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«M’innamorasti», da una lirica di Pasquale Sturchio

16.04.2015, Lettura di Giuseppe Marano

L’amore per Sturchio parla chiaro con la voce limpida e primordiale della natura d’uno schiocco di polla sorgiva, d’uno sprillo di sangue da un arteria ferita d’un braccio sdrucito da un coccio di vetro…Scevra da ogni affabulazione poetica ed artificio intellettualistico di cui amano ammantarsi tanti “ermetici post litteram” afflitti dalla smania frustrante dell’enfant prodige genietto incompreso…, entra viceversa anzi cala piomba in picchiata di girifalco “in medias res” subito! Non muovendosi…fermandosi ad osservare contemplare sentire in sè!

Ma appunto la picchiata è ferma in sè, perchè basta veda il viso nella sua apparizione fantasmatica col mirabile contorno- aureola di grazie, perchè il mondo, il suo, e quello di riflesso: il cosmo si fermi rapito anch’esso in visibilio di contemplazione…Il processo poetico in Sturchio quindi è un processo inverso dalla pulsante drammaticità del reale sacrilegamente imprendibile nella sua intangibilità metafisica ( drammaticità di quel viso, di quelle grazie magnifiche esondanti e precluse) alla sua immediata smaterializazione che ascende ad un livello di spiritualizzazione sancito proprio dalla sua intangibilità, che sfugge dalla sfera empirica per confinarsi negli strati superni metafisici…

Solo se si percorre questo curriculum poetico non travagliato, al contrario nativo sorgivo albale del poeta, si arriva a percepire la sua estrema purificazione delle immagini apparentemente troppo carnali, purificazione attestata dalla macerazione intellettuale imperniata intorno al cilizio perenne del perchè dello “spreco” cosi ignominioso di un miracolo che potrebbe redimere un’anima eletta, del perchè di tale confinamento preclusivo interdetto al poeta, del dono più suggestivo della natura che effettivamente si conferma più che matrigna decisamente “maligna”.

E la fanciulla amata colta nel massimo turgore della sua irresistibile esuberanza si trasfigura nella spiritualizzazione del mito eterno della Bellezza che irresistibilmente attrae il Mondo con tutte le creature per purificarlo col dono di un appagamento perenne! E’ lo sfocio nella plaga spirituale che assicura l’eternità di quell’attimo irrepetibile dell’ “eternità d’istante”…perchè solo l’immagine rarefatta dell’amore si libra al di sopra del turbine corrosivo del tempo e ne è immune…

Perchè sta piangendo quella fanciulla? Atroce domanda che sigilla in un chiodo rovente il dolore perenne del poeta e dell’empatico lettore: può darsi che desideri la realizzazione del sogno che affligge il poeta stesso. Questo il motivo tragico! L’inferno in terra! Un incontro sacrilegamente precluso dal fato ignobile e dalle convenzioni oltre che circostanze?

La chiave di volta su cui “pontano le altre rocce” è tutta qui… il tristico: i tre versi dominanti son tutti qui…:

                                                                                                       

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