la decisione della Consulta (gennaio-aprile 2016).
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Cari amici la premessa é che le risorse naturali nazionali di qualsiasi tipo vanno utilizzate. Allentano la bilancia dei pagamenti e creano occupazione e sviluppo. I governatori regionali proponenti sono del PD, il governo centrale che ha fatto il provvedimento è del PD.
Allora se sono contro il governo, o aspettano il congresso del partito per tentare di ribaltare la situazione oppure possono uscire come hanno fatto altri (vedi Cofferati e Fassina).
La questione in realtà e un po più intricata a leggerla meglio. È in atto un conflitto tra potere centrale e potere periferico in cui la corsa al consenso é vittima del populismo e della paura delle azioni che potrebbero mettere in atto le opposizioni (vedi 5Stelle ecc.).
In tutta questa situazione poi non esiste più il ruolo importante che svolgevano in precedenza i cosiddetti corpi intermedi (sindacati e confindustria). Ricordo, perché l’ho vissuto, che Sergio Cofferati, allora segretario CGIL, seguiva personalmente con ENI, Presidente della Regione Basilicata e Presidente del Consiglio Romano Prodi il primo accordo di ENI in val d’Agri.
Mi auguro che, come per l’ art 2, si trovi una soluzione in sede parlamentare mediando sui testi anche per l’aspetto ambientale. La strada suggerita dalla Regione Emilia Romagna, a grandissima vocazione turistica, è di questo tipo. La Sicilia, per la quale certi progetti ed investimenti sono irrinunciabili, non ha firmato il Referendum.
Bisogna, come dice Renzi, attirare gli investitori non allontanarli. Cosa diremo a chi non troverà il lavoro o lo perderà per queste assurde decisioni?
Con affetto e stima Giuseppe Preziuso (Wec Italia).
Per tutti i bagnolesi “Lo Scienziatello”
PROGRESSO E SVILUPPO PER CHI ? PER L’ENI !!!
Ho fatto un copia incolla navigando in internet perché sono profano nella materia.
“Perfino la Madonna nera di Viggiano si rifiuta di passare sei mesi in montagna come da tradizione centenaria a causa dell’inquinamento”
Giuseppe Caputo
La Val d’Agri, incastonata nel cuore dell’Appennino lucano, fino al 1998 era il sogno di ogni naturalista. Boschi, terra fertile, enormi risorse idriche e prodotti biologici che davano lavoro a più di 1.400 famiglie, che vivevano su un’area di 1.405 chilometri quadrati. Poi arrivarono le compagnie petrolifere, decise a sfruttare il più grande giacimento di petrolio d’Europa su terra ferma. Quasi 450 milioni di barili e un valore stimato intorno ai 50 miliardi di dollari, un enorme forziere sotto i piedi dei lucani che avrebbe dovuto garantire crescita e occupazione. Ma a vent’anni dalla prima trivellazione, ai circa settantamila abitanti dei sei comuni che ospitano i pozzi e delle altre 30 comunità della zona non resta che il miraggio di quella ricchezza.
Le royalties pagate dalle compagnie sono incanalate nel Programma operativo Val d’Agri (Pov), istituito nel 2003.
Il Pov ha un budget di 350 milioni di euro destinato al potenziamento delle risorse locali e a “generare eccellenze”. Il primo passo è stato destinare parte delle risorse alle infrastrutture e agli incentivi per imprese esistenti e per progetti di imprenditoria giovanile.
Dopo nove anni però, stando al rapporto ufficiale, sono stati programmati interventi solo per 103 milioni, meno del 30%. Eppure le cose da fare sono tante visto che come scrive la Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), la rete autostradale lucana è ancora «fortemente deficitaria». I dati su occupazione e imprenditoria sono ancora più inquietanti: tra il 2004 e il 2009, secondo la stessa Svimez, si è perso circa un occupato su cinque. Nel solo 2009 i posti di lavoro persi sono stati 5.400. In quasi vent’anni di estrazioni, che avrebbero dovuto creare crescita e occupazione, la Basilicata non è riuscita a contrastare la disoccupazione , che sfiora il 13 per cento, mentre il Pil regionale, secondo l’Unione delle Camere di commercio, è sceso del sette per cento, due punti in più rispetto al dato nazionale. Non si è fermata neanche la così detta fuga di cervelli: ogni anno, stima la Banca d’Italia, un laureato su cento lascia la regione Basilicata per andare a lavorare al Nord oppure all’estero.
