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Il resto di niente

01.04.2014, Articolo di Antonio Cella

«Il turismo se lo stanno giocando in una partita a tressette col morto: Una partita infinita da cui, come stanno andando le cose, ne uscirà fuori soltanto un perditore: il futuro dei nostri figli».

L’aver titolato le considerazioni che seguono con lo stesso nome del romanzo storico di Enzo Striano è stata, per il sottoscritto, non l’appropriazione della  intestazione famosa di un libro, ma la mera necessità di spiegare, come valore esemplare, paradigmatico, che spesso le lotte, i sacrifici degli umili, le rinunce, le sottomissioni forzate, le affinità politiche (vere o fittizie), la ricerca del consenso ad ogni costo che possa essere funzionale al raggiungimento  di aperture di credito a vario titolo da dedicare alla collettività, non servono a niente.

Eleonora Pimentel de Fonseca era quasi riuscita nel 1799, attraverso la “sua” rivoluzione repubblicana, a recidere il cordone ombelicale dei “lazzari”, del popolino,  dai Borbone. Ma il loro apporto, il loro sostegno intellettuale e morale alla neonata Repubblica Napoletana era privo di quella pregnanza duttile e polivalente che potesse supportare nel tempo l’agognata nobile Istituzione. Per i napoletani, l’ipotesi di poter cambiare regime di vita, di dover essere costretti ad assumersi  oneri e responsabilità di varia natura, contribuì alla consegna della stessa  nelle mani dei Sanfedisti, dissolvendola.

Tanto, nell’anno di grazia 1799.

Spostando cronologicamente il tempo in avanti di 209 anni, a partire dalla tragica fine della nobildonna  portoghese, si fa ritorno a Napoli, nella sede della Regione Campania di Via Santa Lucia.  Era l’anno in cui, al posto di Ferdinando IV, regnava nel Palazzo del potere partenopeo Antonio Bassolino. Politico di sicura fede comunista, sempre disponibile ad assecondare le richieste di quei Comuni amministrati da esponenti o da coalizioni partitiche che rappresentassero la sinistra storica italiana. Amante della montagna e dell’Irpinia e conoscendo le necessità finanziarie del polo turistico invernale esistente sul Laceno, non gli costò fatica promuovere un finanziamento (riportato anche del Bollettino Ufficiale della Regione Campania) di un progetto di riconversione degli impianti di risalita (presentato dal menzionato Ente per un importo di 12 milioni di euro) che dalla piana del Laceno si inerpica per circa 1800 metri sui versanti del monte Rajamagra. Contributo da imputare sui capitoli finanziari dei fondi strutturali regionali rientranti nell’acronimo FAS (fondi aree sottoutilizzate). Un’opera di elevato valore sociale che, se portata a termine, avrebbe potuto dare lavoro a tanta gente: tecnici, operai, indotto, eccetera.

Era soltanto l’inizio di una magnifica favola.

Con l’insediamento del Presidente Caldoro, e con i consigli di qualche guastafeste di cultura politica avversa sia a Bassolino che ai Bagnolesi, (i soliti intriganti, facenti parte, forse, di uno dei clan politici più famoso d’Irpinia) quei fondi non sono mai stati erogati. E la possibilità di poterli toccare realmente con mano diventa sempre più chimerica, quasi come la costruzione del ponte sullo stretto di Messina.

Cosa aspetta il Governatore CALDORO ad assegnare al Comune il finanziamento di che trattasi?

Avrei voluto contemplare anch’io gli accadimenti di questi ultimi tempi con distacco olimpico, così come fanno gli amministratori comunali, gli operatori alberghieri, gli esercenti  attività commerciali riconducibili al settore sciistico,  i ristoratori, i bottegai e i negozianti vari; i politologi e i politicanti; i disoccupati occasionali e quelli cronici; quelli che inneggiano al dinamismo di Matteo Renzi e alla faccia tosta di Berlusconi; quelli che tifano per il Napoli o per la Juve e non hanno la possibilità di seguire le partite di calcio; quelli che leggono il giornale nei bar senza spendere un solo cent e quelli che, pur avendo la possibilità di comprarselo il giornale, non lo fanno perché se ne fregano della sorte del paese e del suo evidente irreversibile declino. Ma, onestamente, non ce la faccio!

E, come dicevo sopra, nessuno muove un dito: “…Rorm lu canu, rorm lu patronu, rorm la pcuredda int’a la reta.

