I giorni della Merla e la Candelora
27.01.2014, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)
Il picco del freddo invernale, secondo l’immaginario collettivo degli italiani del nord, si registra nei tre giorni che corrispondono all’estrema coda di gennaio.
Questi che vanno dal 29 al 31 del mese, detti Giorni della Merla, non trovano però riscontro qui da noi. Settantadue ore caratterizzate, parliamo sempre delle regioni settentrionali, da un peggioramento del tempo, da un inasprimento del clima che tocca in questo fine mese la punta massima del rigore invernale.
Non così nella nostra Irpinia, dove la tradizione popolare segnala che la fine dell’inverno si avverte una dozzina di giorni prima; così infatti un detto: “Cu lu Barbàtu viernu è ggià passatu.” Il Barbuto è Sant’Antonio Abate che si è festeggiato venerdì 17 ultimo scorso.
Insomma a metà gennaio noi ragazzi di allora già sentivamo che il tempo volgeva al meglio, e facevamo capolino fuori di casa, il viso avvampato dalle fiamme del camino, a sbirciare speranzosi se il tempo ci consentiva, almeno per un poco, di riprendere i giochi estivi del Drago e San Giorgio (zompa cavallina) o della Settimana (anga zoppa), oppure il più diffuso gioco della lippa (lu mazz’e lu pìcciulu). A Bagnoli, i luoghi deputati ai giochi infantili erano le piazzette: la Serra, la Vadduvàna, lu Casalicchiu, Santu Roccu, Santu Rimìnucu, Nnanti a la Ghiesa…
I quattro giorni dal 17 al 20
Un detto precisa che l’inverno ha fine nello spazio di tempo racchiuso tra la festa del Barbuto e quella del Saettato, San Sebastiano, il martire morto trafitto dalle frecce (saétte). Nella nostra tradizione, dunque, il nodo invernale si scioglierebbe nei quattro giorni che vanno dal diciassette al venti gennaio, dopo un’immancabile precipitazione nevosa: “A Sant’Antuonu cu la varva janca la neve nu’ mmanca.”
Secondo un altro detto lo snodo invernale coincide con la Candelora, il due febbraio, che sarebbe il vero spartiacque tra l’inverno e la primavera: A la Cannelora, o jocca o chiove, viernu è ggià foru.
Durante la cerimonia religiosa della Candelora si distribuivano pure le candele a cui si attribuiva la virtù di scongiurare la virulenza delle tempeste invernali.
Inoltre, nella cultura contadina la Candelora è ritenuto un giorno dotato di virtù sacrali, e quindi anche precursore del tempo futuro: se il giorno della Candelora il tempo è sereno, lo stesso tempo si ripeterà per tutto il mese di febbraio.
I nodi del freddo
Secondo la meteorologia popolare il fulcro del freddo, con temperature tra i due o i tre gradi, annunzia quasi sempre una nevicata. In tale occasione è la gelida tramontana (Vientu r’ terra) che imperversa, il vento che secondo la leggenda isterilì il braccio destro del vento di levante (Luvantìna), il quale per questo è mancino. Perché fiocchi in tale condizione, dicevano gli anziani, occorre che tutti i venti si mettano d’accordo e le nuvole chiudano ogni varco tra cielo e monti.
Il nodo del freddo che si mostra tra Sant’Antonio e San Sebastiano, non è il solo nel corso dell’inverno, ma ve ne sono anche altri. In autunno inoltrato c’è il nodo del freddo dell’Immacolata, 8 dicembre, che di solito lascia al suolo uno spesso strato di neve. Con l’anno nuovo e all’inizio dell’inverno c’è quello dell’Epifania, che spesso ha concesso agli alunni di prolungare le vacanze natalizie. Poi il nodo di Carnevale caratterizzato dal soffio gelido della tramontana … fino a quello di San Giuseppe, la festa è il 19 marzo, che potrebbe riservare la sorpresa di una precipitazione nevosa.
