Storia di gente di ”mala fama”!
09.01.2014, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Dicembre 2013, Anno VII, n.6)
“Improvvisamente un soldato romano, proprio quando Tito era uscito per provare a fermare i soldati, gettò un tizzone sopra i cardini della porta scatenando un improvviso incendio. Tutti allora si ritirarono. Tito e i suoi gerarchi non potevano più impedire la distruzione del tempio e il saccheggio della città.”
Iniziava così nel 70 D.c. la grande diaspora degli ebrei, un intero popolo fu sradicato dalla sua terra e deportato nei territori imperiali. Qui nel corso dei secoli ha errato di nazione in nazione tra persecuzioni e discriminazioni. Un popolo senza terra che nel corso degli innumerevoli esodi ha perso i lineamenti originali (ormai gli ebrei sono più simili agli occidentali che agli orientali), ma ha conservato ermeticamente la propria cultura.
Come ben sapete il popolo eletto giunse anche a Bagnoli. Le fiamme che distrussero gli archivi del capitolo nel 1651 probabilmente incenerirono anche i documenti in cui si parlava del loro soggiorno bagnolese. Eppure, anche se non sembra, hanno lasciato tracce del loro passaggio in tanti piccoli dettagli che possono aiutarci a ricostruire la loro permanenza nell’angolo più antico dell’abitato.
A poco più di un secolo dall’unione dei casali il nostro paese era governato dalla famiglia francese dei Giamvilla. Nel 1324 i bagnolesi vennero dunque accusati di coniare monete false e di ospitare gente di “mala fama” (appellativo usato nel Medioevo per identificare gli ebrei). Ciò ci lascia presumere che la loro presenza fosse tollerata dagli Giamvilla, perchè probabilmente pagavano cospicui tributi. Nel 1329 lo stesso re Roberto autorizzò questo popolo a venire nel regno e gli concesse gli stessi diritti di cui godevano i cristiani. Gli ebrei crearono il loro ghetto in quello che era stato il nucleo originario del paese (a quel tempo si andava decentrando verso la piazza e vallo “vanna”), questo quartiere in seguito legò per sempre il suo nome alla loro presenza. Il termine “Iureca” sarebbe il corrispettivo in dialetto dal termine giudecca: questa parola deriva da giudeo e in tutta Italia indicava i quartieri ebrei. Per Sanduzzi gli ebrei solevano chiamare paradiso il luogo in cui seppellivano i loro defunti e una località così denominata a Bagnoli è poco distante dalla “Iureca”. Nel sedicesimo secolo il re Toledo scacciò tutti gli ebrei dal regno di Napoli, ma a Bagnoli una parte di essi era già andata via e un’altra parte si era integrata con la popolazione indigena. Questo è quanto racconta la storiografia locale e conferma la tradizione popolare.
Ebbene, Sanduzzi sostiene che gli ebrei entrarono in contatto con i mercanti bagnolesi che li invitarono a trasferirsi nel nostro paese. Secondo lui provenivano dalle comunità ebraiche della Calabria. Nel quattordicesimo secolo non abbiamo però nessuna fonte che parli dell’esistenza di rapporti commerciali con questa regione, invece siamo certi che fiorenti erano quelli con le terre di Puglia. Sanduzzi ha un grandissimo merito per l’opera che ha scritto, ma è alquanto ridicolo che nel 2013 la s’interpreti alla lettera quasi fosse una bibbia! Fu scritta un secolo fa e al giorno d’oggi abbiamo la possibilità di consultare nuovi documenti e fonti, di contestualizzare approfonditamente la storia bagnolese nel contesto europeo e del regno di Napoli e di fare opportuni collegamenti con la storia locale dei comuni che interagirono con noi. Perché mai i nostri mercanti si sarebbero dovuti spingere fino alla Calabria? O perché i calabresi sarebbero dovuti venire a Bagnoli Irpino? L’unico nesso storico con questa regione lo troviamo con Diego Cavaniglia che possedeva anche lì dei territori, ma ci troviamo già in avanti di un secolo. La via commerciale che passava per il nostro paese sin dall’antichità era quella che collegava Roma al porto di Brindisi, l’Adriatico al Tirreno: l’Appia antica. Costruita nel 312 D.c. da Appio Claudio Cieco, venne rimessa a nuovo da papa Paolo VI e divenne via di grande importanza con le crociate. La località dove i bagnolesi commerciavano, portavano a svernare gli animali e andavano a lavorare nei campi di grano era la Puglia! Quindi se vogliamo dar credito all’ipotesi di Sanduzzi dobbiamo cercare l’origine della comunità che popolò Bagnoli in questa regione. Inoltre, il Salento era chiamato sin dall’ottavo secolo Calabria e mantenne questa denominazione molto a lungo. Forse questa Calabria di cui si parla in “Memorie Storiche di Bagnoli Irpino” è proprio il Salento!
