Che fine ha fatto Michele Lenzi?
Alla ricerca della sepoltura del pittore-politco a centoventisette anni dalla sua scomparsa.
Il 26 giugno 1886 veniva a mancare Michele Lenzi. Casualmente ho scoperto che il giorno in cui sono nato coincide con quello della scomparsa di quest’altro Lenzi che davvero ha fatto tanto per il paese e la provincia. Questo mi ha spronato a riscoprire la figura di quest’illustre concittadino. Da quando ho iniziato a scrivere ne ho letti tanti di articoli sul politico-pittore, sull’eroe di questo borgo altirpino che tanto ha dato alla nostra provincia; eppure mi sono sempre chiesto:” stanno sempre a celebrarlo, ma se volessimo rendere omaggio alle spoglie di questo grande personaggio dov’è sepolto?”. Nessuno ha mai saputo rispondere a questa domanda.Povero Michele, stanno sempre a citarlo e a tirarlo in ballo nei discorsi: ”Michele Lenzi di qua e Michele Lenzi di là”, ma alla fine nessuno al giorno d’oggi segue il suo esempio. Si predica bene e si razzola male. Possiamo dire che ormai più che ricordato è strumentalizzato, tutti lo citano e poi non sanno nemmeno dove riposa. Sembra strano che lo ricordiamo con un monumento nella facciata del vecchio comune, con una lapide sulla facciata della casa natia, con una strada e con l’istituto comprensivo a lui dedicato e non sappiamo dove si trova la sua salma.
La sua storia c’insegna che anche se non si proviene da una classe agiata si può emergere e divenire immortali lasciando le nostre gesta nella memoria dei posteri. In morte fu pianto dall’intera provincia che lo commemorò con il busto sulla facciata dell’ex-comune e ancora oggi sui giornali provinciali leggiamo articoli che parlano di lui. Possiamo ben dire che la sua perdita addolorò più la provincia che il suo paese.
La ricerca della sua sepoltura è iniziata alcuni mesi fa dall’attuale cimitero, inaugurato nell’anno 1900. Qui l’unica cappella Lenzi (situata lungo la prima stradina a sinistra) contiene l’altro ramo della famiglia e vi sono sepolti il canonico Tommaso Lenzi e Raffaele Lenzi che anche se più giovani lo conobbero certamente. Sul pavimento non sono presenti botole e quindi non troviamo cripte. Usciti dalla struttura abbiamo girovagato a lungo nel cimitero alla ricerca di un’altra cappella Lenzi, di un monumento o almeno di una sua lapide. Abbiamo cercato anche un’ipotetica cappella dei D’Andrea (la famiglia della madre) e siamo stati nella cappella Trillo: non essendosi mai sposato era legatissimo allo scultore Trillo marito di una delle sue sorelle. Dopo queste inconcludenti ricerche siamo andati dal custode che ci ha suggerito di cercarlo nelle due cappelle più antiche (considerando l’usanza di seppellire i morti altrui nei propri mausolei da parte delle famiglie nobili del paese): quella Serafino-Gatti e quella dei Pescatori. Nella seconda abbiamo trovato un grata sul pavimento da cui si vede una cripta profonda ben sette metri, ma di Michele Lenzi non vi è traccia. In quella Serafino-Gatti, la cui facciata è l’antica chiesa di S.Vito, abbiamo trovato un ambiente solenne e sobrio allo stesso tempo e quindi le cripte sono chiuse da una lastra in marmo. Il custode ci ha detto di essere sceso lì sotto per spostare la salma del podestà e ha notato come in quella cripta profonda otto metri non ci siano i nomi sulle lapidi. A suo parere Michele Lenzi deve essere sepolto in uno dei cimiteri in uso alla fine dell’ottocento: uno era al di sotto dell’attuale, uno lungo un antico muro a valle romana, uno in contrada “difesa” lungo la strada che porta il suo nome e uno fuori il paese a ridosso della chiesa di S.Lorenzo. I morti erano assegnati ai vari cimiteri in base al rione di residenza. Queste inumazioni avvenivano nella terra e per questo motivo i cadaveri si decomponevano rapidamente. Siamo andati a controllare anche il “libro dei morti” dell’anno 1886. Un personaggio di tale spessore poteva essere sepolto anche in chiesa facendo un eccezione alla norma vigente dall’età napoleonica che vietava le sepolture nei luoghi sacri. Tuttavia in parrocchia ci è stato detto che nel loro registro non è riportato il luogo di sepoltura e non ci hanno fatto visionare nulla. A questo punto siamo andati a chiedere informazioni all’ufficio anagrafe in comune, ma anche qui ci hanno detto di non poterci far vedere il certificato di morte o altri documenti.