Febbraio, che risulta il più corto dei dodici fratelli, vede i suoi giorni contesi tra gennaio e marzo. Una leggenda vuole che gennaio abbia chiesto a febbraio tre giorni in prestito per punire la merla che, cantando negli ultimi tre giorni di gennaio (di qui la denominazione di Giorni della Merla), si vantava di saper sopravvivere al rigore invernale; un’altra credenza vuole invece che i tre giorni mancanti siano stati prestati a marzo il quale doveva punire il pastorello che si prendeva gioco di lui menando al pascolo il suo gregge certo che ormai marzo non poteva più scatenare la tempesta e disperdere le sue pecore.
Febbraio, corto e amaro
Le testimonianze e i detti popolari confermano che nel mese di febbraio si verificavano le temperature più rigide dell’anno, tanto da indurre il vitellino a tremare di freddo pure nel ventre materno; e se avesse avuto tre giorni ancora, avrebbe potuto congelare finanche il vino nelle botti. Però, non si tratta di un freddo duraturo. Se basta un tuono a segnalare il ritorno dell’inverno (Si a frevàru trona, viernu torna), è anche vero che questo mese mette fine alle lunghe nevicate: La neve r’ frevàru è cumm’a la nzogna r’ Carnuvale, cioè la neve di febbraio si scioglie in fretta come si consuma la sugna nel martedì grasso di Carnevale, prima della lunga astinenza quaresimale.
In questo mese vi sono molte giornate serene, sicché il sole penetra dappertutto (A frevàru trase lu sole int’a ogni vadda), segno che la durata del giorno si è allungata sensibilmente. Con il soffio dei venti tiepidi e con le giornate sempre più luminose febbraio già annunzia se non l’arrivo della primavera, di certo la fine del lungo gelo invernale.
I giorni di sole che da Candelora in poi riscaldano il cuore, sono speculari ai giorni dell’estate di San Martino che si verificano intorno all’undici del mese di novembre; l’uno e l’altro periodo costituiscono due pause al freddo: a novembre, pochi giorni di sollievo prima del lungo inverno; a febbraio, un breve periodo luminoso che invece è un assaggio della primavera che incalza.
I riti di purificazione
In preludio della primavera, le prime settimane dell’anno un tempo erano segnate da numerose festività. Si celebravano cerimonie che rinviano ai rituali pagani tesi a purificare gli uomini le bestie e i campi, e a propiziare le divinità preposte alla fertilità della terra, come l’accensione dei falò in onore di S. Antonio Abate; nello stesso periodo nell’antica Roma si indicevano le Feriae Sementinae, durante le quali si purificava la campagna e si sacrificava alla dea Cerere una scrofa gravida. Il sacrificio di un maiale si faceva ancora fino a qualche anno addietro in onore di Sant’Antonio in diversi paesi dell’Irpinia; il maialino veniva allevato dalla comunità, e poi sacrificato. Altre festività erano caratterizzate da gozzoviglie e licenziosità, come il Carnevale.
Nel mondo antico l’anno nuovo prendeva inizio con marzo; gennaio e febbraio furono aggiunti, forse dal re Numa, in testa agli altri dieci mesi. Sembra che proprio nei primi sessanta giorni dell’anno siano state mescolate usanze che risalgono alcune alle genti italiche, altre alla tradizione greca, e altre ancora alla più recente cultura cristiana.
Varie festività del calendario cattolico in questo stesso arco di tempo conservano una funzione purificatoria e fecondante. Le cerimonie che si celebrano in onore di S. Antonio abate, tra cui la benedizione degli animali domestici, palesano indubbi legami con rituali che risalgono a prima di Cristo. Il Santo, vissuto tra il terzo e il quarto secolo, con il tempo assunse le funzioni di divinità pagane; tra l’altro ereditò dalla dea Cerere l’attributo del maialino. Alcuni riti in onore di S. Antonio hanno la funzione di propiziare l’arrivo della primavera che soprattutto in questo arco di tempo stenta a mostrasi in maniera evidente, ma piuttosto alterna giornate deliziosamente tiepide a giornate tenacemente fredde.