La piazza di Bagnoli, per quanto carina, è diventata una spianata di camminanti silenziosi che impiegano il loro tempo nello schivare sagome stanche di scheletrici randagi, che nell’uomo non smuovono più pietà. La pietà, a Bagnoli, è diventata irraggiungibile, come la linea dell’orizzonte, una meta lontanissima in una remota galassia, come il posto fisso che oggi non pungola neppure il più fantasioso dei sognatori.

Che fare? Dobbiamo ancora continuare a piangerci addosso? Dobbiamo ancora accettare supinamente i soprusi dei politici nostrani?

Eravamo un paese ricco in una provincia povera: montagne verdi ubertose, coperte per migliaia di ettari di faggeta pura, di larici, di pini, di abeti e di valli mozzafiato  che erano, e sono tuttora, la cornice aurea del nostro demanio forestale, che tanto ci han dato nel passato e che ora, quasi per magia, ci fanno capire che la speranza non è più l’ultima a morire.

Molte cose stanno cambiando: le castagne (una volta fonte di benessere di moltissimi Comuni irpini) sono preda, ormai, di un ineffabile mostro cinese (il cinipide), resteranno vive soltanto nei nostri desideri. I tartufi sono sempre più rari. E l’avvento di colonie di cinghiali e roditori vari affamati, ha contribuito alla sterilità delle tartufaie che, in altri tempi, già in agosto increspavano di “scorzoni” le superfici delle aree di ricerca (da raccogliere senza l’ausilio del cane) a conferma della munificenza della natura.  L’acqua, la chiara, limpida dolce  acqua, quella che ancora esiste in Irpinia, ( il grosso, la grande massa, è ormai appannaggio dei pugliesi, e per rendersene conto basta dare uno sguardo al Comune di Cassano dove, tra le verdi recinzioni metalliche delle polle acquifere i dauni  avevano inglobato, quale loro (presunta) “proprietà”, finanche l’antica statale Appia n.7, quella che conduce al passaggio a livello, vietando a noi stanziali la libera circolazione. L’acqua, dicevo, si appresta anch’essa a trasformarsi, per mano di petrolieri d’assalto voluti da un ex ministro berlusconiano (un certo Scajola) in intruglio esiziale per il nostro organismo.

A ben guardare, rimarrebbe un’ultima speranza: IL TURISMO.

Un tempo era florido anch’esso, anche se per gran parte rappresentato da “paninari”. Un fenomeno che, comunque, smuoveva l’economia del paese. Oggi, non più! Il turismo, quello vero, quello invernale, è fermo per colpa dei POLITICI REGIONALI, degli AMMINISTRATORI COMUNALI e della SOCIETA’ GIANNONI S.r.L. che se lo stanno giocando in una partita a tressette col morto: Una partita infinita da cui, come stanno andando le cose, ne uscirà fuori soltanto un perditore: il futuro dei nostri figli.

Le cose, per ora, vanno avanti a rilento, sotto la  regia di TAR e Consiglio di Stato.

La Regione Campania, non essendo più interessata a finanziare coi propri fondi (FAS) la realizzazione dell’opera fortemente voluta circa sei anni orsono dall’Amministrazione Chieffo, esige che il Comune, dal punto di vista legale e progettuale, abbia le carte in regola per poter attingere ai finanziamenti così come indicato nella normativa della Comunità Europea, subentrata nel frattempo all’Ente regionale, mettendo a disposizione dell’opera l’impiego dei fondi FERS (Fondi europei di sviluppo regionale che mirano a promuovere, in sinergia con altri fondi strutturali “caserecci”, la coesione economica e sociale attraverso la correzione dei principali squilibri, la partecipazione allo sviluppo e alla riconversione delle regioni). Ed è giusto che vada così.

Il gestore degli impianti di risalita mira, a sua volta, a tener ben stretta tra le mani la gestione attuale e futura degli stessi, forte di un impegno contrattuale con scadenza 2031.

Il Comune, invece, reclama la immediata liquidazione del finanziamento dopo aver ottemperato alla richiesta della Regione Campania di riproporre  una nuova versione documentale, riveduta e corretta, che nella stesura originaria presentava (sic!) evidenti vizi e difetti di natura tecnica. Quella del Comune è una lotta contro il tempo. La Comunità Europea ha posto dei paletti a riparo del suo impegno, e se entro determinate scadenze le “rose non dovessero fiorire” i fondi tornerebbero alla casa madre. Chiaro?

