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Aulisa. “Chi era costui?”

21.01.2015, Articolo di Antonio Cella (da Fuori dalla Rete – Gennaio 2015, Anno IX, n.1)

Già! Chi era TOMMASO AULISA? Credo proprio che il pronome “costui” non sia appropriato alla persona della quale tenterò di costruire, di seguito, i suoi vari profili. Il “pronome” incriminato l’ha usato il Manzoni, come tutti sappiamo, in un capitolo dei Promessi Sposi per sottolineare alcuni tratti della personalità di Don Abbondio e, in particolare, la caducità della sua erudizione.

Il Nostro però, non era il personaggio manzoniano che non sapeva chi fosse “Carneade”, ma un uomo di vasta cultura, morto qualche decennio fa, che ha fatto parlare di sé non soltanto per quello che ha fatto di buono nel paese, di cui era Sindaco, ma anche del suo modo di amministrare spigliato, sicuro, piuttosto sopra le righe, che conduceva alla realizzazione di progetti genuini, fantasiosi, pianificati  dalla sua fervida mente, come quello di  effettuare il Consiglio Comunale del suo Esecutivo in Svizzera, tra i numerosi supporter emigrati per lavoro nella terra di Guglielmo Tell, e quello di aprire un’entratura nel futuro, chiamando a raccolta intorno a sé gli epigoni dell’arte e del sapere che, nella seconda parte del secolo scorso, per meriti artistici e intellettualistici, hanno lasciato impronte indelebili in Italia e, senza esagerazioni, in buona parte del mondo.

Vi parlerò, quindi, del lato umano dell’uomo Aulisa, del lato politico dell’Amministratore illuminato e, infine, del lato squisitamente culturale dello scrittore semplice, elegante, alieno da fronzoli retorici.

Ho conosciuto Tommaso nel periodo della mia adolescenza: mi sono fatto adulto sulla scia dei suoi interventi politici, sociali e, direi quasi, umanitari se si tiene conto anche della rapida soluzione con cui riusciva a superare le problematiche umane che  angustiavano la massa di diseredati che viveva nella terra d’Irpinia nel periodo post-bellico. Mi sono adagiato all’ombra della sua personalità dagli aspetti poliedrici, sempre degni, a qualsiasi livello, della massima considerazione.

Tommaso, in giovane età, munito di uno “squicchio” di fisico e di un cervello dalle capacità intuitive e operative fantastiche, al di fuori della norma, era già alla guida dell’Amministrazione comunale di Bagnoli. Risoluto, disinvolto, vivace (a volte caparbio e inscalfibile come un numero primo) che in presenza di persone autorevoli e carismatiche di elevato profilo culturale, non si intimidiva affatto. Anzi, si esaltava dando il meglio di sé. I vari Sullo, i Covelli, i La Malfa che ebbero la sventura di far propaganda elettoralistica nella “sua piazza” furono tutti interrotti dagli interventi contraddittori di Tommaso.

Al pensiero, faceva seguire immediatamente l’azione che spesso portava alla soluzione di casi difficili. Agiva quasi sempre d’istinto. Quel tipo d’istinto tarato, controllato, affidabile che lo portava ad agire con motu proprio, infischiandosi della impopolarità e delle sanzioni che potevano rivenirgli, in quanto amministratore, dalla inosservanza di certe regole che avrebbero frenato il rapido raggiungimento della meta che si era prefissata per il bene della collettività. Di qui, la cessione gratuita (aperta all’intera nazione) del suolo pubblico nella Piana del Laceno, per la costruzione dell’attuale villaggio turistico, e la cessione altrettanto gratuita di suolo pubblico per l’edificazione in paese di case per i concittadini, ai quali, stante il divieto per gli Enti Locali di fare atto di donazione, fece pagare una cifra simbolica.

Sindaco di Bagnoli Irpino per più lustri; ispiratore e promotore di opere di urbanizzazione cittadina di notevole importanza sociale (vedi estensione rete idrica e fognaria nelle abitazioni e nell’intera area urbana) che hanno dato, a partire dai primi anni cinquanta del secolo ventesimo, nuova immagine e servizi efficienti al paese e alla comunità, tanto da farlo additare quale esempio di sviluppo e progresso sociale.

Tommaso considerava l’impegno politico al pari di quello morale. Fondava la sua idea sui principi cardine del socialismo democratico e riformista, “giustizia e libertà”, propri degli ideali di uno dei padri del socialismo nostrano: Pietro Nenni.

