Mostra mercato del Tartufo Nero di Bagnoli Irpino. Il prodotto non è in fuga
28 ottobre 2010, Articolo di Monica Piscitelli (tratto dal sito web ufficiale di LUCIANO PIGNATARO*: www.lucianopignataro.it)
Dopo che hanno spopolato per tutti gli anni Novanta è il momento del declino delle sagre. Se ne dice, tra gli addetti ai lavori e i consumatori più avveduti, peste e corna. Chi ha il polso delle tendenze e sa dove si dirige l’enogastronomia ai tempi d’oggi, riconosce alle feste che celebrano prodotti e tradizioni artigiane secondo il modello che in passato si sviluppava sul sagrato delle chiese dei paesi, al più, il merito di aver esaudito per prime un bisogno di campagna e prodotti genuini. Emerso prepotentemente una ventina d’anni fa, il fenomeno è imploso rapidamente divorato da un’imperdonabile carenza strutturale: il sistema produttivo atto a garantire la presenza del prodotto che si celebra era del tutto assente.
Non è questione di numeri quanto di credibilità. Cosi’, mentre continua la corsa al week end per mangiare la rana, il fungo porcino, la salsiccia paesana, la sagra è già in crisi.
E lo è tra coloro che associano la qualità a tavola ai piccoli numeri. La sagra è colpevole, infatti, di andare nella direzione opposta: cercherebbe ancora la massa. Se a queste feste va ancora riconosciuto comunque il pregio di offrire alternative di svago per famiglie e comitive di amici, è difficile non osservare come molte siano fatte per far cassa, offrano prodotti per nulla di territorio (se non di scarsa qualità) e, soprattutto, non consolidino sul territorio i risultati ottenuti in termini di presenze.
Non tutte cosi’, ovviamente. Ma la tendenza a far di tutta un’erba un fascio finisce per penalizzare anche interessanti esempi di feste, mostre, sagre che sono impostate seriamente e che possono dare un importante contributo a tener vive tradizioni antiche e, magari, a prospettare un futuro di lavoro per membri della comunità che le accoglie che viceversa le abbandonerebbero. A questi esempi occorre ispirarsi per pensare a una riqualificazione di queste occasioni, riqualificazione che non può non passare attraverso il porsi una domanda “quale è il prodotto che promuoviamo?” e: “chi lo produce o potrà produrlo?”.
E’ un paradosso, ma nella sagra di questo o quel prodotto, tra il gruppo folk, l’animazione del Dj e il liscio, è proprio il prodotto il grande assente.
Ricevo segnalazioni di innumerevoli sagre di questo genere e alla richiesta di capire di più, di quantificare e analizzare ciò che è intorno al prodotto, molti si spaventano. Il prodotto si dà alla fuga.Cade nel nulla la mia email di richiesta chiarimenti.
Quando la pro loco di Bagnoli Laceno, nella persona di Stefano Belfiore, mi ha contattato un paio di settimane fa segnalandomi l’edizione 2010 della mostra mercato del tartufo nero e dei prodotti tipici e 33esima sagra della castagna in programma a Bagnoli Irpino dal 29 al 31 ottobre, ho chiesto le mie solite spiegazioni e anche, e soprattutto, di avere qualche dato. ma non mi riferivo a quelli che mettono tutti su incredibili e inaspettate presenze che di anno in anno si decuplicano. Mi interessava il prodotto e speravo non si desse alla fuga.
Il mio interesse era dovuto al fatto che il Tartufo nero di Bagnoli Irpino, scientificamente chiamato Tuber mesentericum Vittad per il suo aspetto globoso e simile a quello dell’intestino tenue, è un rappresentante rispettabilissimo di Tartufo ordinario, nero, rispettabilità che vale a Bagnoli Irpino l’iscrizione all’Associazione nazionale “Città del tartufo”che vede, tra le altre, anche Alba, San Miniato e Macchiagodena. Si tratta di un tartufo, un fungo ipogeo nella sostanza, di gran carattere gusto olfattivo: pungente al naso per il suo tipico odore di bitume o d’acido fenico e per il sapore leggermente amarognolo. Si produce tra Bagnoli Irpino, Apeta, Sazzano, Valle dell’Acero, Valle Bona, Cervarulo e Cervialto, ma ha legato il suo nome a quello di Bagnoli Irpino perché fu proprio intorno ai boschi (stabilisce rapporti simbiotici principalmente con il faggio e il pino nero) che lo circondano che e’ cominciata, più di cento anni fa, la sua raccolta.
Il tartufo che si celebra a Bagnoli irpino è, assolutamente, di questa zona dell’Irpinia i cui boschi ospitano in prevalenza faggete la cui spettacolarità è ben nota.