Quando tutto sembrava finito, dopo la pubblicazione del giornalino, mi ha contattato il professor Nigro per dirmi che Michele Lenzi era sepolto nella cappella Ianora e invitandomi ad informarmi meglio prima di scrivere. Il problema è che avrei voluto tracciare un albero genealogico del Lenzi per risalire agli eredi e vedere le loro cappelle, ma ho ricevuto una collaborazione pari a zero nelle sedi competenti… Inoltre, ho domandato a molta gente dove riposava il Lenzi, ma un buon trenta per cento dei bagnolesi non sa nemmeno chi diavolo sia! Dunque il giorno seguente mi è toccata l’ennesima allegra gita al camposanto: la cappella Ianora si trova a pochi passi da quella della famiglia Lenzi a cui apparteneva anch’essa prima di essere acquistata dagli Ianora. Nella cappella oltre a Michele Lenzi riposano ai suoi fianchi: Gustavo Trillo ed Erminio Trillo. In verità, avevo già ipotizzato riposasse vicino l’amato nipote ma nella cappella Trillo non l’avevo trovato.
La sua morte fu dovuta a patologie cardiache che sottovalutò per ben due anni essendo troppo impegnato nella battaglia per la linea ferroviaria Avellino-Rocchetta, e alla fine ora cosa ne è di lui? Le sue spoglie dimenticate da tutti riposano chissà dove in umido terreno e la ferrovia per cui tanto si batté è ormai chiusa. Se per un secolo generazioni di bagnolesi si sono servite della ferrovia è grazie a lui, se si sviluppò il commercio di legname grazie alla teleferica che portava i tronchi fino alla stazione è grazie alla sua ferrovia. Eppure, il suo paese non si è battuto in prima linea contro la chiusura della linea o per cercare di riutilizzare quei binari in un altro modo. Quei binari rappresentano un pezzo di storia e possono ancora essere valorizzati. Se, invece di combattere per dare ai suoi paesani la ferrovia che all’epoca era una risorsa come lo è al giorno d’oggi internet, si fosse curato avrebbe vissuto una vita più lunga e più tranquilla! Il comune di Bagnoli Irpino non gli rimborsò nemmeno le spese sostenute per i viaggi a Roma a causa della questione ferrovia. E’ stato veramente un eroe bagnolese, che ha trascurato la sua salute per il bene della sua terra. Lui ha scoperto il Laceno come località turistica, eppure la località dopo essere stata importante ai tempi del “Laceno d’oro” è al momento in declino. E’stata una di quelle poche persone che nella storia del paese si sono realmente impegnate nel rilancio della località, una di quelle persone che si sono date da fare per il bene comune e non per quello personale. Come non dimenticare la vecchia chiesa sul lago che abbellì con un bellissimo affresco . Quest’opera finì per essere inglobata con la chiesa nell’hostel e vi assicuro che quell’affresco da quando la struttura è abbandonata ne ha viste di tutti i colori. Solo per quello a cui ha assistito la sua opera ovunque riposi si starà certamente rivoltando nella tomba! I suoi quadri conservati nella pinacoteca comunale non sono più visibili e non sono mai stati valorizzati per il loro reale valore. Del Lenzi pittore si è davvero persa la memoria: tempo fa il municipio aveva anche iniziato a comprare tutti i suoi quadri per esporli, ma poi non sono stati valorizzati nemmeno i molti che già abbiamo. Altri quadri del Lenzi raffiguranti soggetti sacri si trovano nel deposito della chiesa madre e la maggior parte sono stati portati via in America da un erede. Anche se giudicati di poco valore noi li abbiamo gli altri paesi no, allora perché non valorizzarli? Nella sua turbolenta vita ha lottato tanto, ha dato tanto alla sua terra in molteplici settori, ha sempre creduto nei suoi valori e ci ha lasciato un grande patrimonio artistico, non dimentichiamolo!
Alla ricerca di Michele Lenzi …
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Appunti di storia
Michele Lenzi
(pittore bagnolese dell’ottocento)
Michele Lenzi, nacque a Bagnoli Irpino, il 7 luglio 1834, secondo dei cinque figli di Vincenzo e Maria Giuseppa D’Andrea.
