Lago Laceno 1967, il racconto di un pescatore
01.11.2013, Aneddoti dell’ing. Antonio Mastroberardino (dalla pagina facebook dell’autore)
Lago Laceno, luglio 1967, con mia sorella Rosetta ed una carpa. Con la “otteccinquanta” si arrivava a bordo lago, e si pescava di tutto. Le carpe arrivavano vive dopo oltre un’ora di viaggio fino a borgo ferrovia.
Viaggio allucinante, senza ofantina. Tappa obbligatoria, per l’eccesso di curve, per far vomitare i bambini, al bar Bolivar, tra Castelvetere e Ponteromito. Le carpe sapevano di terra. L’Hostel, nel week end (che allora si chiamava fine settimana), sempre “sold out”. Camerieri pantalone nero – camicia bianca; residui fasti dei film festival Laceno d’Oro.
Andava forte il ristorante “Il Fungo” (vicino alla chiesetta). Nel canale immissario, che adduceva acqua sorgiva, quindi prediletta dalle trote, era vietato pescare. Ma con un caffé + presa d’anice, il guardiapesca chiudeva un occhio. Anche due. Tinche, alborelle e così via. Gracidi assordanti, a bordo lago, odore di muschio, piedi nudi in acqua su fango tiepido e scivoloso.
All’epoca, si passavano parecchie ore a bordo lago, ma, da sempre, lí non ci sono alberi ombrosi, e si faceva pic-nic sul posto, non potendo lasciare incustodite le canne da pesca piantate nel supporto e dotate di campanellino avvisatore di pesce abbiccato. Un problema era come tenere acqua e vino ” ‘nfrisco”, visto che l’acqua del lago a luglio è calda. Innanzitutto si allocavano all’ombra laterale dell’auto, ma si tenevano avvolte in pelle di daino costantemente bagnata. L’evaporazione sottraeva costantemente calore alla damigiana da 5 litri. I liquidi erano quasi gelidi!
Bisognerebbe far “sentire” queste cose ai giovani, ai bambini, non come alternativa alla chat, ma come esperienza addizionale. Investimento sulla continuitá turistica e sul futuro dell’altopiano. Escursioni, oltre che alla quota più alta, anche a quella più bassa del bordo lago.