Quella sera …
Il trentennale del terremoto dell’Irpinia
(23.11.1980 – 23.11.2010)
Ricordare e raccontare. Avere memoria di quei giorni e di quegli anni per non dimenticare la tragedia, il dolore, la speranza, le aspettative, il disincanto di un popolo. L’associazione culturale “Palazzo Tenta 39″, nel commemorare il 30° anniversario del sisma che sconvolse l’Irpinia e la Basilicata, pubblica sul proprio sito web alcune testimonianze documentali di suoi concittadini. Il tutto al fine di stimolare riflessioni analisi e confronto su ciò che è stato e ha rappresentato il terremoto del 1980 per le comunità del cratere. Chiunque potrà intervenire, raccontare la propria storia, manifestare le proprie sensazioni, esprimere la propria opinione.
La redazione
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Quella sera …
23.11.2010, Il racconto del prof. Tobia Chieffo
(tratto dal periodico “Il Monte” di Montella, Anno VII, N. 5 – Ed. Speciale Nov.2010)
«Che bel pomeriggio – dice mia moglie – perché non usciamo!». Un mese prima era morta mamma Rosina e stavamo smaltendo le fatiche per la 3a Sagra della castagna, in occasione della quale avevamo portato un tartufo gigante di 800 grammi in omaggio al Presidente Pertini. Acconsentii immediatamente, anche per portare fuori il mio piccolo Antonio di 5 mesi e ci avviammo così verso Montella.
Nel viale di S. Francesco, Ciccillera con le sue pecore bloccò la nostra macchina e ne approfittai per fare una foto al figlio che le guidava. Salimmo al Salvatore, la visita alla Chiesa, poi qualche foto ad un tramonto bellissimo ed alle spalle sentii la voce di Don Egidio. Dopo i saluti e i complimenti per la visita a Pertini, mi chiese quando il fotografo Gramignazzi di Benevento sarebbe venuto per le foto del Coro, perché per il libro che stavamo curando, Padre Giovanni Recupido, aveva già trovato a Napoli un professore universitario che si occupasse del testo. Gli risposi che aspettavo notizie da Padre Tarcisio Musto del giorno preciso della venuta del fotografo e ci salutammo per fare ritorno al paese.
Papà Antonio ci aspettava davanti casa e rientrando lui chiuse il portone con un grosso chiavistello consapevole che non saremmo più usciti quella sera essendoci in tv Juve Inter. Giovanna, lasciato Antonio nel sediolino e alle coccole del nonno, si mise ai fornelli nella piccola cucina, mentre io guardo la partita in tv … poi all’improvviso un boato, un bagliore improvviso… il terremoto. Istintivamente afferrai il sediolino e in un lampo scesi i 35 gradini.. arrivai al portone e feci fatica ad aprirlo. Poi quando riuscii ad uscire mi trovai la 850 di Alberto Meloro incollata allo scalino e fui costretto a saltare di fianco proprio mentre un pezzo di cornicione si schiantava sul vetro posteriore. Poggiai il seggiolino col piccolo tra una licina e una panchina e ritornai in casa; a metà scalinata trovai papà che scendeva appoggiato a mia moglie e con loro uscii di nuovo all’ aperto.
Urla, richiami.. questi i momenti successivi. Che fare? Risalii di nuovo a casa. Nella cucina la fiammella del gas era ancora accesa e con quella luce presi il latte e la borsa per il piccolo, le chiavi della A112, qualche altra cosa e chiusi il gas. Riscesi, aprii la sezione della DC dove posteggiavo la macchina e partimmo. Giovanna mi disse di aver sentito che S. Domenico era crollato e allora decidemmo di andare dai suoi, evitando di salire per via Aulisio. Trovammo tutti fuori davanti al Cinema, nel viale della casa del Capostazione, don Gerardo Bello. C’era tanta gente. Ciro Nigro mi vide e mi disse che c’era con lui anche Padre Tarcisio, che trovato chiuso il portone di casa mia, era andato da lui per dirgli che l’indomani sarebbe venuto con il fotografo per le foto del coro e, subito dopo il terremoto, era tornato a S. Francesco per vedere cosa fosse successo lì.
