La fiaba di Tronola
30.08.2013, Articolo di Pasquale Sturchio (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2013, Anno VII, n.4)
Tempo di vacanze…! Tempo di lettura!?! Trova il tempo di leggere! È la fonte del sapere! Agli amici lettori di “Fuori dalla Rete” stanchi o peggio, annoiati dalle “vacanze” propongo questa riposante e rinfrescante “fiaba bagnolese” scritta da un non bagnolese, il prof. Mario De Martini, uno dei tanti innamorati delle bellezze del nostro paesino ed in particolare del Laceno.
“…davanti a questi limpidi e ricchi affioramenti d’acqua, tra questi faggi annosi, attraverso i quali il sole intesse ricami di ombre e di luci sul terreno, veramente si vive in un’atmosfera di fiaba. Ma, nella tradizione bagnolese la fiaba non c’è! Tuttavia ve la raccontiamo così come c’è parso sentirla alitare tra le foglie e come la nostra fantasia l’ha captata!”-scrive Mario De Martini nel suo libro “Bellezze e risorse di Bagnoli Irpino” (1961) attingendo la sua penna nel proprio cuore di De Amicisiana memoria.
La fiaba di tronola
“C’era una volta… un sorso d’acqua…”
C’era una volta a Bagnoli una pastorella, che si chiamava <Trònola>. Aveva gli occhi di onice e i capelli di ebano. Quando ella passava per la via, la guardavano gli uomini e le cose: quando ella sorrideva per la via, tutti sembravano felici; quando ella cantava, si mettevano ad ascoltarla pure gli usignoli e tutte le ugole e tutte le valli facevano in sordina il coro e l’eco.
Un anno non cadde una goccia di pioggia e non nacque alla montagna un filo d’erba. Il bestiame annaspava sul terreno e tutti erano sgomenti per l’incubo e per lo spettro della miseria.
Ma la pastorella un giorno andò sull’altopiano,e invece di seguirle, precedette, nel pascolo, le pecore. Allora avvenne un fatto meraviglioso.
Come ella passava sul terreno nudo, sbucavano il trifoglio e la lupinella, sicchè, dovunque essa indicò col pensiero, con lo sguardo, con le braccia, la terra si coprì di erbe novelle, e dette pascolo al bestiame che deperiva.
Da quel giorno, la bruna ragazza fu considerata e chiamata da tutti <Fata Trònola>.
Perciò un pastorello, agile come la canna, dalla quale aveva tratto il suo zufolo, e forte come il faggio, dal quale aveva tagliato il ramo per il suo bastone, una notte afosa, scese dall’altura dove aveva la capanna e dove ora sorge la Caserma Forestale e andò a bussare timidamente alla sua porta: < O Trònola, che hai salvato le pecore e le vacche dalla sofferenza e dalla mala morte, o Trònola, che sei più benefica del sole, dell’acqua e della terra, vieni a salvare la mamma mia che muore>.
Ella uscì sulla strada e andò con lui. E disse: < vengo solo a sperare con te, perché non posso fare di più>:
la vecchia, infatti, moriva. Il pastorello, in un angolo della capanna, si strinse il volto nelle mani e si tuffò nel pianto e nella preghiera senza sentire, senza capire che più la mamma, che, con l’ultimo filo di voce, chiedeva un po’ di acqua fresca.
Trònola agguantò una brocca e si avviò velocissima, nella notte, verso la polla che stava a mezza costa, tra l’altura della capanna e il Piano Laceno. Ma non tornò. A sole alto, ne trovarono il corpo inerte tra i cespugli.
Però, quella notte, si verificò un secondo fatto meraviglioso, dopo quello della crescita dell’erba: la polla, che era piccola piccola e che ogni tanto languiva, si triplicò e si fece grande e perenne. Ed ora, da tutti chiamata la sorgente Trònola, manda le sue acque a dissetare migliaia di uomini, tra cui, qualche notte, c’è pure una mamma che invoca, con l’ultimo filo di voce, un sorso d’acqua …