Uno scritto sconosciuto di Leonardo Di Capua in difesa dell’arte chimica e de’ professori di essa
di Rocco Dell’Osso
(Articolo tratto da “Fuori dalla rete”, agosto 2010 – Pubblicato sul sito “Palazzo Tenta 39″ di Bagnoli Irpino il 21.08.2010)
I primi anni sessanta del Seicento sono stati caratterizzati da un significativo periodo di violenta polemica tra il gruppo degli Investiganti “moderni” ed i sostenitori della tradizione culturale “antichi”. Diverse le battaglie culturali che, su più fronti, impegnarono quel consesso di studiosi e «curiosi» di cose naturali. Una delle “battaglie” fu combattuta in favore dell’insegnamento privato della chimica, proibita dal protomedico Carlo Pignataro, rappresentante per eccellenza dello schieramento degli “antichi”. Leonardo di Capua, perché quasi sicuramente era lui a scrivere, vi prendeva parte con un “Discorso per difesa dell’arte chimica e de’ professori di essa nel quale si dimostra, che il legger privatamente la chimica in tempo di vacanze, così per li statuti degli Studi pubblici come per legge comune, non possa esser cosa prohibita, e che essendo essa utilissima alla repubblica per la cura de’ mali, e non solo utile, ma etiandio necessaria, per la perfetta cognizione della Philosophia naturale, e della medicina rationale, utilissimo debbe anche stimarsi l’ufficio di quei Professori, che l’insegnano”.
Il discorso è datato 28 settembre 1663.
Del resto egli, fondatore e membro attivo dell’Accademia degli Investiganti, non avrebbe mai rinunciato a partecipare, con forza, alle polemiche sulla chimica che attraversò la Napoli di quegli anni.
L’intento era di rispondere alle obiezioni solitamente mosse alla chimica, o quantomeno al suo privato insegnamento. Con privato si intendeva, ovviamente, al di fuori del controllo delle autorità mediche; del Protomedico, cioè.
Di fronte alla minaccia avanzata dal protomedico Carlo Pignataro, esponente di punta dello schieramento tradizionalista, di far proibire financo l’insegnamento, Leonardo Di Capua, verosimilmente di concerto con gli altri moderni, reagiva rivolgendo il “Discorso…” al Vicere e al Consiglio Collaterale. Il carattere professionale e corporativo dell’arte chimica veniva così indicato come l’ostacolo più rilevante al progresso della medicina e giustificava il ricorso all’autorità civile affinché “non si habbia a dare alcun luogo a questa ingiusta pretensione di vietar il legger la Chimica, e che la fallacia de’ discorsi, e le calunnie, dalle quali ella viene ingiustamente accusata, habbiano a rimanere dalla verità e dalla sodezza delle ragioni contrarie, affatto sgombrate”.
L’insegnamento della chimica non era tra quelli previsti dagli statuti dello Studio, i “moderni”, anche per disciplinarne l’apprendimento, ne avevano organizzato l’insegnamento privato. Si trattava probabilmente di sedute accademiche in cui, a turno, i futuri investiganti tenevano lezioni ed esperimenti scientifici.
Alla medicina, la chimica permetteva, finalmente, di cogliere il funzionamento delle parti vitali – era stata definita «Notomia vitale» -, rendendo così possibile all’anatomia di andare ben oltre la semplice dissezione. A cosa, infatti, «gioverebbe mai il medico il saper ad una ad una le parti annoverate, e scernere dal corpo umano, se poi della natura, e del mistero di quella digiuno si fosse?».
In realtà, entrambi gli schieramenti avvertivano la medesima necessità: non lasciare la chimica senza controllo. I galenisti, riducendone l’efficacia a soli pochi medicamenti, già da loro utilizzati, cercavano, per l’appunto, di farla rientrare in quanto veniva, da tempo, insegnato nello Studio; i «moderni», invece, cogliendone la portata ‘rivoluzionaria’, provavano ad utilizzarla per eliminare dalle fondamenta un errato modo di fare medicina. Si trattava, in realtà, di un meccanismo, quello chimico, che, una volta avviato, avrebbe, svolgendo le sue capacità di analisi dei fenomeni, evidenziato gli errori e le superstizioni dei tradizionalisti.
