Parzanese e l’antico rito della “Vacca di Fuoco”
16.08.2013, Articolo di Domenico Cambria (da “Il Corriere”)
Con la festività di S.Rocco, unitamente a S.Domenico e S.Lorenzo, termina domani la triade delle festività religiose a Bagnoli, che per quasi tutta l’estate sono state l’attenzione generale della popolazione, legate ognuna ad avvenimenti particolari che a suo tempo posero il paese all’attenzione generale irpina.
A questi tre avvenimenti, occorre aggiungere la festività dell’Immacolata, che in genere si celebra a metà giugno, legata anch’essa ad avvenimenti particolari, per farci capire che almeno qui a Bagnoli l’estate è passata e che occorre dedicarsi al lavoro: per chi ha il castagneto la roncatura in attesa della caduta del prelibato frutto, quindi della Sagra, prevista come sempre per l’ultimo sabato e l’ultima domenica di ottobre, la raccolta delle patate in montagna, altro. S. Rocco in genere è considerata la festa dei pastori in quanto da sempre gestita da questi.
La sera del 16, in piazza, la famosa “Vacca di fuoco”, una vacca di cartapesta riempita di petardi e fuochi d’artificio, la si fa girare intorno alla piazza tra gli schiamazzi dei più piccoli e le urla dei grandi, attenti a non essere investiti dalle scintille che schizzano un po’ ovunque. Se la manifestazione non è come Pamplona, poco ci manca. Ma, anticamente, la festa era proprio come quella di Pamplona. Cosa c’entra Pamplona con Bagnoli? C’entra… c’entra, perché quando il regno delle 2 Sicilie fu conquistato da Francesco d’Aragona nel 1450, il re vendette ai Cavaniglia la contea di Montella. Ma i Cavaniglia preferirono abitare a Bagnoli in quanto munito di castello. Da questo il grande sviluppo di Bagnoli prima nel commercio e nelle arti, successivamente nella cultura per l’erezione del convento di S.Domenico. Chi ci dice questo e ci fa capire le origini della “vacca”, è il famoso poeta e religioso arianese Pietro Paolo Parzanese il quale, nell’anno1835 fu invitato a Bagnoli dal parroco Titta Buccino per tenere un panegirico in occasione della festa di S.Lorenzo. Di questo viaggio il Parzanese ne scrisse i minimi dettagli, al punto che dopo la sua morte (1852), lo scrittore arianese Lo Parco tradusse il tutto in un libro dal titolo “Parzanese: Viaggio in Irpinia”. Il titolo devia un po’ le intenzioni del poeta in quanto il viaggio non è in Irpinia ma a Bagnoli. Il Lo Parco, prima di scriverlo si recò a Bagnoli per conoscere meglio il paese, cercando attraverso i suoi uomini più illustri di ripercorrere i giorni del poeta ed essere così il più vicino possibile alla realtà. Nella sua prefazione, le lodi e il ringraziamento verso Bagnoli si sprecano. Che racchiudiamo in poche righe: <…tra i valorosi e benemeriti figli viventi di Bagnoli e della provincia di Avellino: il Cav. Salvatore Pescatori, direttore dell’Archivio Provinciale di Stato e della Biblioteca “Capone”, al quale si deve tale pubblicazione, in quanto, avendo egli appreso delle mie opere sul Parzanese e che ero in possesso del componimento inedito sui viaggi a Bagnoli o Bagnolo, si adoperò affinché, messi da parte tutti gli altri miei studi, io mi decidessi a pubblicarli>. E’ chiaro che il Pescatore inviò al Lo Parco “libri rari e notizie peregrine”, affinché fosse stato possibile tracciare un’immagine quanto più realistica possibile di quel viaggio. Ed il Lo Parco continua in questi termini verso gli abitanti di Bagnoli: <l’Onorato Uomo Signor Luca Bucci, appassionato cultore delle patrie memorie, il quale, con singolare cortesia e con esattezza e perspicuità ammirevoli, ha risposto a tutta una serie di quesiti storici e folcloristici da me prepostigli>.
Il Lo Parco, nella sua introduzione, spiega giustamente le ragioni del suo “viaggio”, se si pensi che Bagnoli ed Ariano sono posti agli antipodi del territorio Irpino: Bagnoli a confine con Acerno, in un ambiente prettamente montano, per tanti versi ancora misterioso, classico di quell’Hirpinia sannita racchiusa nei suoi monti, Ariano invece a confine con il territorio foggiano, tra messi di grano e campi dal sapore del fieno, a ricordare un’agricoltura e un tenore di vita opposto all’altro. E così si esprime il Lo Parco: “Ora, di questo eccezionale giovane oratore, di cui, a ventisei anni non compiuti, già molto sonava il nome in tutti i paesi dell’Irpinia, volle apprezzare ed ammirare le lodi non comuni anche “la terra di Bagnuolo”, posta quasi all’estremo confine meridionale di essa, cioè “vicino alla sorgiva del Calore”, che, dividendo verso Austro i due Principati Citra ed Ultra, va a terminare il corso verso tramontana. E di questo desiderio della cittadinanza si rese interprete la insigne Collegiata, come par verosimile, per mezzo dei due autorevoli canonici di essa amici del Parzanese: don Domenico Buccino, zio del caro “Titta”, e don Domenico de Rogatis, ottimo per mente e per cuore della illustre famiglia a cui appartenne Saverio de Rogatisi delicato traduttore di Anacreonte ed ingegno di molta erudizione fornito”.
