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Riti e credenze del mese di Gennaio

05.01.2015, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

 

Il 2015 parte con il buon auspicio, in quanto il primo dell’anno è un giovedì, giorno che è sotto il segno del Santissimo Sacramento. A  Capodanno per giunta cade la festività di Maria, in quanto madre di Dio. Questa coincidenza un tempo induceva la fede popolare a ritenere l’anno, come questo 2015, un anno fortunato, in quanto posto sotto la protezione  sia  del Padre Eterno sia della Vergine Maria. E se tanto non bastasse, ecco la schiera infinita dei Santi che dal mese di gennaio fino all’ultimo giorno di dicembre saranno portati in processione nei vari paesi della nostra terra d’Irpinia. Certo con il passare del tempo le usanze si sono modificate. Ma non è venuta meno la fede di un tempo.

I Santi del mese

La sera della vigilia di S. Antonio Abate, gruppi di ragazzi girando per il paese bussavano a ogni casa chiedendo una bracciata di legna per alimentare il fuoco rituale acceso in strada in onore del Santo. Appena si affacciava la padrona di casa, in coro i ragazzi intonavano un canto di questua:

Rangi re lévene pe’ Sant’Antuònu,

si no te manna lamp’e truoni.

(Dacci la legna, è per S. Antonio; altrimenti ti scaglia contro lampi e tuoni). C’è ancora chi ricorda che in alcuni paesi dell’Irpinia si allevava un porcellino, consacrato al Santo. L’animale, detto “o puorcu r’ S. Antuonu”, portava un fiocco rosso legato al collo, e poteva girare libero per le strade, nutrito da tutti i paesani.

Era il tempo in cui l’uomo viveva in stretto rapporto con la natura e con gli animali. E fiorivano le leggende religiose; e si affermavano le credenze, come questa. Chi nasce nel giorno della festa di San Paolo, che cade il 25 di questo mese, per nulla dovrà temere il morso dei rettili, perché lo protegge San Paolo, che ne è appunto il patrono. Soltanto questo fortunato ha il potere di udire un tuono in pieno mezzogiorno, anche se il cielo è sereno; allora basta che batta forte il piede sinistro al suolo perché i serpenti fuggano a sentire il suo passo quando camminerà nei campi oppure tra i boschi sui monti.

Con gennaio siamo nel cuore dell’inverno, e la campagna non richiede la mano del contadino. Per la potatura delle piante si può aspettare una giornata di sole; e gennaio ne dispensa tante. Del resto, il tempo della luce del giorno va allungandosi sensibilmente sicché lascia pregustare il tepore primaverile con due mesi di anticipo. Recita infatti un proverbio:

A Sant’Agnese

re lacèrte int’a re sepe.

(A S. Agnese, 21 gennaio, le lucertole tra le siepi). Alla festività di S. Agata, che ricorre il 5 febbraio, era legato questo rito divinatorio. Appena raggiunta la pubertà, la ragazza smaniava di conoscere prima del tempo il futuro sposo; e così ricorreva alla seguente pratica divinatoria. Dalla sera di martedì 27 gennaio, per nove sere di seguito (come una sorta di novena), fino alla notte della vigilia di Sant’Agata, usciva sul balcone, levava gli occhi al cielo e contava nove stelle (il numero rievoca i mesi di gestazione); ogni sera in un angolo diverso della volta stellata. L’ultima notte le sarebbe apparso in sogno il volto del giovane destinato dal cielo a essere il compagno della sua vita.

La notte dell’Epifania

La notte dell’Epifania quest’anno cade tra lunedì cinque e martedì sei: è la notte dei ritorno sulla terra delle anime del Purgatorio, destinate alla beatitudine del Paradiso. Era diffusa in Irpinia un’antica credenza: se nella giornata dell’Epifania due persone contemporaneamente pronunziano il nome di un caro estinto, è segno che la sua anima ha finito di scontare i peccati nel Purgatorio e sta ormai volando verso il Paradiso. Inoltre, se a dire lo stesso nome sono due ragazze adolescenti, la prima che si tocca il naso presto troverà marito.

Nella notte tra il cinque e il sei gennaio un tempo vigeva l’usanza di accendere i fuochi nelle piazze e nelle strade, forse con l’intento pietoso di indicare la via alle anime che tornavano. Chi desiderava accoglierle metteva via la scopa (la cui presenza esprimerebbe il rifiuto del padrone di casa di accoglierle) spegneva il fuoco nel camino e ammonticchiava la cenere (essa era ritenuta magicamente rappresentativa del mondo dei morti, e la sua presenza ricorderebbe il loro stato di non-vivi). E infine imbandiva parcamente la tavola in loro onore; infatti bastava poco: un pezzo di pane e una brocca colma d’acqua. Un segno di contatto avuto con l’anima di un defunto era il livido che taluni, al risveglio, si trovavano sul collo; questo livido era detto: il bacio dell’anima benedetta, lu vasu r’ la bonanema.

La befana che scendendo attraverso la cappa del camino, porta i regali ai bambini buoni e il carbone ai cattivi, non appartiene alla nostra tradizione; né vi apparteneva Babbo Natale che oggi prodiga doni a tutti i piccoli. Noi bambini di allora aspettavamo con ansia il primo dell’anno per ottenere la strenna (la stréca) dagli adulti. Già dal mattino ci appostavamo in Piazza e appena vedevamo spuntare uno zio (nu zianu) o il compare di battesimo (lu sangiuvànni) gli andavamo incontro e giunti a due passi cantavamo una filastrocca di questua:

Oje ca è Capurànnu e pure capu r’ mesu,

caccia la stréca ca ng’hè pruméssu.

(Oggi è capodanno e per giunta il primo del mese, tira fuori la strenna che mi avevi promesso). Il parente o il compare, che per tutto un anno aveva risposto al nostro saluto così: “A Capodanno ti darò la strenna!” non si tirava indietro; metteva mano alla tasca e ne cavava una manciata di spiccioli, ma non offriva  più di una monetina da cinque o da dieci lire. Tuttavia in quei tempi di penuria, anche quei pochi soldi per noi erano tanto. Si restava male se il familiare, dopo aver frugato nelle tasche, scuoteva il capo e diceva: “Uaglio’, passa p’ casa: truovi a moglièrema” (Ragazzo, vai a casa dove c’è mia moglie), perché nessuno dei ragazzi era così sfrontato da andare a bussare alla sua porta.

                                                                                                       

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