Scesi a vedere S. Domenico, poi la piazza e quindi il Comune. E poi da zio Aniello Capozzi, che con il resto della famiglia si era già accampato intorno ad un piccolo falò nel suo giardino retrostante il Municipio. La notte papà volle passarla a casa .. «se devo morire – disse – meglio nel mio letto, dove è morta Rosina». Giovanna ed il piccolo si sistemarono alla meglio nella 112, ma nessuno aveva la forza e la voglia di dormire e con Ciro cominciammo a girare per il paese per avere notizie.
Davanti alla Scuola Elementare trovammo il Segretario Filippo che si era avventurato dentro per rendersi conto dei danni, poi andammo al Castello Cavaniglia, alla Chiesa Madre. Nel paese non c’erano crolli e non si avevano notizie di alcun morto. Decidemmo di tornare a casa di Ciro in via Lenzi e per strada incontrammo Don Vincenzo Buccino, parroco di Castelfranci, ma bagnolese di nascita. Era venuto dai suoi cari e mi rassicurò che mia sorella e la sua famiglia a Castelfranci stavano bene, e che anche lì non c’erano stati morti ma solo danni. Aveva saputo che a Lioni e S. Angelo, invece, c’era stata una catastrofe. I Carabinieri non riuscivano ad avere notizie dal resto della Provincia.
Così le prime notizie sui paesi vicini e di Avellino, più tardi, le avemmo da Peppino Dell’Angelo che, col figlio Pasquale, prima era andato a Sorbo Serpico e poi era ripartito con Titino Chieffo e Rocco Giangrande alla volta di Mercogliano, dove presso le suore erano alloggiate le loro ragazze che studiavano al Magistrale di Avellino. Dal mattino seguente, cominciò la mobilitazione dei Bagnolesi in aiuto ai paesi vicini, e con il passare del tempo arrivarono anche le notizie che non ti aspetti. A Lioni erano morti Varricchio Costantino, Maresciallo dei Carabinieri in pensione, e la professoressa Nigro Albina in Ruotolo. Subito dopo anche da Mirabella: nel crollo del palazzo era morta la cugina ventiquattrenne Raffaelina Chieffo, che in grembo portava un bimbo di 5 mesi.Dopo qualche giorno fu possibile avere la salma a Bagnoli. Il Cimitero disastrato, i pochi presenti immobili davanti l’ingresso, e proprio lì Don Remigio celebrò messa, piangendo ininterrottamente, lui che quella ragazza del Coro del Gruppo spontaneo l’aveva vista crescere ed insieme alle altre ragazze avevano passato momenti bellissimi.
Poi ricordo le notti passate nel camper al centro della Piazza Di Capua dove riuscimmo ad avere la linea telefonica ed io (che da militare operavo nelle Trasmissioni) smistavo le notizie a tutti quelli che si accalcavano per telefonare ai familiari emigrati al Nord e soprattutto all’ estero. Il giorno invece partivamo con i farmaci, con il pane che il forno di Nasca improvvisato nella piazzetta della Vallovana sfornava in continuazione mentre gli altri andavano con il camion pieno di legna da Laceno ai paesi limitrofi. E così, durante uno di questi viaggi per portare i soccorsi, nel campo sportivo di Lioni incontrai Licia e Raffaele Chieffo e i colleghi dell’Ipsia Squadrilli, Pastore apprendendo che l’ing. D’Aniello era morto. Andai anche a Sant’Angelo, con la speranza di incontrare gli amici del Dialogo Sena, Matteo, Mocella e i Lucido e invece venni a sapere che era morto il papà di Erio, Michele, cancelliere del Tribunale, e allora…. non ebbi la forza di andarli a cercare. Guardandomi intorno non vedevo che macerie, militari, volontari, fotografi professionisti, ma io non avevo voglia nemmeno di scattare foto.
Arrivò la festa dell’Immacolata l’8 dicembre, la messa al Gavitone carica di emozioni e di speranze per il futuro. E lì colsi l’immagine di un’anziana donna Grazia Basile in Meloro, che pregava ai piedi della statua: un primo piano per quella mia foto che è stata il simbolo del nostro 23 novembre e che ha fatto da manifesto alla mostra nel 25° anniversario.