L’agricoltore: “Nessuno vuole i miei prodotti”
Pubblicato il 19/04/2012
Antonio Capogrosso e sua moglie Domenica, abitano nella contrada Le Vigne nel comune di Viggiano. Dopo una vita passata nella sua bottega da artigiano a sessant’anni aveva deciso di dedicarsi al suo più grande sogno da quando era ragazzo: “In questa oasi pensavo di poter trascorrere la mia vecchiaia facendo l’agricoltore. Tutto quello che producevo lo scambiavo con altri contadini” Ma da quando nel 1996 l’Eni ha costruito il Centro Oli, dove si lavora tutto il petrolio della Val d’Agri, la sua vita è cambiata. “Oggi nessuno vuole più i miei prodotti e ho la cantina stracolma di vino e oli”.
L’imprenditore: due pozzi a cento metri
Pubblicato il 19/04/2012
Gaetano Sassano è un piccolo imprenditore del comune di Viggiano. Prima dell’arrivo del petrolio, grazie alla sua azienda agricola, riusciva a vivere. Sono bastati due pozzi a meno di cento metri dai suoi terreni a ridurgli drasticamente il suo fatturato. “Vivo con questi pozzi vicino casa – dice il signor Sassano – e da allora non riesco più a fare del buon vino. Una volta mi è capitato di vedere del fumo denso uscire dal camino di scarico, non si riusciva a respirare tanto era forte l’odore”. In caso di incidenti non sa cosa fare. I controlli vengono fatti da una sola persona che con una macchina gira tra i vari pozzi. “Il problema grave è che se si verifica qualcosa – continua – dal Centro Oli lo scoprono solo se qualcuno sta verificando l’area”.
Le difficoltà di vivere vicino al Centro Oli
Pubblicato il 19/04/2012
“Di ricchezza il petrolio a me non ha portato nulla”. La signora Giovanna Corbisiri, abitante della contrada le Vigne del comune di Viggiano, vive vicinissimo al Centro Oli e da anni ormai la sua vita è diventata un inferno. Un marito che lavora al Nord, un figlio disoccupato e uno con brevi contratti a termine con un subappaltatore. Per lei l’oro nero brilla, ma lontano da casa.
Petrolio: tumori e tangenti
Quelli che riporto di seguito sono testimonianze recenti sulla situazione in Basilicata, dall’Espresso del 17 dicembre 2008 fino a episodi di vita di persone normali. Ci sono dentro storie raccapriccianti sulla tossicita’ di fanghi e fluidi perforanti, lasciati alla meno peggio fra i campi, storie di uomini e donne che muoiono di tumori a quarant’anni, e accuse di reati di concussione per la costruzione del secondo centro oli lucano, a Corleto Perticara, dopo quello che gia’ esiste a 20 km di distanza a Viggiano.
“Ormai il nostro terreno e’ rovinato”
Il signor Pietro ha 75 anni e vive a Viggiano. A suo stesso dire, lui e sua moglie vivono circondati dalla puzza di idrogeno solforato. Non e’ un biologo, ne un medico, ne un botanico e nemmeno un ingenere. E’ un semplice contadino che da casa sua vede il centro oli di Viggiano e mettendo insieme due piu due giunge alla sua semplice verita’:
“..da quando c’è il petrolio non vengono più fuori le insalate di una volta. Il grande problema è che non possiamo neanche lasciare questo terreno, perché o nessuno lo vuole oppure, nel migliore dei casi, saremmo costretti a venderlo ad un prezzo troppo basso”.
