La ferita e l’occasione persa
Il trentennale del terremoto dell’Irpinia
(23.11.1980 – 23.11.2010)
Ricordare e raccontare. Avere memoria di quei giorni e di quegli anni per non dimenticare la tragedia, il dolore, la speranza, le aspettative, il disincanto di un popolo. L’associazione culturale “Palazzo Tenta 39″, nel commemorare il 30° anniversario del sisma che sconvolse l’Irpinia e la Basilicata, pubblica sul proprio sito web alcune testimonianze documentali di suoi concittadini. Il tutto al fine di stimolare riflessioni analisi e confronto su ciò che è stato e ha rappresentato il terremoto del 1980 per le comunità del cratere. Chiunque potrà intervenire, raccontare la propria storia, manifestare le proprie sensazioni, esprimere la propria opinione.
La redazione
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La ferita e l’occasione persa
21.11.2010, di Luciano Arciuolo
Il terremoto di 30 anni fa, per ‘Irpinia, rappresentò anzitutto un momento di grande dolore: la nostra terra fu colpita in maniera improvvisa, inaspettata, tremenda: 3.000 morti e gran parte del patrimonio edilizio e storico distrutto furono il risultato di pochi minuti di autentico terrore.
In secondo luogo il sisma portò all’attenzione dell’Italia intera (ricordo l’indignazione del presidente Pertini per la lentezza e la scarsità dei soccorsi, che costarono il posto a qualche grosso funzionario dello stato dell’epoca) la situazione di un pezzo della nazione dimenticato da sempre.
In terzo luogo quel terremoto terribile fece nascere in tutti la consapevolezza della necessità per l’Italia di avere una struttura capace di rispondere sul territorio alle varie, possibili emergenze: nacque allora l’idea di una Protezione Civile nazionale, quella che oggi opera in caso di disastri naturali (e non!).
All’epoca ero uno studente al terzo anno di matematica, per cui non ho ricordi particolari di come il terremoto fu vissuto a Bagnoli.
Ricordo bene, però, quello che successe negli anni successivi: dal 1983 al 1988 fui assessore alla Ricostruzione.
L’amministrazione precedente, di fronte alle difficoltà causate dal terremoto, si squagliò letteralmente: alcuni suoi esponenti furono addirittura tentati di minimizzare il danno subito e fu solo grazie al lavoro di qualche assessore che si riuscì a mandare avanti l’ordinaria amministrazione.
Si pensi che, in tre anni, il Comune di Bagnoli ebbe, per ricostruire le case e le opere pubbliche, solo poche centinaia di milioni di lire, mentre in comuni vicini giravano fior di miliardi. Fu con il Sindaco Lenzi che l’opera di Ricostruzione venne avviata seriamente e portò al paese benessere e ricchezza (molti emigrati approfittarono dell’occasione per tornare a Bagnoli …).
Intanto i soldi, tanti soldi, continuavano ad arrivare in Irpinia
Eh sì, perché quando lo Stato si rese conto della situazione di arretratezza delle nostre zone ebbe un sussulto di solidarietà e fu molto generoso: arrivarono migliaia di miliardi delle vecchie lire a finanziare l’opera di ricostruzione e, addirittura, la realizzazione di aree industriali.
Io, all’epoca, avevo molti dubbi su come si procedeva in questa operazione di industrializzazione.
Anzitutto sul costo di tutte le opere: un posto di lavoro arrivò a costare allo stato fino a cinquecento milioni di lire, che allora erano tanti soldi.
In secondo luogo sulla scelta delle industrie da piazzare in loco: era noto che gli industriali prescelti dovevano essere ben visti dai potenti locali del tempo (che, purtroppo, continuano ad essere potenti anche oggi…).
In terzo luogo sulla individuazione delle persone che dovevano lavorare in quelle industrie: si aprì in quegli anni la più grande operazione di clientelismo mai tentata in Italia e, se volevi avere qualche possibilità di andare a lavorare, dovevi dichiarare la tua fedeltà assoluta ai soliti noti e, soprattutto, dovevi votare per loro. Tornarono allora i tempi dei mazzieri, quando i nostri nonni e i nostri genitori, la mattina uscivano in piazza nella speranza di essere scelti per andare a prestare la propria opera al servizio dei benestanti. Tornarono i tempi dei mazzieri e, da allora, quei tempi non se ne sono mai più andati.
La ricchezza che arrivò in Irpinia fu effimera, come tutto quello che caratterizzava quegli anni: gli anni Ottanta in cui la camorra amministrava il Ministero degli Interni e del Tesoro; in cui si ebbe l’esplosione del debito pubblico italiano che stiamo pagando oggi e che pagheranno le future generazioni per chissà quanti anni ancora.
Quella ricchezza fu effimera e lo abbiamo scoperto sulla nostra pelle, visto che quasi tutte quelle industrie hanno chiuso e hanno lasciato sulla strada una intera generazione di lavoratori e di padri di famiglia.
Oggi i nostri figli devono di nuovo lasciare la loro terra per lavorare, come hanno fatto i nostri padri e con l’aggravante che a lasciarci non sono solo operai comuni, ma anche professionisti ed intellettuali.
Oggi i nostri paesi stanno morendo, dopo che lo stato ha speso per essi quantità enormi di soldi pubblici: questa estate sono andato a fare il presidente di commissione di esami a San Mango sul Calore. Un giorno ho sbagliato strada e mi sono perso in un dedalo di sopraelevate a servizio dell’area industriale del paese, opere costate sicuramente decine di miliardi di lire. Sono passato per l’area industriale stessa e ho potuto constatare che vi è rimasto solo qualche cane randagio.
Avevamo ragione, dunque, quando esprimevamo qualche dubbio sul modello di sviluppo affermatosi nel dopo terremoto. Avevamo ragione anche se qualche democristiano, all’epoca, ci prendeva in giro.
E’ per questo che, nel corso degli anni, mi sono andato convincendo che del terremoto, che allora fu una grande ferita e che poi si trasformò in una grande occasione per le nostre zone, a trent’anni di distanza è rimasta solo la ferita e un doloroso ricordo. Di tutto il resto, e cioè della speranza che da esso potesse nascere una Irpinia migliore, più ricca ma anche più giusta, non è restato più niente, se non qualche traccia polverosa nelle carte di una commissione parlamentare di inchiesta.
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LA POESIA di Luciano ArciuoloQuattro anni dopo (23.11.1984)
Su queste pietre forse nasceranno altre pietre. Ma a nessuno dei morti ridaremo la luce. E li danneremo cento volte di più non imparando niente da loro. Li renderemo errabondi per sempre se non costruiremo una terra nuova.
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La rassegna stampa di quei giorni …
(Prima pagina de “Il Mattino” dal 24 al 30 novembre 1980)