LUI, facendo suo l’ambizioso disegno di sviluppo culturale dell’Irpinia, ideato da Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio, responsabili della rivista cinematografica più famosa dell’epoca: “CINEMASUD”, scelse d’investire, con invidiabile sagacia e lungimiranza, sul binomio cultura-turismo per avviare, con la nascita del premio “LACENO D’ORO”, una prospettiva di sviluppo del paese e dell’entroterra irpina. Scelta che in seguito gli diede ragione poiché il menzionato evento, nell’arco temporale di un trentennio (1959-1989), assunse importanza di proporzioni gigantesche, inimmaginabili, la cui eco risuonò non soltanto nell’ambito europeo ma raggiunse paesi e nazioni dove la cinematografia era notoriamente di casa.

Il successo del “Laceno d’Oro” lo si deve ascrivere soprattutto alla professionalità e alla maestria dei grandi operatori del settore, come i registi e i produttori che si posero alla guida della kermesse bagnolese: Carlo LIZZANI, Cesare ZAVATTINI (poeta del Neorealismo), Pier Paolo PASOLINI e Alberto MORAVIA, i cosiddetti “padri nobili” della cinematografia italiana, nonché alla partecipazione “interessata” di registi, sceneggiatori e produttori di estrazione irpina del calibro di Sergio LEONE, Ettore SCOLA, Lina WERTMULLER e Dino DE LAURENTIS.

Parte del merito di così vasto consenso va attribuito anche agli attori e agli artisti di fama mondiale che parteciparono alle ventotto edizioni del “PREMIO” disseminate tra Bagnoli, Solofra, Atripalda e Avellino (dove, purtroppo, per incredibili motivi di titolarità del “marchio di fabbrica”, pur continuando a vegetare, ha trovato la sua innaturale collocazione), la cui presenza ha fatto da polo di attrazione, da richiamo, di masse di cinefili e curiosi che, profittando del momento favorevole, hanno potuto toccare dal vivo artisti di grande prestigio come: Claudia Cardinale, Gian Maria Volonté, Stefania Sandrelli, Ingrid Thulin, Nanni Loy, Gillo Pontecorvo, Valeria Moriconi, Mario Monicelli, Giancarlo Giannini, Tinto Brass, Luigi Zampa, Franco Nero, Dominique Boschero, Gigi Proietti, Domenico Modugno, Milva e tanti altri.

Il “LACENO D’ORO” è stato un “Inno alla Cultura”. Ciò è avvalorato dal fatto che i menzionati cineasti se non fosse stato per l’intrinseco valore culturale del “Premio” non sarebbero mai scesi, per trent’anni consecutivi, nel Sud d’Italia, semplicemente per ritirare un trofeo materialmente insignificante. La loro partecipazione era legata soprattutto all’importanza della manifestazione, che avrebbe dato loro motivo di vanto e di prestigio nel resto del mondo.

Gli stessi motivi potrebbero giustificare anche la presenza a Laceno di Pier Paolo Pasolini, con la differenza che Lui, il poeta, il cineasta, lo scrittore di fama, aveva intravisto nei nostri monti, nei nostri boschi, nella nostra gente, le stesse genuine radici della civiltà contadina del suo Friuli:

“…Ora, in un paese tra il mare e la montagna, dove scoppiano i grandi temporali, d’inverno piove molto, in febbraio si vedono le montagne chiare come il vetro, appena al di là dei rami umidi, e poi nascono le primule sui fossi inodore, e d’estate gli appezzamenti, piccoli, di granoturco, alternati a quelli verde-cupo dell’erba medica, si disegnano contro il cielo sfumato, come un presagio misteriosamente orientale…un paese di sogno, formicolante di gente contadina…buon vino, buona tavola, gente educata”.

I motivi che ispirarono il Neorealismo italiano avevano origini lontane e, pur essendo tipici della realtà italiana del dopoguerra, furono vissuti da scrittori e da cineasti come una battaglia di grande valore etico grazie a ROSSELLINI (Roma città aperta-1945), a LIZZANI (Il processo di Verona), a VISCONTI (Ossessione-1943), a DE SANTIS (Riso amaro-1949), alla coppia ZAVATTINI-DE SICA (Sciuscià-1946, Ladri di biciclette-1948), a PONTECORVO (Kapò-La battaglia di Algeri), a NANNY LOY (Le quattro giornate di Napoli) e sfociarono in un cinema che riguardava buona parte del mondo del ventesimo secolo, con il dramma della libertà e il rispetto della persona umana.

