Nel cuore di quel bosco c’è una bella addormentata: la Grotta del Caliendo
16.12.2014, Articolo di Giulia D’Argenio (dal sito www.orticalab.it)
L’altra faccia dell’Irpinia – Esiste un altro modo di raccontare l’Irpinia, guardandola da dentro, sfiorandone il ventre più profondo, dov’è racchiuso l’anelito della sua anima tradita.
L’Irpinia può essere raccontata in innumerevoli modi e a partire da molteplici punti di vista: volgendo lo sguardo verso l’orizzonte delle sue pianure coperte di grano che si perde a vista d’occhio, accarezzato dal vento come le onde del mare. Oppure montando lungo il dorso delle sue colline fino a dominarla dall’altezza delle vette che si levano al di sopra di esse.
Esiste tuttavia anche un altro modo di raccontare l’Irpinia, guardandola da dentro, dalle sue viscere, sfiorandone il ventre più profondo, che racchiude l’anelito della sua anima, custodito tra rocce sotterranee, come il castello coperto di rovi dove giaceva la Bella sprofondata in un sonno profondo da una maledizione .
Arriviamo alla Valle Piana al mattino, verso le 9.00. Sul lago Laceno giace ancora l’umidità della notte e tutto intorno l’aria grigia di inizio dicembre è rotta dai colori della natura che s’avvia al letargo dell’inverno. Ci incamminiamo verso il bosco, attraverso il percorso che, dalla chiesa di Santa Nesta, sbuca ai piedi del colle Molella. Il rumore del letto di scroscianti foglie colore del rame sotto i nostri piedi è interrotto solo dalla voce esperta della guida Dino Cuozzo. Dino ci conduce con passo svelto e sicuro lungo il sentiero. Conosce queste montagne come le sue tasche e dimostra una strepitosa capacità di orientarsi. La cortina di alberi che ci si staglia tutto intorno, infatti, a noi impedisce di distinguere un punto dall’altro, una direzione dall’altra, mentre Dino sa agevolmente indicarci nomi di alture e tracciati. Ed è incredibile perché, in realtà, lui fa la guida di montagna per passione e non per mestiere. Dino, infatti, ha lavorato per 20 anni e più alla Almec di Nusco e da qualche tempo è in cassa integrazione.
«Pratico questi sentieri da quando ero piccolo poi, con gli anni, ne ho affinato la conoscenza. Per tanto, troppo tempo, ho abbandonato la montagna per dedicarmi alla fabbrica. Ora sono ritornato indietro e mi rendo conto di quanto il nostro futuro fosse qui». La storia di Dino a noi risuona come una sorta di metafora di questa Irpinia che, da un certo momento in poi, ha taciuto la voce del cuore per ascoltare quella della razionalità, senza rendersi conto dei rischi cui si esponeva. «Il Laceno, con le sue bellezze, dovrebbe essere una stazione turistica di grande richiamo, non solo a livello locale. Ma così non è: i numeri che si registrano non sono all’altezza delle potenzialità inespresse di questa zona. Noi proviamo a fare qualcosa ma ormai credo sia tardi: il futuro andava costruito trent’anni fa quando c’erano i mezzi e quando ancora non esistevano, tutto intorno, altri centri rinomati la cui affermazione ha deviato flussi turistici che, oggi, sarebbero confluiti qui senza dubbio». Il noi cui fa riferimento Dino è la realtà associativa locale collegata a quella provinciale di “Irpinia Trekking” che lui anima insieme ad un altro personaggio folgorante: l’architetto Nello Nicastro, uno dei custodi dell’anima sepolta dell’Irpinia.
Incontriamo Nello più in là, poco oltre la metà del percorso. Durante il cammino, mentre ci addentriamo nel bosco e il lago sparisce dalla vista, la fatica della salita si fa sentire sempre più insistente, per noi sedentari abitanti di città, che abbiamo reciso il cordone ombelicale con la fonte del nostro essere comunità: la montagna. Attraverso i rami degli alberi, che si diradano in alcuni tratti, permettendo di lanciare lo sguardo più in là, è possibile scorgere Montella cinta dalla sua valle. Ad un certo punto, però, qualcosa che proprio lì non ci saremmo aspettati di vedere, si presenta puntuale ai nostri occhi. La bellezza del paesaggio, che ci taglia il fiato già corto, è lacerata dagli immancabili segni della nostra più bruta irriconoscenza verso una natura tanto maestosa. Ai piedi degli alberi, rifiuti «depositati sicuramente dalla gente del posto» ci dice con amara rassegnazione Dino: «chi arriverrebbe qui da fuori per abbandonare una lavatrice?». In quel momento, tutto torna: lì, poco più i basso di noi, un’ulteriore conferma di quanto profondo sia il disamore per questa nostra terra; un atteggiamento che l’ha condannata a rimanere in disparte, Cenerentola il cui splendore è stato coperto dalla fuliggine della nostra inciviltà.
L’altra voce che abbiamo la possibilità di ascoltare, dopo Dino, è appunto quella di Nello Nicastro. Lui ci attende all’imbocco di quella che ci appare come una vera e propria meraviglia. Ne siamo certi, pur non avendo modo di vederla: lo capiamo dalle immagini che ci mostra più tardi, una volta a casa sua, ma soprattutto dal calore della voce e dai guizzi di luce che percorrono il suo sguardo mentre parla di quella che pare quasi la sua seconda casa: la gola incantata della Grotta del Caliendo.
«La Grotta del Caliendo, lunga 4 chilometri, fu scoperta nel ’31 da un muratore: Giovanni Rama» ci racconta Nello. «Lui e alcuni compagni coi quali lavorava si resero conto di un’apertura nella parete della montagna. Incuriositi, non si persero d’animo: Giovanni si fece imbracare e calare dagli altri all’interno per vedere cosa vi fosse». Nello ha percorso la grotta fino in fondo trascorrendovi all’interno anche più giorni. «Io e pochi altri, anche con grande fatica e sforzo, abbiamo lavorato per rendere in qualche misura accessibile e praticabile questa bellezza. Sforzi che oggi sono andati in parte persi perché non c’è un passagio sicuro e, quindi, le grotte non possono essere aperte ai turisti». Oggi si lavora per ovviare a questo problema ma Nello porta l’attenzione su un’altra questione: «Aprire le grotte significa innescare virtuosi circuiti turistici: ciò è fuor di dubbio. Dall’altro lato, però, si espongono quelle rare bellezze al rischio di essere deteriorate dal passaggio dell’uomo. E allora che fare?»
Già: che fare? Le immagini che Nello ci mostra sono davvero sbalorditive: calarsi in quelle gole immaginiamo possa essere un’esperienza difficile da spiegare. E tuttavia è pur vero che l’uomo finisce per far sfiorire tutto quel che tocca con la cupidigia della sua mano di Mida. Allora che fare? Risvegliare la bellezza che giace addormentata nel ventre dei boschi dell’Irpinia oppure lasciarla lì, protetta dai suoi custodi millenari?
Un quesito complesso la cui soluzione non appare, tuttavia, cosa incombente, vista la scarsa capacità, qui come altrove, di investire nell’enorme patrimonio disponibile sul territorio.
E così andiamo via, dopo essere stati saziati della bellezza, prima di tutto umana, di una tavolata tipicamente irpina, lasciandoci alle spalle un dilemma senza risposta, sintetizzato nello sguardo indecifrabile degli occhi di Nello e Dino: lo sguardo di chi soffre un amore tradito.
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Bagnoli: Grotta del Caliendo (foto di Nello Nicastro)