Bagnoli di ieri, Bagnoli di oggi
10.05.2015, Articolo di Aniello Russo (da Fuori dalla Rete – Maggio 2015, Anno IX, n.3)
Bagnoli su un versante è aggrappato sui colli della Giudecca, della Serra e del Tarraturo, e sull’altro sui poggi del Casalicchio e degli Agnìsi: come petali di una rosa, queste alture rappresentano la corolla che racchiude il cuore costituito dalla Piazza. Si immagini quanto era bello questo paese allorché il verde e il profumo dei fiori penetravano in ogni angolo dell’abitato! Era allora il tempo della solidarietà, quando ognuno viveva pure per l’altro.
Oggi neppure i piccoli centri, che tuttavia vantano una maggiore vivibilità nei confronti delle città, costituiscono una comunità vera, come nel passato; e non tutti gli abitanti si conoscono bene, per il motivo che conducono una vita nel chiuso delle proprie mura. È vero, sopravvivono ancora momenti di vita sociale: le ricorrenze festive, le feste in famiglia, le cerimonie religiose, i banchetti nuziali, i funerali. Però, se trasporti la legna o imbottigli i pomodori o scegli le castagne, sempre più spesso parenti e vicini sono assenti dal cerchio dei lavoratori attivi. Le strade e le piazzette, soprattutto i vicoli e i cortili oggi sono vuoti e silenziosi.
Ma un tempo non era così: allora ogni luogo era animato da voci da grida da richiami, dal vocio di numerose presenze. A quei tempi si viveva sulla strada; e ogni quartiere aveva la sua piazzetta: Santu Roccu, la Serra, lu Tarratùru, Lu Casalìcchiu viecchiu (via Pallante), Lu Casalìcchiu Nuovu (in via de Rogatis), l’Uspetàlu, La Vadduvàna, la Jurèca… In ognuno di questi spiazzi, nel tardo pomeriggio dalla primavera all’autunno si raccoglievano i vicini a prendere il fresco e a conversare, mentre le fanciulle giocavano a poca distanza a Settimana (a l’ancazoppa) e i ragazzini a Lippa (a mazzulu picculu). Gli adolescenti, paragonati a uccelli al primo volo (aucieddi abbulanduoni), vagavano tra il Gavitone e la Chiesa Madre per osservare con occhi incantati le coetanee che al crepuscolo prima andavano per l’acqua alla fontana e dopo per sentire la messa del vespro.
Ecco qui un grappolo di casalinghe le quali, la chioma raccolta sulla nuca, circonda un ambulante che mostra su un carro la sua mercanzia: articoli casalinghi disposti in scatoli di cartone; una colapasta e un secchio appesi a un palo conficcato al bordo del carro trainato da un mulo, una caldaia dondola al palo del lato opposto. Le donne si accalcano parlando in dialetto strettissimo.
A pochi passi due bambini in camiciola corta corrono dietro a una gallina che starnazza impaurita; di fronte, una ragazza, incurante del merciaiolo, siede al sole ad asciugarsi i capelli dopo averli lavati e lungamente pettinati con la pettinessa. Zi’ Peppu, il seggiolaio lavora al fresco del suo androne di ingresso. In un vicolo laterale (int’a la stréttela) Teresella e Cuncetta bisticciano (sciàrrene) da finestra a finestra, inventandosi ingiurie.
Fuori della bottega, Fulucciu il calzolaio cuce una scarpa con larghi gesti delle braccia, tenendo fisso gli occhi su quanto accade attorno al carretto dell’ambulante; anche la mastra sarta, che lavora al primo piano, al vocio delle donne, si affaccia al balcone con le forbici in mano, quasi spinta fuori dalle discepole, ragazze che imparano il mestiere e che segretamente vogliono completare il lavoro del loro corredo di zite perché hanno fretta di maritarsi.
Dopo aver scansato due cani che ringhiando si contendono un osso, a torso nudo (è una giornata di luglio accesa da un sole rovente) mi accosto al carro per sbirciare tra la merce esposta; a quel tempo quanto potevo avere? sette o otto anni. Ma ecco a tradimento una gragnuola di schiaffi sulla mia schiena: mi giro di scatto pronto a reagire ma non mi resta che guardare imbelle le spalle di un gruppo di coetanei della Vadduvàna che precipitosamente fuggono tra gli sghignazzi, scomparendo in fretta sotto il Ponte del Salice…