Filippo Massaro invece e’ il coordinatore per lo Sviluppo delle aree interne lucane. Commentando sul fatto che l’ENI non ha pagato una lira di risarcimento per i contadini e per le persone che possedevano campi, terreni e agriturismi da quelle parti giunge alla stessa conclusione:
L’agricoltura continua a morire. Non si contano più gli incontri e i conseguenti solenni impegni assunti da funzionari-dirigenti di Agip-Eni e dagli amministratori regionali. Solo chiacchiere. Non sono seguiti i fatti. I sistemi di monitoraggio ambientale, le centraline installate dalla Provincia, gli studi dell’Arpab e quelli di fonte diretta dell’Eni non sono efficienti e né sufficienti a garantire il rispetto dell’impatto ambientale. In alcuni casi le centraline sono state installate volutamente al posto sbagliato.
Anche la Gazzetta del Mezzogiorno conferma, spiegandoci che una volta a Viggiano c’erano le vigne che producevano uva e vino di qualità, c’erano le mele della val d’Agri. Di tutto cio’ non sono rimasti che chicchi d’uva oleosi e puzzolenti e mele annerite. I contadini hanno provato a reciclarsi come tecnici petroliferi, ma lavoro non ce n’e’.
Giovanna Perruolo, presidente della Confederazione Italiana di Agricoltura (CIA) della Val d’Agri testimonia che delle cento aziende che coltivano fagioli cosiddetti “Sarconi”, la metà quest’anno non ha piantato il prodotto. Fra le possibili e invisibile cause c’e’ la percezione negativa di un prodotto coltivato nella terra del petrolio. Dice Giovanna:
…forse era meglio quando nessuno associava il petrolio alla nostra terra, quando la Basilicata era ancora sconosciuta in questo senso”.
Duecento ettari di terra sono stati abbandonati.
La signora Donata aveva dei terreni vicino a Corleto Perticara, dove nel 1994 perforarono dei pozzi. I signori della Total decisero, allegramente, di lasciare fanghi e fluidi perforanti ALL’APERTO, senza alcuna forma di precauzione. Tutti gli animali che mangiavano l’erba, specie le pecore, dopo un po’ si accasciavano e morivano. Sono morti di tumore, dopo due anni anche il papa’ della signora Donata, e il suo vicino di casa, a 43 anni.
Beffa delle beffe, la Total gli disse pure che non c’era scampo e che dovevano vendergli quelle terre che loro stesi avevano avvelenato: “Offriamo 5 euro al metro quadrato. Vi conviene vendere perché altrimenti il comune esproprierà tutto e pagherà la metà”. Troppo buoni. Fattisi i conti, alla fine ai contadini venne offerto ancora meno: 2.5 euro al metro quadrato.
Fu da queste denuncie che il pubblico ministero Woodcock inizio’ le sue indagini per presunta concussione da parte della Total ai lucani. La Total, secondo i pm, avrebbe truccato anche le gare per il trattamento e per la fornitura dei fanghi di perforazione, oltre che essersi sporcata di vari intrallazzi con i politici locali.
Intanto, gia’ nel 2004, il Corriere diceva:
Ammine aromatiche, anidride solforosa, scarti dalla lavorazione del greggio, che qui viene separato dallo zolfo e dal metano e immesso nell’ oleodotto, verso la raffineria di Taranto e le navi per la Turchia. Anche l’ acqua la portano in Puglia. Qui non resta niente. Un centinaio appena di posti di lavoro. L’ Eni aveva promesso la Fondazione Mattei per i giovani e un centro per il monitoraggio ambientale, ma non hanno ancora deciso il posto: vorrebbero fare la fondazione a Viggiano e il centro di controllo a Marsiconuovo, lontano dal centro oli; non sarebbe meglio il contrario? Nel frattempo si muore di cancro, almeno un caso per famiglia. La valle in teoria è diventata un parco naturale, dai confini mobili, che si spostano in caso di scoperta di un pozzo. Un giorno il petrolio finirà, e noi avremo abbandonato i meleti, le piste da sci, gli scavi archeologici di Grumento. E non c’ è nessun controllo sui barili estratti. Chi ci garantisce che non ci stanno truffando? Hanno trattato la Basilicata come un Paese africano o asiatico in via di sviluppo.
Manca qualcos’altro? Dedicato ai negazionisti.
Fonti: L’espresso