Ritornando a noi, Parzanese, che doveva rimanere a Bagnoli per soli tre giorni, vi rimase invece una settimana, visitando le sorgenti del Calore, il convento di S.Francesco a Folloni e il lago Laceno, dove addirittura si abbandonò in una specie di estasi. Gli appunti del Parzanese sono pieni di lode per Bagnoli e i bagnolesi, prima di giungere alla famosa “vacca di fuoco”. Il primo apprezzamento non può essere che per la Collegiata, entro la quale vi tenne il suo panegirico. E così si esprime: “…più maestosa e ricca della mia Cattedrale!”, afferma. E si guarda intorno per ammirare le opere d’arti della quale ne è piena, “La decollazione di S.Giovanni Battista”, eseguita del locale pittore Andrea D’Asti; il quadro de “La Concezione con S.Luca e S.Nicola di Bari” del Cestaro, anch’egli un artista di Bagnoli; un Cristo morto in legno eseguito del famoso scultore Venuta, sempre di Bagnoli, nonché l’impareggiabile coro ligneo, opera di intagliatori bagnolesi, tutti periti durante la peste del 1650. Quindi passa agli elogi del posto: “…delle case dal lieto aspetto e pulite, alle strade comode e piane, (abituato com’é ad Ariano!), che tutte convergono verso la piazza bellissima e spaziosa, dalla fontana a zampilli che si erge nel mezzo di questa, circondata da salici babilonesi, alle altre due fontane dalla acque copiose, fresche e leggiadre…” e dei suoi abitanti (donne): : “soave incarnato delle guance pienotte e dalla viva espressione degli occhi, alla cui bella figura, nuoce un po’ la “statura mezzana” ed alquanto “tarchiata…quasi greca con cui si coprono il capo con un bianco lino, che aggiunge ai loro volti un incanto inesprimibile…si carichino di ornamenti, ed in gran quantità di anelli nascondono le bellezze della mano… le fanciulle si servono del rosario, nelle loro uscite, come un oggetto di galanteria, in quanto in alcuni casi esso è d’oro e viene portato in vita con appese numerose medaglie di Santi, sempre in oro, forse trascurando un po’ l’economia familiare. Ma a quei tempi Bagnoli, con tutte le sue molteplici attività e commercio, galleggiava nell’oro!”
Infine, siamo alla “vacca”, e così si esprime: “… una strana usanza che in quel giorno si stava celebrando: i bagnolesi correvano dietro ad un vitello vero, sino alla sua morte!”. Ebbene, il Parzanese, nel 1835 ha assistito a questa festa, molto ben descritta dal Lo Parco: “Perciò, invitato il poeta, come sembra, dagli amici ad assistere, nel pomeriggio del 10 agosto, nelle adiacenze delle cappelle rurali di S. Lorenzo, al così detto “gioco della vacca”, poco lodevole imitazione delle corride spagnole, non si può riprovarlo come poco rispondente ad un popolo così civile, e come quello che, facendo un triste contrasto coll’indole dolcissima dé bagnolesi, dà un sentore di barbarie dannevole”. “E’ come le corride spagnole!”, afferma il Parzanese. E prosegue: <E’ però a riprovarsi, in popolo così gentile, la costumanza di dar la caccia al bue, nelle solennità del pese; mentre gli urli feroci di una plebe sfrenata, il latrato dè sciolti mastini e lo spettacolo di un pacifico animale, tutto insanguinato e lacero, fanno un triste contrasto con l’indole dolcissima de bagnolesi”.
L’inquietante vicenda non poteva finire lì. Il Parzanese intervenne presso le autorità di allora, facendo sopprimere l’antica usanza, ripresa solamente verso gli inizi del 1900 (ancora in vigore), con una “vacca” di cartapesta imbottita di mortaretti e fuochi d’artificio portata intorno alla bella piazza del paese, retaggio di un tempo lontano tutto da rivisitare.
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Le foto
Solo un appunto che non vuole essere polemica. Sono presenti in questo articolo storico delle imprecisioni preoccupanti:
1. Chi mai sarebbe questo Francesco d’Aragona che nel 1450 conquistò il Regno delle Due Sicilie? Francesco d’Aragona era l’ultimo dei sei figli di Ferrante I di Napoli: non è mai stato RE, né ha mai conquistato niente. Il Regno di Napoli fu conquistato da Alfonso V d’Aragona, I di Napoli, detto il Magnanimo, nel 1442 e non nel 1450. Al tempo, inoltre, il Regno delle Due Sicilie era di là da venire: esisteva il Regnum Siciliae Citra Farum, Regno di Napoli,e il Regnum Siciliae Ultra Farum, Regno di Sicilia, che furono uniti all’atto della conquista del meridione continentale. Alfonso assunse il titolo di Rex Utriusque Siciliae. Il Regno delle Due Sicilie è una creazione del Congresso di Vienna del 1814 ed apparteneva ai Borboni e non agli aragonesi.
2. La contea di Montella nel 1442/1443 non esisteva, per cui il re al massimo poteva vendere il feudo e non la contea. Garcia Cavaniglia, feudatario di Cassano, Montella e Bagnoli era conte di Troia e viceré di Capitanata. La contea di Montella fu costituita nel 1477 e data a Diego Cavaniglia. Un inciso: i territori di Montella, Cassano e Bagnoli formavano un’unica contea!
3. Del tutto falsa la notizia della dimora fissata in Bagnoli dai Cavaniglia. Il castello sul promontorio detto “Serra” fu costruito da Garcia, probabilmente ampliando opere di fortificazione già esistenti, per uso militare e non per uso di civile abitazione. I Cavaniglia risiedevano, prevalentemente, a Napoli e facevano parte del “Sedile di Nido”.
E’ vero che ognuno è responsabile di ciò che scrive ma non può passare ogni cosa: se l’autore non vuole informarsi come si deve prima di scrivere, allora è compito del comitato di redazione della rivista filtrare il materiale.