Bagnoli: dove la bellezza è un segreto
29.01.2015, Articolo di Giulia D’Argenio (dal sito www.orticalab.it)
Al momento di partire abbiamo gli occhi pieni di stupore e in gola soffocato un urlo di vendetta per quello che questa terra potrebbe essere e non è.
Montare lungo il dorso di una montagna d’inverno, alle porte di un nuovo anno, è come sfogliare un libro di fiabe. Forse perché la montagna, nella sua sibillina imponenza, in fin dei conti, è un palcoscenico perfetto per storie d’incanto.
L’incanto di un tempo sospeso come quello che si respira tra i vicoli di una Bagnoli sconosciuta. Sconosciuta nel suo vero cuore storico che noi percorriamo appena arrivati, accolti dal tepore di un sole che taglia il freddo di un terso mattino di dicembre. A riceverci una nostra conoscenza: Dino Cuozzo, che già ci ha accompagnati attraverso i boschi intorno al Laceno, al quale si unisce, poco dopo, Nello Nicastro, la voce delleGrotte del Caliendo. La prima tappa alla quale siamo condotti è la Cattedrale del paese: la Chiesa della Santissima Immacolata, cuore della devozione dei fedeli bagnolesi. La fondazione del luogo di culto risale all’anno 1000 circa e sono diversi gli episodi nella storia della comunità che ne alimentano la devozione. Due in particolare ci vengono ricordati dalle nostre guide: l’intercessione della Madonna che arrestò l’epidemia di peste del 1656 e, nel 1799, l’avanzata delle truppe francesi che, provenienti dal napoletano, furono costrette al dietrofront all’altezza di quello che è noto come il Malepasso.
Quando si varca la soglia della cattedrale, in cima ad un’elegante scalinata, si apre agli occhi del visitatore la profonda imponenza di una navata centrale, in fondo alla quale campeggia, dietro l’altare maggiore, l’antico organo. Ma la Chiesa della Ss.ma Immacolata è un vero e proprio scrigno che nasconde alla vista un tesoro. Dino e Nello, infatti, ad un certo punto ci conducono alle spalle dell’altare principale, proprio al di sotto dell’organo, e lo spettacolo che ci si apre agli occhi è tale da lasciarci senza parole: un coro ligneo dichiarato monumento nazionale. L’opera è gelosamente custodita, tanto che l’accesso ad essa è regolato da un regime molto rigoroso per evitare furti, come quelli che si ebbero durante alcuni lavori di restauro negli anni ’80, ad opera degli stessi operai. Risalente al 1650, la sua realizzazione risulta incompleta perché non fu ultimata la levigazione di tutti gli altorilievi ma davvero poco incide sulla sua austera bellezza. Lungo tutta la superficie del coro corre la narrazione della fede, con la raffigurazione di episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Pochi attimi al cospetto di quello che è un vero e proprio saggio di quanto grande possa essere la capacità creativa dell’uomo, per comprendere quanto, al contempo, questo possa essere artefice del proprio male.
Ci lasciamo alle spalle i segreti della cattedrale per addentrarci attraverso i segreti di Bagnoli che non dovrebbero esistere: il vero centro storico che, come ci spiegano le nostre guide, resta purtroppo fuori dai circuiti turistici che toccano il paese, soprattutto in occasione dell’evento al quale ne è legato il nome e che è, perciò, il vettore delle maggiori potenzialità per il suo sviluppo o, almeno, per la sua sopravvivenza futuri. Parliamo della sagra del tartufo bagnolese, a cavallo tra ottobre e novembre, e che tocca solo in maniera liminale l’intreccio di vicoli più suggestivo che costituisce la trama principale del piccolo centro. Solo le immagini possono, forse, rendere al meglio l’idea di cosa voglia dire attraversare Bagnoli lontano dai tragitti più noti fino all’antico quartiere ebraico, la “iureca”, arroccata sulle antiche mura del paese. Una strada che ci conduce verso la piazza principale passando prima per l’antichissima effige della Madonna Assunta e poi per la Torre Civica al di sotto della quale si trova la suggestiva Fontana del Gavitone,dal cui muro sbuca una pianta di carpine plurisecolare.
Dalla piazza, dove sorge la Cappella di Santa Margherita, si arriva, attraverso un vicolo, alla Chiesa di San Domenico. L’antico edificio nacque, nel 1490, col nome di Chiesa di Santa Maria di Loreto e poi, per volontà delle contesse Margherita Orsini e Giulia Caracciolo, divenne Chiesa di San Domenico. In seguito, per l’impegno di Frate Ambrogio Salvio, confessore di Carlo V, divenne uno studentato domenicano. Fucina di cultura in passato, oggi è una ferita aperta sul volto di Bagnoli e dell’Irpinia tutta, per come è ridotta. Nell’indifferenza della popolazione, in parte corresponsabile degli scempi che si consumano su un patrimonio straordinario: dalle maioliche dei pavimenti, ormai irriconoscibili, agli affreschi, ai marmi degli altari.
Proseguiamo il cammino, verso la terrazza dove s’affacciano gli antichi castelli, passando attraverso i vicoli sui cui lati si ergono i palazzi nobiliari tra i quali il Palazzo Moscariello. Alla fine, davanti a noi s’apre il respiro della piana dove è adagiata Montella con la sua collegiata e ai lati il fortalizio Longobardo, dell’VIII secolo, e il Castello Cavaniglia, le cui merlature fanno pensare ad influenze d’epoca normanna.
L’ultima tappa, prima di ripartire, la Villa Comunale. Lungo la strada è un continuo ragionare di potenzialità, di possibilità, di occasioni mancate e progetti incompiuti. Progetti per Bagnoli, progetti per l’Irpinia, progetti per un futuro che non è mai giunto. Quando ritorniamo in piazza con gli occhi pieni di stupore per quelle bellezze, addirittura violate, nascoste agli occhi del mondo, le narici sono colme dell’aria pungente delle nostre rocciose montagne e in gola è soffocato un grido di vendetta per quello che ci è stato tolto, come un infante soffocato alla nascita. Una vendetta che potrebbe giungere se l’Irpinia ne avesse il coraggio.
Potrebbe, appunto.
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