Intanto, in attesa del giudizio del Consiglio di Stato, la pratica è stata bloccata nei forzieri del Settore Piani e Programmi, da cui ne potrebbe uscire qualora i contendenti (attori e convenuti), facendo uso dei lumi, dovessero raggiungere un accordo pacificatore. Sono profondamente convinto che, forse, proprio alla staticità della Regione vadano ascritti i ritardi nell’assegnazione dei finanziamenti, essendo l’Ente abituato a lavorare al rallentatore, e la prova di tanto è riscontrabile nella (molto) tardiva richiesta fatta al Comune in merito alla fornitura dei menzionati dati tecnici ritenuti inattendibili.

Si può andare avanti così? Sono sempre più convinto che da questa storia non arriverà neppure il resto di ciò che potrebbe derivare dal niente!

Non so cosa aspetti la Regione Campania, vista la ritrosia dei “duellanti” nel fare un passo indietro, a nominare un Commissario ad acta e procedere, motu proprio, al perfezionamento della pratica.   E, in subordine, cosa freni la medesima istituzione per chiamare in causa i  duellanti e affidare loro incarichi specifici volti al superamento delle divergenze che intralciano la soluzione di un caso che potrebbe garantire un evidente benessere economico per l’intera regione ? (al Sindaco pro tempore, la legale rappresentanza dell’Ente e impegni conseguenti; al Sindaco uscente, un incarico legale e di competenza per aver promosso e partecipato alla formazione del progetto e, infine, alla Società Giannoni la garanzia di continuare, sine die, ad effettuare la conduzione degli impianti).Punto.

Il Presidente, Caldoro, che ha ignorato per tanti anni una pratica (che poteva risolvere coi fondi FAS) non sa, evidentemente, che Laceno è l’unica località della Campania Felix dove, migliaia e migliaia di persone ogni anno, d’inverno e d’estate, con enormi sacrifici portano i loro piccoli, sia pure per poche ore,  per consentir loro di respirare una salutare boccata d’aria pura.

Intanto, loro litigano e la gente fa la fame.  Vogliamo evitare che si scenda nelle strade così come han fatto i “Forconi”?

Quanto all’Esecutivo comunale in carica, siamo quasi alla vigilia della scadenza del primo anno di “attività” e in giro ancora non si notano i segni, sia pur minimi, di interventi che conducano alla realizzazione di opere utili alla collettività, pur godendo l’Esecutivo medesimo della disponibilità degli utili di gestione ed altre sostanziose provvidenze (fondi per le radure) lasciati in eredità dall’Amministrazione uscente. Ma, forse mi sbaglio, una cosa è stata fatta: è stato eretto, nella chiesetta sconsacrata di Santa Caterina, sede del consiglio comunale, una specie di “Arco dei Trionfi” rappresentato, non da bassorilievi istoriati, come si rilevano nell’arco di Tito eretto nel  piazzale del Colosseo dopo la distruzione di Gerusalemme del ’70 d.C., ma da una parata di sedici fotografie raffiguranti le immagini dei sindaci di Bagnoli che hanno retto, nel bene e nel MALE (innocua licenza manichea) le sorti del paese fin dalla nascita della Repubblica : volti severi, volti giulivi, volti attoniti che pare si domandino: “ Che ci facciamo noi qui?”; volti altezzosi, volti pieni di malizia e di sussiego appesi a un chiodo, come se fossero nei salotti di casa loro.

Chi ha organizzato quella “passarella di vip”? Uno sguardo al loro passato non aiuta più di tanto a comprendere il presente.

Su quelle mura, ancorché sconsacrate, che ancora incutono rispetto, avrebbero dovuto troneggiare le immagini di quei giovani bagnolesi caduti in guerra, che la cortezza della nostra memoria non può o non vuole focalizzare. Giovani poco più che ventenni, caduti nelle lande ghiacciate della Russia staliniana o nelle dune infuocate del deserto sahariano di Tobruk o, per volere del destino, deceduti appena rientrati a casa, bacati dalle malattie, nella disperazione dei congiunti. Tanto avrebbe dovuto fare chi ha avuto il cattivo gusto ( bocciato a suo tempo dall’esecutivo Chieffo) di organizzare la  triste “parade” di personaggi celeberrimi  (o autocelebranti?). Avrebbe potuto erigere una specie di Yad Vashem coperto, in assenza di viali alberati nel centro cittadino, per individuare e onorare con gli “alberi della memoria” le figure di quei martiri da tramandare ai posteri.

                                                                                                       

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