Si iscrive nel 1850 al Real istituto di belle arti di Napoli, divenendo allievo di Giuseppe Mancinelli. In famiglia i genitori sono contrari a che il figlio intraprenda la carriera artistica, considerata l’opera di repressione attuata dal governo borbonico che, a quei tempi, ostacolava il libero sviluppo degli studi e di ogni altra forma di manifestazione culturale, vista come strumento di opposizione al regime. Per questi motivi la famiglia amministra pochi mezzi finanziari al giovane Lenzi, il quale pur con notevoli sacrifici decide di seguire la voce della sua vocazione. Quando tardivamente il consiglio provinciale di Avellino, vota per l’assegnazione di una borsa di studio, egli con fermezza la respinge piuttosto che umiliarsi ogni mese con il padre spirituale dell’istituto.
Intanto inizia ad esporre alle mostre del Real Museo Borbonico, le sue prime opere sono: Un vecchio eremita assiso e tutto assorto nella lettura di un codice manoscritto, Studio di una mezza figura e l’Interno del Soccorso della chiesa di S. Nicola nella città di Bari .
Studia disegno con Giuseppe Mancinelli e pittura con Achille Guerra, i quali lo indirizzarono, attraverso l’esercizio della “copia” e lo studio dei maestri del passato, verso un classicismo accademico appena rivitalizzato da un sentimento religioso d’intonazione romantica. Sempre sensibile alle proposte di rinnovamento artistico espresse a Napoli dal verismo letterario di Domenico Morelli, come attesta il dipinto Eremita del 1855, ma anche dal naturalismo analitico di Filippo Palizzi. Frequentò lo studio di Andrea Cefaly, punto di ritrovo, tra il 1856 e il 1859, di un gruppo di artisti animati da ideali patriottici e interessati allo studio diretto del vero, tra cui gli stessi Morelli e Palizzi.
Dopo aver partecipato, nel 1860, alle imprese garibaldine e alla repressione della reazione sanfedista a San Giovanni Rotondo, si distinse all’Esposizione italiana agraria, industriale e artistica di Firenze del 1861 con Una scuola di bimbi e un’opera di tematica garibaldina ispirata a un verismo anticelebrativo, Il ritorno del garibaldino, che fu premiata con medaglia d’argento. Tra il 1861 e il 1864 fu in Calabria ospite di Cefaly a Cortale, con il quale collaborò alla fondazione di una scuola di pittura improntata al naturalismo. Prima con il nome di Istituto artistico e letterario (1862) e poi di Società degli artieri (1863), la scuola ebbe come presidente onorario Giuseppe Garibaldi e, fino all’anno della sua chiusura, nel 1875, mantenne rapporti con importanti personalità della politica, dell’arte e della cultura dell’epoca, da Giuseppe Mazzini a Giuseppe Verdi, da Domenico Morelli a Filippo. Palizzi. Nonostante la lontananza dall’ambiente artistico napoletano, Michele Lenzi partecipò alle mostre della Società promotrice di belle arti sin dalla prima edizione, nel 1862, quando ripropose un’opera di soggetto garibaldino (Il ritorno del garibaldino) e tre dipinti segnati da un realismo narrativo. Nel 1863 vi espose: Paesaggio calabro insieme con Il racconto della nonna e l’anno successivo: Un villaggio calabrese e Costume calabrese.
Dopo aver partecipato, come tenente della guardia nazionale, alla repressione del brigantaggio a Bagnoli (novembre 1862 – settembre 1863), nel 1865 fece definitivamente ritorno nella città natale, dove iniziò uno stretto rapporto di amicizia e di lavoro con il pittore calabrese Achille Martelli, con il quale condivise lo studio fino al 1886. A Napoli e fuori si affermò con opere d’intonazione sentimentale, in sintonia con la pittura di Giocchino Toma, conosciuto durante la militanza garibaldina ad Avellino. Tra questi lavori si ricordano: Un racconto al focolare, Quod superest date pauperibus e Amor di madre, esposti a Napoli nel 1866 e incentrati sul tema dell’amore materno, ripreso, più tardi, in: Il ritratto della mamma e in quadri d’interno come Bimbo malato e Grazie Gesù, I primi passi del fanciullo , l’opera più famosa dell’artista, in sintonia con la “teoria della macchia” divulgata da V. Imbriani, al quale il Lenzi fu molto vicino.