Cosa credete che sia accaduto, dopo la mia richiesta di informazioni? Incredibilmente, il prodotto non si è dato alla fuga e la pro loco mi ha dato informazioni dettagliate e puntuali che cercavo.
Leggo, dunque, con soddisfazione e interesse: i dati di affluenza, le dichiarazioni dei partner istituzionali, le novità della edizione 2010, le caratteristiche del prodotto e, udite udite, ciò che mi stava più a cuore: sapere che economia ha questo prodotto. Non per capriccio, ma perché senza questa informazione, senza la dimensione sociale di un prodotto, “alla festa manca il Santo da festeggiare”.
Leggo sempre, dunque: i cercatori sono più di 100 e quelli che commercializzano prodotti a base di tartufo 5. La produzione è di circa 15000 chili (dati 2009) e i mercati di sbocco sono l’Italia Meridionale, la Germania, l’Inghilterra e la Spagna. Ancora una cosa interessante, nell’ottica della rete tra territori, propone l’edizione 2010: la partnership gastronomica con Cetara e la sua colatura, prodotto che da novembre 2003 è presidio Slow Food.
Il delizioso liquido ambrato prodotto da un tradizionale procedimento di maturazione delle alici sotto sale, solido esempio di monumentale intensità gusto olfattiva, incontra un esempio di uguale spesso:re il Tartufo nero di Bagnoli Irpino. L “Insalata bagnolese di tartufo” è la proposta che li vede duettare a tavola e – ulteriore aspetto che dà spessore alla “sagra” – che segna l’avvio di un progetto di collaborazione più ampia che vedrà a Bagnoli Irpino una rappresentanza dell’Associazione “Amici delle alici” e del borgo di Cetara alla manifestazione bagnolese.
Mi sembra cosa proprio ben fatta!
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(*) Chi è Luciano Pignataro …
Luciano Pignataro, laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilancio della viticoltura campana e meridionale.
Al centro dei suoi interessi la ristorazione di qualità, la difesa dei prodotti tipici e dell’agricoltura ecocompatibile. E’ autore per le Edizioni dell’Ippogrifo delle uniche guide, sponsor free, sui vini della Campania e della Basilicata andate ripetutamente esaurite oltre che del fortunato Le Ricette del Cilento giunto alla terza edizione. Con la Newton Compton ha pubblicato La cucina napoletana di mare, I dolci napoletani, 101 vini da bere almeno una volta nella vita.
Ha vinto il premio Veronelli come miglior giornalista italiano nel 2008. Dal 1998 collabora con la Guida ristoranti Espresso, è impegnato nella nuova guida Vini d’Italia di Slow Food.
Alla riflessione di Monica Piscitelli riteniamo utile aggiungere l’iniziativa proposta da Davide Paolini, del quale pubblichiamo il testo (inserita anche nella rubrica “FOCUS” del sito Palazzo Tenta 39), in attesa di altre opinioni e commenti.
PER UNA RIFORMA DELLE SAGRE …
Davide Paolini ha lanciato il 24 settembre scorso un appello per una radicale riforma delle Sagre.
MANIFESTO DELLA SAGRA AUTENTICA
1. La sagra è parte integrante dell’identità storica di una comunità e di un paese: è da intendersi come connubio perfetto tra l’autenticità gastronomica e le tradizioni del territorio da cui questa proviene. È espressione della cultura materiale del territorio e ha come obiettivo la salvaguardia, la diffusione e la promozione del patrimonio territoriale: in essa si intrecciano gastronomia, cultura, tradizione ed economia.
Perché una sagra si possa definire “tradizionale” deve possedere almeno un passato di legame tra il prodotto e il suo territorio, documentato da tradizione orale e scritta.
Tutte le iniziative culturali previste dalla sagra, infatti, devono riflettere l’obiettivo primario della sagra virtuosa, ovvero esprimere cultura e tradizione.
2. Il cibo, il consumo collettivo e rituale di determinati prodotti carichi di valori simbolici è il motore propulsore della sagra.
Il tipo di alimento, il modo di prepararlo e di consumarlo rimandano ad un passato di vita comunitaria e a una cultura alimentare percepita come segno di identità. Per questo la sagra deve somministrare piatti e ricette che abbiano come ingrediente principale il prodotto di cui si fa promotrice.
3. La sagra non ha finalità speculativa. Non è uno strumento di business e profitto, ma un veicolo di valorizzazione del territorio e della comunità. In questo modo la sagra diventa un’occasione per la comunità locale (operatori commerciali e non) per riflettere sulle proprie origini e sulle proprie risorse. La sagra deve garantire al meglio la tracciabilità, la divulgazione, la conoscenza dei propri prodotti e la trasparenza fiscale.
