Bagnoli Irpino, sale la preoccupazione per la salute dei castagneti
03.10.2013, Articolo di Domenico Cambria (da “Il Corriere”)
La superficie complessiva a castagno stimata in Italia è di 275.000 ha. Ad una produzione mondiale annua di castagne che oscilla attorno alle 500.000 tonnellate, l’Europa partecipa per circa il 30%, il 14% (vale a dire la metà) è fornito dall’Italia, il 4,5% dalla Spagna, il 3,9 dal Portogallo e il 2,5 dalla Francia. La Campania rappresenta la principale regione con il 56,3 % della produzione nazionale. In Irpinia, la sola Castagna di Montefla, con una produzione media annua di 7-8 mila tonnellate, rappresenta circa 60% dell’intero raccolto regionale.
La produzione italiana è stata negli anni scorsi di 78.400 tonnellate, superiore a quella giapponese e turca. La bilancia commerciale del comparto ha un saldo costantemente positivo. Le aziende castanicole in Italia sono 66.000. Il 50% circa del prodotto viene esportato oltreoceano, il 25% sui mercati europei e solo il restante 25% è collocato sui mercati nazionali.
Oggi in Italia hanno conseguito il riconoscimento europeo di Igp e Dop solo due varietà di castagne, quella di Montella e quella del Monte Amiata. Questo una volta. Ed ora? Non saprei, non saprei proprio rispondere a questa domanda, dopo che i giorni scorsi i miei passi mi hanno portato a visitare i castagneti di Bagnoli: i 2/3 dei ricci sono stati distrutti dal Cinipide, il resto si presentano rachitici e immaturi in quanto la pianta, ammalata, non ha saputo nutrire il proprio frutto. A quanto, ammonterà, allora, il raccolto dell’attuale stagione? A zero.
Potrà sembrare assurdo, ma è così che si presentano i castagneti di Bagnoli. Una vera calamità. In alcuni comuni è stato tentato un trattamento fitosanitario: in alcuni casi si è inquinato il terreno, in altri le foglie sono cadute precocemente impedendo in tal modo la funzione clorofilliana, quella che fa vivere la pianta.
La situazione è drammatica. Sta per saltare una delle maggiori economie della nostra terra, il castagno, già attaccato anni fa dal cancro della corteccia e dal male dell’inchiostro, nel tempo si difese abbastanza bene. Oggi la situazione è diversa in quanto non sappiamo se l’habitat che il Cinipide ha trovato da noi è totalmente confacente alle proprie esigenze e se l’antagonista Torimus immesso nei boschi sia capace negli anni di distruggere l’intruso. Il rischio è che i due insetti possano coesistere, certamente combattendosi, ma dividendosi il territorio, cioè la pianta.
Quindi il problema potrebbe persistere per anni? La risposta è sì. Viene da chiedersi, allora, cosa fare? La risposta non ce la da l’Università di Portici. Cosa tentare oggi? Le strade sono tre, avere il coraggio di aspettare risultati migliori, tentare un’altra coltura, trasformare l’alto fusto in ceduo? Altre possibilità non ce ne sono.
Esiste un’altra strada. si chiama lotta chimica ed in particolare quella sistemica che la facoltà di Agraria di Portici dovrebbe valutare sia in termini di efficacia e sia di dosaggio.
La scelta della lotta biologica comporta tempi lunghi che per un sistema economico privo di risorse alternative immediate, significa il collasso.
I decisori politici a tutti i livelli e soprattutto quelli regionali, anche perché stanno più lontano dal problema, vanno adeguatamente pressati nell’interesse della salvaguardia del territorio il cui sviluppo hanno il dovere di pianificare su basi di adeguata conoscenza e non “a naso” o, peggio, “a sensazione”.