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La rivoluzione della scienza gli ultimi pronti a essere i primi

11.11.2010, di DOMENICO QUIRICO (LaStampa)

Da due secoli almeno sono le parole che hanno sintetizzato, spietatamente, il vangelo del mondo: «il ritardo tecnologico». La storia era tutta lì: da una parte una terribile zoologia di cannoni d’acciaio, altiforni, aeroplani, cavi sottomarini, dall’altra gli aratri di legno, le giunche a vela, i forni a carbone; il Mit con i computer e in cattedra i premi Nobel contro la scuola di villaggio con il maestro a piedi nudi, senza libri senza penne senza tutto. Ovvero davanti gli Stati Uniti e l’Europa (con l’aggiunta di un virtuoso allievo, il Giappone) e dietro tutti gli altri: irrimediabilmente poveri, irrimediabilmente sottosviluppati. Perché non erano indottati dell’alfabeto che rende grossi e ricchi: ovvero quello della scienza e della tecnologia. Per puntare i piedi avevano solo le ideologie, che sono appunto le armi dei derelitti. La Cina l’India l’Africa disponevano di moltitudini di saggi e di dotti. L’Occidente aveva i sapienti, capaci di trasformare le idee in oggetti e in potere.

La scienza ha davvero cambiato il mondo. E lo ha reso diseguale, ingiusto. Sta di nuovo per farlo, ci sono i segni precursori di una nuova rivoluzione industriale che ha fissato fino a oggi la classifica dei ricchi e dei poveri. Ma questa volta è quasi certo che lo farà per correggerne il risultato.

Basta immergersi nelle trecentotré pagine del rapporto dell’Onu sulla scienza pubblicato ieri a Parigi: sono, in linguaggio piano, un libro di Storia prossima ventura, segnata dell’avvento, dopo quello geopolitico, del multipolarismo del sapere scientifico e delle sue applicazioni. Tra pochi anni ci saranno più ricercatori in Cina (nel 2007 erano già un milione e mezzo) che negli Stati Uniti. Da due anni la prima istituzione scientifica del mondo per numero di articoli pubblicati è l’Accademia delle scienze cinesi. Poco più di venti anni fa nessun cinese partecipò alla scoperta della sequenza del genoma umano. Sotto il prossimo passo ovvero il programma di analisi molecolare delle proteine dell’uomo ci saranno soprattutto firme cinesi.

All’inizio del secolo scorso i giovani cinesi venivano in Europa come operai per cercare di carpire i segreti della potenza sudando nelle officine, e poi trapiantati come bacilli nel loro Paese. Oggi Cina, India e Corea del Sud assicurano il 32 per cento nelle spese mondiali in ricerca e sviluppo. L’Asia non domina soltanto l’economia, traguardo in fondo fragile: prenota il futuro. L’India crea trenta nuove università, i suoi studenti che erano 15 milioni nel 2007 saranno 21 milioni nel 2012. E quasi tutti ingegneri, informatici, fisici, chimici e biologi. Persino in fondo al gruppo di quello che era Terzo Mondo qualcosa si muove. Non è stupefacente leggere che il Bangladesh dei dannati della terra produce il 97 per cento delle medicine che consuma e le esporta ormai in Europa?

E’ già accaduto in passato, ovvero la paradossale benedizione di essere ultimi. Si sta ripetendo. Una volta che ha spezzato la catena della dipendenza, chi era tecnologicamente in ritardo scopre che costituisce un vantaggio, può avanzare più rapidamente dei primi della classe infiacchiti dal primato, diventati pigri nel cercare vie nuove, disposti soprattutto a vivere di rendita. E’ la regola che ha assassinato la supremazia inglese che ha dominato il mondo per un secolo con la superiore tecnologia e le università. E che oggi sembra ripetersi per gli Stati Uniti. Sarà questo che si tratteggia un mondo migliore, più equo? E’ l’unica risposta che la scienza non può dare.

                                                                                                       

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