La lezione del terremoto
Il trentennale del terremoto dell’Irpinia
(23.11.1980 – 23.11.2010)
Ricordare e raccontare. Avere memoria di quei giorni e di quegli anni per non dimenticare la tragedia, il dolore, la speranza, le aspettative, il disincanto di un popolo. L’associazione culturale “Palazzo Tenta 39″, nel commemorare il 30° anniversario del sisma che sconvolse l’Irpinia e la Basilicata, pubblica sul proprio sito web alcune testimonianze documentali di suoi concittadini. Il tutto al fine di stimolare riflessioni analisi e confronto su ciò che è stato e ha rappresentato il terremoto del 1980 per le comunità del cratere. Chiunque potrà intervenire, raccontare la propria storia, manifestare le proprie sensazioni, esprimere la propria opinione.
La redazione
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La lezione del terremoto
di Mattia Nigro – 25 novembre 2010
(Classe Quarta, Sezione C – Liceo Scientifico “R. D’Aquino”, Montella)
E’ di questi giorni il trentennale anniversario di un evento che avremmo fatto volentieri a meno di ricordare: domenica 23 novembre 1980, data ormai incisa a caratteri cubitali nei nostri cuori, è passata alla storia come il giorno in cui l’Irpinia e parte della Basilicata furono colpite da un violentissimo terremoto che seminò terrore e distruzione pressoché ovunque, ed in modo particolare nell’area dell’epicentro, tra i Comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania.
Essendo io nato nel 1993, non ho vissuto sulla mia pelle un evento tanto temibile e terribile; le mie ridotte conoscenze si basano su materiale raccolto sul web, su racconti di familiari e sulle testimonianze di chi ha “vissuto” la scossa, anzi le scosse. Perché oltre alla principale delle ore 19:34 di quella domenica sera ce ne furono altre, le cosiddette scosse “di assestamento”, di cui una particolarmente violenta, che provocò la caduta di altri edifici già semidistrutti.
Sappiamo che la magnitudo momento all’epicentro era di 6.9 gradi della scala Richter; sappiamo che i cadaveri ritrovati furono 2.914, più di 8.000 i feriti e circa 280.000 sfollati; sappiamo che la scossa principale durò circa 90 secondi. Ciò detto però nella mia riflessione proverei ad andare oltre queste aride cifre, che non rendono giustizia al dramma della popolazione afflitta da un cataclisma così potente.
Parlerei innanzitutto di quelle silenziose urla di contadini, allevatori e artigiani che in soli 90 secondi perdevano tutto: sepolti vivi e travolti dalle macerie, senza quella modesta abitazione che non avevano ancora pagato del tutto, senza la bottega che rispecchiava la loro unica speranza di un futuro migliore, a volte anche senza quell’unica figlia che amavano tanto e che avevano visto schiacciata da un pezzo di soffitto mentre cercava di scappare da quell’incubo. Quelle persone, angosciate e disperate, imprecavano contro la buona sorte che li aveva “risparmiati” ma costretti a convivere con una sofferenza quasi più pesante della morte stessa.
L’arrivo dei soccorsi fu molto lento: basti pensare che il 27 novembre, a quattro giorni dall’accaduto, l’allora presidente Pertini si scusò pubblicamente per il mancato arrivo delle squadre d’emergenza. La diretta conseguenza fu che un gran numero di decessi non avvenne soltanto il 23 novembre, ma anche nei giorni seguenti, in quanto fu copioso il numero di persone che spirò, in attesa di un soccorso mai sopraggiunto, sotto le macerie dopo alcuni giorni. Nella maggior parte dei casi furono vani i tentativi di salvataggio posti in essere dai volontari concittadini che, a mani nude e con improvvisati badili, cercarono disperatamente di erodere la roccia ed il cemento armato.
Nei mesi successivi, con l’arrivo organizzato di soccorsi della Protezione Civile e soprattutto con l’erogazione a pioggia dei contributi pubblici, i superstiti cambiarono gradualmente atteggiamento. Il terremoto, fino ad allora visto solo come agente distruttivo, immane tragedia collettiva, con i fondi della ricostruzione si tramutava in verde speranza di rinascita civile ed economica che aveva come effetto diretto l’abbandono della vita agricolo-pastorale in favore di un processo di industrializzazione totalmente nuovo, agognato per anni e mai realizzato. Purtroppo però i fondi pubblici sono stati sperperati miseramente: non solo il processo di industrializzazione non è stato attuato come immaginato, ma è anche andata sprecata l’occasione di ricostruire i paesi seguendo i rigidi criteri antisismici. Anzi, c’è qualcuno di essi che non ha ancora ultimato la ricostruzione. Dopo 30 anni!
Ora, è vero che il terremoto fu un evento drammatico e soprattutto improvviso, ma chi costruì quelle strutture non a norma? Chi non si preoccupò dei rischi dovuti alla costruzione in una zona che da sempre è soggetta a scosse di terremoto? Ancora una volta, conterranei, se cercate il responsabile purtroppo non c’è che da guardarsi allo specchio.
Termino con una piccola, tragica riflessione: l’uomo si è sempre configurato come entità diversa dagli altri esseri viventi perché ha una propria cultura, perché si considera intermediario tra Dio e la natura, perché è l’unico del creato a porsi degli interrogativi e a rispondere non solo del suo istinto, ma anche e soprattutto della razionalità, prerogativa che lo distingue non solo dalle piante, ma anche dagli altri animali. Eppure, nonostante questa grande peculiarità, qual è la differenza tra l’uomo e gli animali di fronte a un cataclisma come quello dell’ ’80? La risposta è che, di fronte ad eventi come questo, siamo fragili come cocci di vetro paragonati a cocci di ferro. Quindi dovremmo riconoscere i nostri limiti.
E perché allora continuiamo a sfidare la natura? Siamo sempre noi che continuiamo a costruire città alle pendici del Vesuvio, pur sapendo i rischi che questo comporta. Siamo noi che abbiamo fondato paesi sulle rive dei fiumi più famosi per la rovinosità della loro alluvioni.
Siamo noi che, dopo 30 anni, non abbiamo ancora ben chiara la “lezione” del terremoto.
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LA POESIA
Oltre le macerie
(di Mattia Nigro)
Vola oltre le macerie e pace
Alle dannate anime abbattute dona;
Scava come misero soldato
Che in trincea silenzioso prega.
Corri per scoscesi sentieri
E per disastrate autostrade fuggi.
Spala come hai fatto mai
Per salvar spiriti persi.
Attraversa vento, e tempesta,
e pioggia e turbine.
Attraversa dolore e sofferenza.
E quando sarai dell’anima turbata al cospetto
Guardarla potrai negli occhi
E gli dirai: “Nuova alba è giunta”