“L’uomo che vive […]
19.08.2015, Articolo di Aniello Chieffo (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2015, Anno IX, n. 5)
[…] accanto agli oppressi e corrotti, senza resistere, senza reagire, senza combattere, è un uomo immorale che ogni giorno decade” (P. Villari, Le lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia).
L’incontro con un giovane studioso, Emanuele Felice, professore all’Università Autonoma di Barcellona, in un convegno ad Avellino, lì “trasportato” da una persona di elevati principi morali e politici, di cui mi onoro essere amico e confidente, Amalio Santoro, ha rafforzato in me la convinzione di un “nuovo arretramento delle nostre comunità meridionali che non solo continuano ad essere più povere e arretrate”, ma che a tutt’oggi non pare abbiano trovato un racconto, una narrazione, ancorata all’evidenza storica, un percorso che consenta di vedere “la verità degli avvenimenti” che sia finalmente la premessa, indispensabile, di un possibile riscatto.
I racconti di Amalio, lungo i viali di Avellino, ci convincono a non abbandonare quella ricerca che costituisce la base stessa della nostra formazione culturale e politica che ci pone in antitesi a quei “finti protagonisti” che nascondono la verità storica assumendo meriti che non hanno o dissolvono i loro disastrosi demeriti su altri, preferibilmente su chi denuncia i loro inganni o ne evidenzia la cronica incapacità.
La consapevolezza dei problemi e delle emergenze può consentire di maturare la determinazione di trovare e ricercare soluzioni, semmai severe, fondate unicamente sul lavoro e sull’impegno collettivo esenti da condizionamenti e da tributi da pagare ai “padroni politici di sempre”.
Sono state queste classi dirigenti (padronali) a ritardare lo sviluppo della nostra terra, dirottando le risorse verso “la rendita più che verso gli usi produttivi”, ritardando deliberatamente lo sviluppo economico del Sud Italia, a vantaggio dei propri interessi, in modo da mantenere gran parte della nostra gente in condizioni socio-economiche insufficienti che favoriscono i comportamenti opportunistici.
Malgrado i sacrifici di intere generazioni (l’emigrazione), il tema del futuro del Sud è ancora davanti a noi, irrisolto e sempre più di drammatica attualità: i nostri figli, come i loro avi, devono abbandonare la loro terra, senza neanche essere riusciti a mettersi alla prova – neanche la speranza di poter ottenere un lavoro con lo studio e l’impegno –
Ancora, oggi, la società meridionale per non morire deve essere modificata radicalmente, spezzando le catene socio-istituzionali che condannano la maggioranza dei suoi abitanti a una vita peggiore di quella dei loro concittadini del Nord: “annientare la criminalità organizzata, eliminare il clientelismo, rompere il giogo dei privilegi e delle rendite”.
Ed è per questo che non possiamo rinunciare al compito “del racconto e della denuncia” di una nuova vergognosa deriva clientelare messa in essere dai nostri “eroi” di stagione, intenti ad imporre con i sistemi più odiosi un prestigio ed un potere di cui nemmeno conoscono la portata e gli effetti.
La disperazione di una consistente parte della popolazione per una condizione economica sempre più precaria e difficile, porta alcuni di questi residuati aspiranti politici locali a ricercare con improvvida arroganza di soggiogare le scelte dei cittadini mediante la promessa di un insignificante tiepido “lavoretto” (na jurnata r’ fatica) che nulla risolve se non tenere in piedi un sistema che fonda il possibile consenso sul ricatto della disperazione.
Il “sistema”, da ultimo, si è trasformato in uno scientifico “distinguo” di coloro i quali non si assoggettano ai “nuovi presunti padroni” politici, di modo da escludere alcuni in favore di altri – disperati contro altri disperati –
Un sistema che il progresso e le grandi conquiste politiche-sociali degli ultimi cinquant’anni sembravano aver rimosso persino dal ricordo delle nuove generazioni.
Si rivedono, invece, nel paese “caporali” in cerca di poveri senzalavoro da “avviare sui cantieri”: il patto con cui sottomettersi ai nuovi padroni è fare eterna promessa di voti e consensi. Una condizione che ricorda i giorni più bui della storia delle nostre terre, l’aspetto più tetro di un passato che è stato invece anche di riscatto e di liberazione.
Eppure, ricordo contadini e operai lavorare con grande abnegazione e dedizione, e senza mai svendere i propri ideali politici rivendicare il diritto di scelta; rivedo quelle strazianti partenze per l’estero di uomini impauriti, ma orgogliosi di non rinunciare alla propria appartenenza, liberi da padroncelli politici.
E ancora, operai decisi, onesti, svolgere il proprio compito senza dare mai adito ad un rimprovero, ripenso a mio padre che mi affidava alle loro cure, ai loro insegnamenti di uomini orgogliosi, mi rivedo a mangiare con loro e sentire i loro racconti, giocare con i loro figli (ancora oggi lì stanno i miei affetti e le mie amicizie), la stima profonda per un uomo che sentivano come uno di loro e poi i loro sguardi fieri, con la camicia della festa ed il cappello nuovo andare a riunirsi al suono di “bandiera rossa”.
Io conosco una terra di “uomini liberi e forti” che ho imparato ad amare, senza mai smettere impegno e dedizione, una promessa appresa da bambino: questa terra è fatta di uomini in carne ed ossa. Il riscatto è determinato dal sudore versato, ancora ci vuole impegno e coraggio senza cedere alle false scorciatoie di individui senza scrupoli e senza verità.