Dal 1870 portò avanti una ricerca più esplicitamente legata al filone romantico del genere paesaggistico sulla scorta della pittura macchiaiola toscana.
Caratterizzati da una tecnica rapida e immediata tesa a restituire le sensazioni visive ed emotive della realtà, questi lavori erano considerati dall’autore dipinti finiti e non semplici bozzetti, tanto che nel 1871 rifiutò la commissione del Consiglio provinciale di Avellino per un quadro di grandi dimensioni, ricco di dettagli pittoreschi, da realizzare sul modello del Ritorno da Montevergine opera raffigurante il ritorno dei pellegrini, nei loro costumi tradizionali, dal noto santuario.
Istanze filomacchiaiole sono ravvisabili anche nel Ritratto di Elisa Pescatori-Speranza che, premiato con medaglia d’argento nella stessa mostra avellinese, testimonia, insieme con il Ritratto di Giulio Capone bambino, gli stretti rapporti intercorsi tra Michele Lenzi e l’ambiente di Nicola Pescatori, (altro illustre figlio di Bagnoli), del bibliofilo e agronomo Scipione Capone e dello stesso Vittorio Imbriani, con il quale condivise i medesimi interessi per i dialetti, i canti e le storie popolari dell’Irpinia.
Dal 1873 iniziò, con Martelli, a sperimentare la pittura a fumo su piatti in ceramica o maiolica, secondo la strada solcata da Filippo Palizzi a Napoli, riuscendo a ottenere la medesima resa della pittura a olio. Un gruppo di trentacinque lavori, tra i quali I rudimenti della calza tratto dall’omonimo dipinto, venne presentato nel 1877 alla XIV Promotrice napoletana, assicurando la fortuna di Michelel Lenzi come ceramista .
Alla mostra, che ebbe carattere nazionale e fu inaugurata da Vittorio Emanuele II, Michele Lenzi. espose anche due importanti dipinti: La farfalla intorno al lume, già lodato da Saro Cucinotta nel 1872 e Ricostruzione di un ospizio sull’ altipiano del Laceno, che documentava l’ampliamento del pio istituto voluto e intrapreso dallo stesso Lenzi in qualità di sindaco, destinando a tale progetto il ricavato della vendita del quadro.
Dai numerosi disegni a penna eseguiti dal vero per il dipinto furono tratte alcune incisioni pubblicate dallo scrittore e politico meridionalista Giustino Fortunato in Su e giù pel Terminio . Altri disegni del Lenzi riproducenti edifici e scene di vita quotidiana della provincia avellinese, apparvero, invece, nel 1881 nell’Illustrazione italiana in un articolo di Nicola Lazzari su Una festa campestre a Bagnoli Irpino.
Capitano della guardia nazionale nonché consigliere comunale della sua città sin dal 1870-71, nel 1878 venne eletto sindaco di Bagnoli Irpino. Nonostante i nuovi impegni, però, non abbandonò mai del tutto né l’attività artistica né quella espositiva. Nel 1880 restaurò l’affresco quattrocentesco della Vergine con il Bambino (o Madonna di Montevergine) nell’edicola di via Garibaldi a Bagnoli e, per la cappella del Ss. Salvatore, alla cui ricostruzione aveva contribuito personalmente, realizzò nel 1881 un grande pannello ceramico, composto da dodici mattonelle, raffigurante l’Apparizione del ss. Salvatore a s. Guglielmo da Vercelli e s. Giovanni da Matera sul Laceno.
In qualità di primo cittadino di Bagnoli Irpino conferì, nel 1879, a Giustino Fortunato la cittadinanza onoraria per i suoi scritti dedicati all’Irpinia e fondò l’istituto professionale del legno, noto con il nome di Scuola di arti e mestieri. Si impegnò attivamente nell’apertura della strada Bagnoli-Laceno e delle provinciali Calore-Ofanto e Bagnoli-Acerno. In particolare, dal 1881 al 1886 insieme con S. Capone si batté per la costruzione della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta nel suo andamento attuale. Al fine di ottenere l’approvazione del progetto soggiornò a lungo a Roma (1881, 1884), dove frequentò la trattoria del Lepre, allora punto di incontro degli artisti residenti nella capitale, e dove realizzò la sua ultima opera: Il Colosseo.
Morì, colpito da infarto, nella sua casa nativa sita in via Gargano a Bagnoli Irpino, il 26 giugno 1886.