E’ risaputo, invece, che le manifestazioni del “neorealismo lacenese” sono storicamente legate, sia in letteratura che in filmografia, all’anti fascismo. Esse, idealmente, vanno considerate come un treno ad alta velocità di cui si sono serviti gli intellettuali dissidenti verso ogni forma di sopruso, per rimarcare e meglio rappresentare al resto del mondo la prepotenza e gli orrori riconducibili alla retorica imperialista.

Non datemi del visionario se azzardo una ipotesi assai difficile da definire ma che, comunque, potrebbe avere un aggancio con il disgelo dei paesi dell’Est europeo nei confronti del resto d’Europa. Sono pienamente convinto che agli autori della filmografia neorealista e del “LACENO D’ORO”, vada riconosciuto non solo il merito di aver dato la spallata decisiva ai rigurgiti di regime in fermento in Italia, che vedeva e faceva vedere le cose in unica dimensione, ma anche l’aver inferto, con la sua forza di rottura, una virtuale picconata a un muro di Berlino ancorché inedificato, di là da venire. Forza di rottura irrobustita, corroborata, dalla proiezione tardiva dei film sopra menzionati nelle neonate Repubbliche europee negli ultimi anni di vita del secolo XX che, per la loro tragicità, per la loro carica umana, hanno sicuramente smosso, fatto presa in modo incisivo, sulle coscienze degli oppressori.

Il “LACENO D’ORO”, nato da una “piccola manifestazione di provincia” diventò, così, il più moderno festival popolare d’Europa, emblema del neorealismo mondiale, secondo soltanto alla Biennale del Cinema di Venezia. Peccato che quella manifestazione irripetibile, e irripetuta sul suolo nativo, non sia stata trasformata, per mancanza d’impegno politico, in Ente culturale, in istituzione pubblica che potesse attrarre fondi statali e regionali da consentirle una sopravvivenza tranquilla, protetta e, nel contempo, permetterle di operare, a trecentosessanta gradi, più attivamente nel mondo dell’arte per segnalare, in tale veste, i fermenti di rinnovamento della cinematografia e della cultura in senso lato.

L’Aulisa scrittore non è da meno dell’Aulisa politico e amministratore. Ha scritto numerose sillogi di notevole interesse che, in parte, ripercorrono la sua esperienza vissuta nel Partito Socialista Italiano, nel Comitato di Liberazione Nazionale e nella Camera del Lavoro provinciale, che lo tennero impegnato a partire dall’immediato periodo post-bellico fino alla metà degli anni ’50. Nei suoi racconti traspare tutto il suo amore per il paese natio che ha funto da proscenio alle lotte sociali e politiche da lui combattute parallelamente alla linea di Nicola Vella, leggendario Sindaco di Lacedonia, negli anni dell’occupazione dei terreni incolti da affidare ai contadini irpini nullatenenti.

L’ultimo lavoro letterario di Tommaso è la pregevole “Bibliografia storica di Bagnoli Irpino”, scrupolosa ricerca storiografica che, a far data dal XII secolo, integra e colma i vuoti lasciati dagli storici che, prima di lui, si sono cimentati nella materia.

Questi era Tommaso AULISA, il Sindaco politicamente più longevo di Bagnoli. Il Dottor Ernesto Cianciulli di Montella, nel corso dell’orazione funebre, disse di lui: “…Ha fatto tante di quelle cose, che a molti potrebbero sembrare scontate, ma che nessuno si è mai sognato di realizzare.”

Quella di Tommaso è stata, sicuramente, una tra le intelligenze più attive che si sono avute a Bagnoli nel secolo scorso. Questo non lo dico soltanto io che, ribadisco, ho vissuto da amico, da parente acquisito, la sua Era. Giovanni Acocella, politico e scrittore di Calitri, scriveva di Tommaso in un articolo riportato dal giornale “L’Opinione” di Avellino: “…Non si è limitato a pensare da socialista. E’ andato al di là delle realizzazioni delle opere e, soprattutto, dei comportamenti, incarnando un modo di essere esemplare ed originale. Faceva parte di quella schiera di amministratori socialisti e popolari, liquidati troppo disinvoltamente, che alla predica hanno associato la fattività operativa per la crescita delle loro comunità, per il miglioramento delle condizioni civili.”

                                                                                                       

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