La presenza ebraica in Puglia inizia dopo la distruzione del tempio e la deportazione da parte dei Romani, va intensificandosi con la presenza longobarda nelle regioni vicine (dove si verificarono diverse persecuzioni). Frequenti erano i contatti con l’oriente e le comunità ripresero a parlare la loro lingua (usando il volgare solo per i rapporti commerciali) e a produrre cultura! Con l’avvento dei Normanni furono posti sotto l’autorità religiosa e tributaria dei vescovi, questo portò alla realizzazione dei primi ghetti. Sotto gli Angioini le persecuzioni continuarono e solo con il re Roberto gli furono riconosciuti tutti i diritti. Bagnoli nel corso della sua storia ha avuto rapporti commerciali con vari paesi della Puglia e alcuni di essi presentavano delle comunità ebraiche. Gli ebrei pugliesi si dedicavano al commercio e all’usura, attività che probabilmente continuarono anche qui coniando monete false. Sappiamo di certo che alcuni anni prima del documento in cui si parla della loro presenza, precisamente nel 1322, furono espulsi da Avignone e dal Contado da Giovanni XXII e molti si trasferirono nella Savoia e nell’Italia meridionale.
Un’ulteriore pista da seguire è costituita dai cognomi: gli ebrei cercavano d’integrarsi assumendo cognomi italiani che indicassero la città di provenienza. Nel nostro paese troviamo il cognome D’Asti. Esiste la famiglia Asti in Italia, ma D’Asti è esistito solo nel nostro paese. Non a caso i più famosi esponenti di questa famiglia, il giureconsulto ed il pittore, nacquero in una casa sulla sommità della Giudecca. A conferma dell’origine ebraica di questo cognome possiamo dire che ad Asti la loro presenza di questo popolo è accertata sin dall’812 D.c.. Nella città piemontese si dedicavano alla concia e alla tintura delle pelli, attività che era considerata impura dai cristiani e che gli costò non poche discriminazioni (come il divieto di possedere immobili). Probabilmente questo e l’arrivo di altri ebrei dalla Francia spinse nel trecento una famiglia a lasciare quella città, ma questa è soltanto un ipotesi. La famiglia Di Capua è ufficialmente riconosciuta come d’origine ebraica. La ritroviamo nell’opera “I cognomi degli ebrei in Italia” di Samuel Schaefer pubblicata nel 1925. Deriva dalla famiglia ebraica degli Archiepiscopis che apparteneva alla nobiltà della città di Capua, per l’importanza che rivestiva assunse in seguito il cognome Di Capua. In questa città erano arrivati nel I secolo D.c. ed erano strettamente legati alla comunità partenopea. A Napoli nel Medioevo c’erano ben cinquecento famiglie ebree ed il cognome Di Capua è presente tutt’ora nella città. La comunità napoletana era seconda in Italia solo a quella di Salerno. Con Federico II gli ebrei napoletani prosperarono, ma tra il 1290 e il 1294 i domenicani con vementi predicazioni diffusero un profondo astio nei loro confronti. Questo ci lascia immaginare che in questo periodo alcune famiglie lasciarono Napoli per un luogo più tranquillo: Bagnoli Irpino. Non a caso erano andati via dalla Giudecca già all’inizio del cinquecento e nel 1490 i domenicani erano arrivati anche nel nostro paese. Ciò ci porterebbe a ipotizzare che parte della comunità lasciò il paese e che un’altra parte si convertì al cattolicesimo integrandosi con la comunità locale e conservando il cognome. A questo va aggiunto che in molte famiglie si continuano a tramandare nomi d’origine ebraica derivanti dal vecchio testamento, come: Tobia “il gradito del Signore”, Rachele “pecorella”, Emanuele “Dio è con noi”, Adamo “nato dalla terra”, Davide “amato da Dio”, Giuseppe “Dio accresca”, Abramo “di molti padre”, Simone “Dio ha ascoltato” e Noè “Dio ha alleviato”. Alcuni giorni fa parlando di quest’argomento il prof. Russo, autore di ben tre edizioni della grammatica del dialetto irpino, mi accennò che la classica parlata a cantilena dei bagnolesi non trova riscontro in nessuno dei paesi vicini e che gli è stato detto che questo modo di parlare tra il lamentarsi ed il cantare possa derivare proprio dall’ebraico. Se questo fosse vero implicherebbe che alcune parole del nostro dialetto stretto derivino da parole ebraiche. Nel Medioevo molto spesso la lingua delle comunità giudee si è fusa con quella locale: a Livorno dall’incontro tra volgare, spagnolo ed ebraico nacque il “bagitto”. Permettetemi di dire che la mentalità ebraica è stata dedita da sempre al denaro ed al commercio, non a caso nel nostro paese molta gente pur di ottenere queste cose se le inventa tutte.
Concludendo possiamo affermare per certo che giunsero a Bagnoli tra la fine del duecento e l’inizio del trecento, forse è una coincidenza ma lasciarono il paese con la venuta dei domenicani. Alcuni di loro venivano dalle comunità di Capua/Napoli, ma non possiamo dire se altri provenissero da un luogo diverso. Quella della comunità ebraica è uno dei pezzi più affascinati della nostra storia, un caso unico nella zona che se valorizzato può divenire un grande attrattore. In soli duecento anni hanno lasciato tracce indelebili del loro passaggio nell’intera comunità. Tuttavia quest’articolo non può dirsi chiuso qui, anzi resta un lavoro aperto a chiunque possa completarlo o ampliarlo con ulteriori notizie.
Difficile definire la mentalità ebraica come dedita da sempre al denaro e al commercio. In realtà la pura mentalità ebraica supera questo concetto e riconosce in se stessa solo il culto per Dio creatore attraverso l’osservanza della Torah. Nessuno vuole negare che in questo popolo ci siano state delle deviazioni afinalistiche e puramente materiali, ma quale popolo non ne è affetto? Anche Gesù e la sua santissima Madre erano ebrei, non credo abbiano avuto “mentalità” dedita al denaro e al commercio. Gesù si recava nel tempio per pregare e con il suo Sacrificio sulla croce abolisce definitivamente le offerte sacrificali di animali che venivano fatte a Dio nel tempio di Gerusalemme. La distruzione di questo tempio, coincide (in senso lato) con la sua morte (il velo del tempio che si squarcia), e durante la sua crocifissione venivano immolati gli agnelli nel tempio per la Pasqua ebraica, ecco perchè viene definito come l’Agnello di Dio.
La radice ebraica tuttavia riconosce qualcosa di più profondo che purtroppo è stata recisa dal non riconoscere la matrice salvifica di Gesù-Messia. La questione ebraica è ancora oggi aperta, molte volte questo popolo è stato perseguitato: l’esilio babilonese, la schiavitù in Egitto, l’olocausto. La deviazione culturale ha spinto a definire gli ebrei come responsabili della morte di Gesù. In realtà, solo alcuni sommi sacerdoti di quel tempo con il placet di Pilato ne hanno causato la sua morte. Certamente il non voler riconoscere Gesù come Messia, o meglio come il Cristo, è a mio parere un grosso limite per la religione ebraica ancora oggi. Tuttavia dobbiamo riconoscere che dal rifiuto degli ebrei di riconoscere Gesù è nata la Chiesa.