Si trattava, insomma, del concreto tentativo, da parte dei tradizionalisti, di riprendere il controllo di una situazione che sembrava sfuggirgli di mano. Il moltiplicarsi degli autori studiati, la forte spinta alla sperimentazione, i continui richiami alla libertas philosophandi,erano, e non a torto, avvertiti come pericolosi per determinati equilibri di potere tra cultura dominante e professione medica.
Di qui, la necessità di ricondurre sotto il controllo dei medici tutto ciò che poteva riguardare la salute – e quindi per estensione anche la chimica se usata in medicina – presupponendo, però, che unici, veri medici fossero solo i galenisti.
La necessità per i “moderni” era, invece, di non ridurre la chimica ad una mera attività di laboratorio, di sperimentazione per lo più “curiosa”, ma di attento e vasto studio, al fine di accumulare conoscenze estese ai «tre vastissimi reami della natura con rapidissimo ingegno», così da avere «tra le mani nuove cose: cercando per lande, e per valli, e per colli, e per fiumi, e per nuovi mari».
Tornando all’autore del “Discorso …”, Giacinto Gimma (1703) lo riteneva opera comune del D’Andrea, del Cornelio e di Leonardo Di Capua. Max H. Fisch (1953) lo attribuisce, seppur con cautela al D’Andrea.
Maurizio Torrini, attraverso l’analisi del “Discorso per difesa dell’arte chimica …”, e di un intero Ragionamento del “Parere … “ di Lionardo Di Capoa (Terza impressione, 1695, In Napoli, per Giacomo Raillard), costruito intorno all’esaltazione della chimica come seconda «notomia» (riportato a titolo esemplificativo); attribuisce il “Discorso …” proprio a Di Capua, per quanto lo stesso autore non esclude del tutto l’apporto di altre mani, data la consuetudine ad opere in collaborazione inaugurata dagli investiganti.
In sintonia con il Torrini è Salvatore Serrapica, che nel saggio “Per una teoria dell’incertezza tra filosofia e Medicina – Studio su Leonardo Di Capua (1617-1695)” attribuisce anch’egli il “Discorso…” quasi con certezza a Leonardo Di Capua.
Il “Discorso…”, diviso in due parti, si proponeva di dimostrare, nella prima l’opportunità che l’insegnamento della chimica rimanesse sotto il controllo scientifico di docenti qualificati, nella seconda, che la chimica “sia necessaria per la philosophia, e per la medicina”. Nella prima parte si sottolineavano ancora una volta i motivi corporativi che ostacolavano l’insegnamento. Rilevando la libera circolazione dei libri e dei medicamenti spargitrici, Leonardo si chiedeva “donde sia nato, ch’essendo già tanto tempo, che in Napoli usansi i medicamenti chimici, solo hoggi, che si comincia a leggere la chimica, si sia eccitato in alcuni Medici cotesto zelo della pubblica salute?… Al che sarebbe difficile il trovar altra risposta, se non questa una, che la ragion dell’interesse proprio, assai più che quella della nostra salute habbia svegliato in loro questo nuovo pensiero”.
Leonardo Di Capua, dopo aver dimostrato l’inconsistenza giuridica di un decreto, che proibisse l’insegnamento della chimica, ne difendeva l’insegnamento privato perché “non si da facoltà di apprenderla in altra parte”. In risposta ad un lungo elenco di obiezioni contro la chimica, di cui la più rilevante sembrava essere la sua novità, Leonardo, dopo aver ricordato una serie di illustri precedenti da Avicenna a Rasi, da Arnaldo di Villanova a Raimondo Lullo, concludeva ironicamente che anche la medicina ippocratica “si havesse a giudicar cattiva… a’ suoi tempi, perché fu nuova, e che la chimica dopo qualche tempo havesse a divenir buona, perché sarebbe antica”.
Quanto all’obiezione che la chimica disprezzando Aristotele e Galeno, ne mina i fondamenti filosofici, Leonardo osserva che l’arte chimica, come la logica e la geometria, è un’arte manuale “che insegna di separar et unire le sostanze de’ corpi naturali” e come tale potrà servirsene “qualsivoglia filosofo di qualunque setta egli sia, o Platonico, o Aristotelico, o Stoico, o Epicureo”.