Solo chi è senza passato e senza pensiero, può ritenere di asservire il paese con improbabili quanto false promesse di un lavoro precario e senza futuro.
Inquietanti personaggi tornano a girare per il paese promettendo “qualche giornata” di duro lavoro, pretesa con fare persino minaccioso, nei lavori pubblici che i nostri eroi nemmeno hanno mai immaginato che ci fossero.
Si assumono meriti per presunte “azioni eroiche telefoniche” per ottenere ignoti finanziamenti pubblici dimenticandosi di essere eroi di lungo corso senza aver mai portato nulla al paese.
Semplicemente, alla scadenza dei biblici tempi regionali, un migliaio di comuni in tutta la Campania (non solo Bagnoli!) che avevano presentato programmi di intervento corredati dei vari studi e progetti hanno finalmente ottenuto i finanziamenti europei, che “opportunamente” la Giunta Caldoro aveva prima sospeso e poi maldestramente liberati in occasione della fine del mandato regionale con un sistema (c.d. Accelerazione della spesa!?) già all’attenzione degli inquirenti e questo ormai è storia!
Vale solo la pena di rimarcare (per chi fa finta di non vedere e non sentire) che l’attuale sistema di finanziamenti pubblici non si fonda sulle patetiche “raccomandazioni” (telefoniche), ma sulla bontà della programmazione politica del territorio, urbanistica, progettuale ed economica, che non si può fare nelle segreterie di qualche politico ma richiede libertà e capacità di pensiero oltre a valanghe di atti e documenti e non di strane baggianate, raccontate sull’ignoranza e sulla complice omertà di qualche interessato (c.d. “bandi – concorsi”).
L’Europa ci impone un sistema per “Meriti” (inventato di certo già dai Romani) che consente di assegnare risorse non solo per le condizioni economiche di un territorio c.d. “sottoutilizzato”, ma soprattutto per la validità dei progetti e per la loro incidenza sulla economia dell’area: soldi in cambio di sviluppo e non sulla base di interessi di parte (per “gli usi produttivi” e non per “le rendite” dei soliti attori).
Tra l’altro, tentare di far credere furbescamente il contrario (come è stato avventatamente pure detto e persino scritto –scripta manent -) equivarrebbe ad ammettere gravi esempi di reato contro la Pubblica Amministrazione – trattasi evidentemente di danaro pubblico che va assegnato non con le “telefonate di conoscenti” e “la benevolenza di qualche funzionario” ma secondo le regole imposte dalle leggi in vigore, per non incorrere in ipotesi previste dal Codice Penale (concussione, corruzione ect.) che non credo sia il caso di scomodare.
La circostanza non di poco conto del richiamo alle leggi (sigh! sigh!) ci induce a credere (come tutti sanno) che trattasi di palesi sparate per darsi un “tono istituzionale” altrimenti totalmente inconsistente.
Ma ritorniamo al tema di queste righe.
Il lavoro è semplicemente un diritto (art. 4 Cost.), chi per le proprie responsabilità è chiamato a compiti istituzionali ha il dovere di concorrere a creare le condizioni perché tale diritto sia garantito.
Nel tempo ho ricoperto importanti incarichi per cui mi è stato possibile assolvere a tale compito, non ricordo di avere mai chiesto un qualsiasi “ritorno” a quegli eroici ragazzi (non solo bagnolesi) che hanno lavorato e che lavorano grazie alla realizzazione dei progetti a cui ho partecipato.
Da Sindaco, insieme ad uomini degni, credo di aver concorso a creare i presupposti perché concittadini potessero trovare un lavoro serio, rinunciando per tale alto scopo ad indennità e fanfare, e pare proprio che i risultati si siano visti.
Certamente nel sottoscrivere, dopo lunghe verifiche e contrasti, il contratto con la società IrpiniAmbiente non si è pensato a sistemare qualche “amico” ma a salvaguardare quelli già presenti che, invece, avremmo potuto sostituire con altri:
Anche su questo è stato detto “il contrario del contrario”, dopo l’esperienza professionale con le industrie dell’Alta Irpinia so bene delle speculazioni e quante volte il principio dell’art. 4 della Costituzione venga calpestato per interesse di bottega e per altro. Resta il fatto che noi “altri” non abbiamo fatto i “caporali”, profondamente rispettosi di un dramma sociale che involge gli uomini senza lavoro, a cui va il nostro impegno disinteressato ed incondizionato.
Occorre battersi sino allo stremo per creare le condizioni, come salvare una fabbrica dalla chiusura oppure per una nuova occasione di sviluppo nel nostro territorio come l’Acca Spa..
Allora! dobbiamo provare a ricercare un “altro luogo” (questo qui non basta!) per parlare della nostra terra, di noi e degli altri, qui, seppur diversi ma impegnati a ritrovare la verità delle scelte, la serenità e la convinzione per un nuovo impegno per la nostra gente e per questi figli, non fosse che per il “sapore” della libertà “rivoluzionaria” di poter dire come stanno davvero le cose senza farsi imbrigliare dalla menzogna di chi vuole ancora nascondere l’inarrestabile corso del cambiamento.
Un luogo, dove ritrovarsi tra chi, almeno una volta, ha osato ribellarsi.