La sagra va intesa come un’opportunità per il territorio: favorisce il miglioramento dell’immagine della comunità, l’orgoglio di una comunità di riuscire a sostenere un evento, di sviluppare nuove conoscenze e capacità, di stimolare lo spirito di partecipazione, aggregazione, amicizia e appartenenza.
E’ uno strumento con cui far conoscere giacimenti dimenticati, ma anche borghi, musei periferici, centri storici, chiese e abbazie.
La sagra può costituire anche uno strumento di ricchezza economica nella misura in cui è in grado di realizzare servizi a favore della comunità locale.
4. La sagra promuove forme di socializzazione e sviluppo collegate alla cultura del cibo locale. Essa risponde al desiderio delle comunità di avere spazi di convivialità e socializzazione. Coinvolge tutto il territorio e le numerose realtà produttive e commerciali locali, nonché i vari operatori del settore enogastronomico, quali produttori, artigiani, cucinieri, ristoratori e baristi. Il benessere e la soddisfazione di tutte le fasce della popolazione, sono essenziali per una sostenibilità nel tempo della manifestazione.
La valorizzazione di un prodotto risulta efficace e con ampie ricadute economiche – durature – a vantaggio degli operatori locali, quando viene considerata in una dimensione collettiva, partecipata e condivisa sul territorio e non quando viene concepita tramite azioni estemporanee e promosse dai singoli soggetti anche se legati alla filiera e alle istituzioni.
La dialettica tra i contesti favorirà naturalmente un intrecciarsi di creatività e tradizione, contribuendo a trasmettere che il folklore non è fossilizzato, ma in continua evoluzione e rielaborazione.
Si auspica quindi il coinvolgimento della comunità nelle attività organizzative, invitando gli abitanti a prendere parte a comitati; incentivando aziende locali e amministrazioni al supporto finanziario e tecnico.
5. La sagra deve svolgersi in un periodo limitato di tempo, deve essere legata a cicli di produzione e consumo e non può avere durata superiore ai sette giorni. Deve avere luogo nel territorio di origine del suo prodotto, ricetta o trasformazione tipica, in locali e ambienti idonei per la somministrazione che siano ben inseriti nel contesto paesaggistico, anche valorizzando strutture e ambienti tradizionali.
Può svolgersi in contesto urbanizzato o in ambito rurale. Può anche prevedere eventi centralizzati ed eventi dislocati presso luoghi di produzione, osterie, ristoranti, enoteche e trattorie, creando una sinergia tra tutti gli attori pubblici e privati coinvolti nella sagra.
6. La sagra è organizzata e gestita da associazioni senza scopo di lucro, che in concorso con altri soggetti portatori di interesse a livello territoriale, operano con continuità allo sviluppo e alla promozione della stessa attraverso un comitato.
Gli organizzatori della sagra, perché questa possa definirsi tale, devono monitorare che i compiti relativi alla sicurezza degli ambienti e alle norme igienico sanitarie siano svolti con professionalità e responsabilità, assicurando competenza e preparazione del personale volontario.
Devono quindi affidarsi a volontari competenti, che si assumano la responsabilità dei compiti affidati. Gli organizzatori devono inoltre impegnarsi a tutelare i volontari coinvolti a livello assicurativo.
Il personale ha come obiettivo divulgare informazioni e approfondimenti, ma anche educare i visitatori e sensibilizzarli. Deve possedere competenza, ed essere in grado di dare informazioni corrette sul prodotto, raccontare aneddoti sulla sua storia ed esprime il legame sensoriale con la sua terra.
Gli eventuali utili debbono essere reinvestiti in attività a favore della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale.
7. La sagra deve rispettare il proprio territorio, facendo attenzione all’impatto ambientale e curando in particolare strutture, uso di detersivi biologici e smaltimento rifiuti.
Piatti, bicchieri e posate utilizzate in strutture pubbliche devono essere in materiale riutilizzabile, biodegradabile e di riciclo, o di uso comune e tradizionale sul territorio. Deve essere realizzata la raccolta differenziata. Lo smaltimento di liquidi e gas nocivi deve avvenire secondo le norme di legge. La sagra virtuosa, deve quindi dimostrare di intraprendere un percorso educativo anche in campo ambientale ed ecologico.
Montecatini (PT), 24 settembre 2010
Davide Paolini (coordinatore)
Edi Sommariva (direttore generale della Fipe)
Claudio Nardocci (presidente Unipli/Pro Loco)
Alberto Lupini (direttore “Italia a Tavola”)
Esmeralda Giampaoli (presidente di Fiepet Confesercenti)
Zelinda Ceccarelli (Uff. Promozione Agricola prov. di Arezzo)
Alessio Cavicchi (Università di Macerata)
Michele Corti (Università di Milano, ”Ruralpini”)
Loris Cattabriga (Presidente Associazione “Sagre e Dintorni”)