L’importanza della chimica nello studio della filosofia e della medicina è il tema della seconda parte del “Discorso…”. Qui Leonardo indicava il compito della chimica nella separazione e nella ricomposizione delle diverse sostanze che costituiscono le tre classi dei corpi naturali “Et in così fatte operazioni, occupandosi in tutti gli altri corpi l’industria de’ chimici, con sottilissimi artifici, et invenzioni, hora segregando, et hora unendo le parti de’ corpi naturali, producono con sì mirabile arte nuove, e meravigliose sostanze, le quali arrecano non solo curiosità, e diletto a gli investigatori de’ secreti della Natura, ma ancora utilità grande al commodo, et al beneficio de gli huomini”.
Con sicurezza viene indicato il punto di separazione della Chimica dall’Alchimia: “Hor mentre gli Alchimisti colla mente e colle mani al fuoco travagliando, sudavano… alcuni vaghi più tosto d’investigar gli arcani, e le ammirande opere della Natura, che struggersi fantasticando, e penando nella compositione del chimico lapis philosophale, tutte le macchine, e gli artifici per la trasmutation de’ metalli dianzi trovati, rivolsero a più certo, et honorato fine, cioè di far notomia de’ corpi naturali et esaminare minutamente la loro composizione, a fin che si sapesse la vera natura di essi, e l’utilità, che havrebbon potuto arrecare nell’uso della Medicina”.
Il significato peculiare della chimica è individuato da Leonardo nella possibilità di poter “le cose tutte… non solo comprendere, ma anche colle opere, e coll’essercizio prattico imitare”. In tal modo la chimica non solo è utile, ma necessaria alla medicina, perché ci spiega “l’ultima costituzione, e natura delle parti”.
D’altra parte, il di Capua nel “Parere …”, dedicava buona parte del Ragionamento ottavo alla chimica e ne tracciava, immediatamente, un enfatico elogio: “Ditelo intanto voi in mia vece, o arti illustri, o rare scienze o nobilissimi studi di quella figliuoli; voi dilettose, giovevoli, e necessarie al genere umano arti dell’agricoltura, del fabbricare, del navigare, della milizia, della scultura, della pittura, della filosofia, della medicina; voi facendo testimonianza della grandezza, e dell’eccellenza
della Chimica, narrate pure, come da essa i vostri natali, il vostro accrescimento, il vostro splendor traete; dite come a’ vostri intendimenti porse la materia, agevolò l’opera”.
Ma il pregio maggiore della chimica o meglio la sua definitiva consacrazione scientifica era associata alla filosofia moderna, che “volendo investigar la natura delle cose” ha cercato di conoscere “la composizione di quelle, per venir finalmente alla cognition de’ principi, e de gli elementi da’ quali esse si costituiscono”.
Chiudo questa breve esposizione su Leonardo Di Capua e la Chimica con il ritratto che Francesco Redi diede dell’uomo: «Lionardo è valentuomo. Presume un poco di se stesso, poco stimatore di tutti, e tal poca sua stima non la rattiene prudentemente nel suo petto, ma la fa troppo palese, e con termini, direi io, un poco troppo liberi; ma in conclusione è valentuomo e il mondo avrebbe bisogno di una buona mano di simili valentuomini».
Riferimenti bibliografici:
– M. Torrini, Uno scritto di Leonardo Di Capua in difesa dell’arte chimica, «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», 1974, IV, pp. 126-139; per la polemica chimica a Napoli v. più avanti, cap. IV.
Testo integrale su web:
http://www.ispf.cnr.it/index.php?modload=ispf_lab&wikipage=Strumenti_BCSV_II_V
– S. Serrapica, Per una teoria dell’incertezza tra filosofia e medicina. Studio su Leonardo Di Capua (1617-1695), 2003, Liguori Editore.
– L. di Capua, Parere divisato in otto Ragionamenti, ne’ quali partitamente narrandosi l’origine, e ‘l progresso della medicina, chiaramente l’incertezza della medesima si fa manifesta, accresciuta di tre Ragionamenti intorno all’incertezza de’ medicamenti, Colonia 1714 (1681), II.
Testo integrale su web:
http://books.google.it/books?id=NdUGAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=Lionardo+Di+Capoa+Parere&source=gbs_
similarbooks_s&cad=1#v=onepage&q&f=false
– T. Cornelio, Progymnasmata physica, Napoli, J. Raillard 1688 (1663), Leonardus a Capua lectori.
Testo integrale su web:
http://books.google.it/books?id=y9fFtic7MeYC&printsec=frontcover&dq=Thomae%20Cornelio%20Progymnasmata&source= gbs_slider_thumb#v=onepage&q&f=false
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