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Trivellazioni in Irpinia, una storia che viene da lontano

03.02.2015, Articolo di Emma Barbaro (dal sito www.ilciriaco.it)

I primi tentativi alla fine del diciannovesimo secolo. E oggi la storia si ripete.

“Il secondo conflitto mondiale si lasciò dietro le spalle un’Irpinia disastrata, annoverata tra le province più povere d’Italia. Le migliaia di pagine scritte dalla Commissione Parlamentare, nell’inchiesta sulla miseria in Italia (1951-1952) furono un primo tentativo di capire cosa fare per combattere disoccupazione, miseria, povertà. In verità la storia del petrolio somigliava, anche in quegli anni tragici, ad una araba fenice. Avrebbe portato con sé sviluppo, lavoro, o almeno così fu fatto credere. Un ‘grande bluff’ con il quale, ancora oggi, ci confrontiamo”.

Giovanni Marino, sindacalista della Cgil e sociologo, a quei tempi era solo un bimbo di 10 anni. Lucidamente rivive nella sua memoria le tappe di quegli anni difficili, contorti, tragici. L’Irpinia non è nuova ai propositi di petrolizzazione. Nel 1881 il tentativo dell’ing. Traiber a Frigento: due pozzi petroliferi per una produzione di circa 30 quintali di ‘olio grezzo’ alla settimana, fatti poi chiudere dalla polizia locale che ne vieta l’estrazione. Nel 1912 ci riprova l’ing. Riboni a Monteverde; ma l’iter si blocca quando i proprietari del terreno non cedono alla vendita. L’anno successivo torna alla carica l’ing. Schneider di Monaco di Baviera, poi il nipote nel 1926. Nel ’47 le prime autorizzazioni a Monteverde da parte dell’allora Ministero Industrie e Miniere. Sempre negli stessi anni le cronache giornalistiche citano fantomatici giacimenti a Calitri, a Lacedonia e, nel luglio del 1953, a Frigento. Qui l’ing. Schettini segnala che la roccia calcarea è così imbevuta di petrolio, da bruciare facilmente “con fiamma lunga e molto fumo” e viene utilizzata normalmente dai contadini per accendere il fuoco. Così come in contrada Mofetella lo “sprigionamento di gas-nafta” è all’ordine del giorno.

Nel 1953 la svolta: “Un comunicato Ansa- spiega Marino- annunciava che alle falde del Montagnone di Nusco era zampillato spontaneamente liquido petrolifero. L’avvocato Saverio Barbone, un ex fascista riciclato e primo sindaco democristiano del paese, si illuse, o volle illudersi in buona fede, che si stava presentando una grande occasione per un paese di 6000 abitanti che versava in condizioni di grande povertà e in cui già si registravano partenze verso l’Argentina, Belgio e Svizzera. Il miraggio dell’ ‘oro nero’, grande aspettativa tutta da verificare, poteva portare finalmente lavoro e ricchezza al paese”. Una storia ‘riciclata’ quella del petrolio in Irpinia, che parte da lontano. Il 4 marzo del 1954 alla presenza del prefetto Pandozy, del senatore Clemente e dell’ing. Cerullo del Ministero dell’industria, Nusco ha vissuto una giornata di grande speranza collettiva. “L’entusiasmo era tale- racconta- che il prefetto dovette affacciarsi dal balcone del Municipio per salutare le centinaia di persone accorse. Alla fine dei discorsi tutte le autorità raggiunsero le baracche del cantiere della Fondedile. Alla presenza del vescovo Casullo, l’ing. Zammatti dell’Agip e il geologo Bartolucci fecero il punto della situazione. Ma con grande sorpresa la prova prevista non si poté più fare per motivi di ordine tecnico. L’esperimento fu rinviato e, poi, non si fece più. L’Eni, che avrebbe dovuto fornire un parere sul nostro petrolio inoppugnabile e definitivo, non procedette. E l’oro nero fu lasciato nel dimenticatoio fino al 2012”.

Da qui in poi, prende avvio una storia già scritta. Prima l’Italmin, poi la Cogeid, tentano di convincere l’opinione pubblica della bontà di un progetto ‘Gesualdo-1’, che avrebbe addirittura lo scopo di “bonificare o riqualificare un’area dismessa”, come ha sostenuto il geologo Piero Casero. Che nobiltà. Eminenze scientifiche quali Alfonso Faia, Stefano Aquino, Franco Ortolani, Albina Colella, Alessio Valente, svelano un altro risvolto della medaglia; un risvolto che parla di inquinamento delle acque e dei suoli, radioattività, sismicità vera o presunta. “Quando nel 2012 incontrammo la Cgil lucana ci fu consigliato, da chi prima di noi aveva vissuto un dramma, di non lasciar cadere la questione nel dimenticatoio perché, poi, ci saremmo trovati a gestire solo delle royalties. Ieri come oggi- sottolinea Marino- loro si trovano a dover fare i conti con un processo già avviato, a gestire un’emergenza. Noi non dobbiamo consentire questo. Non possiamo cedere. Negli anni ’50 il petrolio era il passe- partout per non emigrare, un miraggio. Oggi la coscienza collettiva è cresciuta. Oggi, in barba a una Regione che sostiene che va bene fare ricerche petrolifere su questo territorio, che poteva dire no ben prima di incominciare, sono convinto che le persone alzerebbero le barricate pur di non veder intaccata la propria terra. E il merito è dei comitati; di gente coraggiosa e onesta che ha saputo sensibilizzare le coscienze. Piccoli pionieri che hanno smascherato il bluff, svelando una vocazione Irpina ancora tutta da scandagliare. Sono fiducioso nel movimento di lotta anche se non condivido l’estremismo”.

Ma perché l’Irpinia non ha ancora svelato la sua vera vocazione? Perché se altrove si è provveduto ad emanare norme di salvaguardia dell’ambiente, della storia e dell’architettura di pregio, dell’identità di una popolazione, qui siamo ancora a domandarci scettici se effettivamente ci sia qualcosa da salvaguardare? “Negli anni ’80 mi sconcertava addentarmi nel centro Italia e constatare, mio malgrado, che anche una pietra veniva valorizzata come bene di pregio. Il pensiero correva immediatamente alla mia Irpinia. Il post terremoto era una possibilità, mancata in pieno da amministrazioni che non hanno voluto essere lungimiranti. I geometri e non gli architetti, cui fu affidata la ricostruzione, demolirono tutto; nelle campagne di Nusco furono eretti in serie, e in modo del tutto sbrigativo, veri e propri ‘casermoni’ in cemento. Si è costruito male, sprecando quanto poteva essere indirizzato verso una vocazione agro- industriale. Vino, castagna, olio hanno indicato una direzione naturale che gli amministratori locali non hanno voluto percepire. Erano concetti al di fuori della logica di chi comandava. Tanto che- arringa- ancora oggi le classi dirigenti ci ripropongono questo benedetto petrolio. Ma a chi fa bene? Le finalità sono ben altre. Perché se si chiede a Ciriaco De Mita quale sia il suo pensiero rispetto al greggio non risponde, se non con qualche accenno? Perché se lui molla Caldoro, saremo tutti no triv, in caso contrario si trivella. Ma non sarà facile portare avanti questo progetto. Forse siamo un po’ come Davide contro Golia; certo è che qui non avranno vita facile”.

La storia parla chiaro. Si può perdere conservando la dignità. Ma, in altri casi, si può vincere. Anche, come Davide contro Golia, con un piccolo sasso scagliato nel vento.

                                                                                                       

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