“Amplesso”, la poesia erotica di Pasquale Sturchio
13.06.2013, I versi (di Pasquale Sturchio)
AMPLESSO
Mi sento stanco,
mi sento talmente stanco che…
non riesco più a riposarmi!
***
E allora, socchiudo gli occhi e…
Ti sogno!
***
“Spicchi di arance sanguigne…
le tue labbra!
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Magma incandescente…
le tue piccole labbra!
***
Papaveri oppiacei…
le tue grandi labbra!
***
Mi prodigo, inutilmente, a circoscrivere
… l’infernale incendio!
Spruzzando dolce rugiada alimento
… lingue infuocate!”
****
Pensavo che amarsi significasse…
… delicate carezze!
***
“Ansimavi come una leonessa ferita,
affondando i tuoi artigli
nella mia carne bruciata,
mi avvolgevi in una stretta… mortale!
***
Ed io povero Cristo,
dagli occhi di brace,
penetravo anche la tua …anima!!!
Mai stanco di … amarti!”
Commento di Giuseppe Marano:
Poesia, lirica schoc! Da render veramente incandescenti le corde della “lira” al tocco di queste immagini plastiche roventi, inusitate e rare nella loro eruttività magmatica, anche in “poeti laureati”; prendo il nucleo del fiume lavico che sgorga meraviglioso dall'”utero tonante”:
“…..”Spicchi di arance sanguigne…le tue labbra Magma incandescente…le tue piccole labbra! Papaveri oppiacei…le tue grandi labbra!”…
Veramente difficile scegliere decidere, come dice la parola è un po’ uccidere cruento, perchè tagli una vena al culmine del gonfiore!
E ancora: “…Mi prodigo, inutilmente, a circoscrivere l’infernale incendio! Spruzzando dolce rugiada alimento.. lingue infuocate!…” Ansimavi come una leonessa ferita, affondando i tuoi artigli nella mia carne bruciata, mi avvolgevi in una stretta… mortale! “.
Ma come si fa….di fronte a questi versi??? Lirica, come dicevo, dalle corde incandescenti, brucianti di canto, corde che puoi solo sfiorare una volta e non toccare mai più! C’è da restarci vicino, fulminato! D’una vitalità plastica, d’una potenza lucreziana…nerudiana…cara Redazione, mi consenta, anche se Cavalier non sono, di dissentire dal titolo: “Poesia erotica”: secondo il mio esile parere o fiuto “animalesco”, (sconosciuto agli uomini, quello, per intenderci, che i veri cacciatori qui da me, chiamavano uòsimo di nobile ascendenza greca: osmé) dicevo, secondo me, la sua poesia è eroica, perchè solo un eroe può sprigionare con la pura innocente corposità della natura, immagini che farebbero accapponare la pelle per la loro bruciante sensualità.
Eroismo inconsapevole, ignaro di se stesso, quello del poeta eterno fanciullo che fulmina brucia incenerisce la tua mirifica maschera di ipocrisia dicendo col suo innocente candor: “Il re è nudo!”
Caro Pasquale, checchè ne dicano i “poeti e…critici laureati”, la tua poesia, parlo adesso proprio di questa, ha il turgore esplosivo della poesia nerudiana, dell’onda marina ancora involta ansiosa d’un abbraccio negato, dell’amplesso appunto di cui sei inesaustamente avido, come la piantina nel prato calcinato dal sole, ha il gonfiore della gemma del garofano che sprigiona nel miracolo della sua accensione efflorescente, il rosso abbagliante, l’eruzione di fuochi abbacinanti che cancellano, almeno per un momento, i grumi tetri dell’esistere. Amen.
Sembra appunto una preghiera, un salmo, una feroce rampogna al cielo che permette, o addirittura crea tanti sacrilegi: che dà i biscotti a chi non tiene denti nè…altro!, la rabbia per la margarita ante porcos, per la perla capitata sotto il becco del rozzo pollastro, il quale onestamente dice: “Ma che me ne faccio di te?…Potevi capitare a portata di…..Pasquale, t’avrebbe adeguatamente …valorizzata! “, attualizzando un po’ quel birbone di Fedro, e se no che poeta universale è?
Questa è l’amarezza sottesa che pervade i tuoi versi, le tue fibre più riposte dell’anima e del corpo nella sua unità sinolica! Un brivido di calore inesausto mi percorre alla lettura: è la vis, la forza del verso che diviene rappresentazione materico-fantasmatica che a sua volta …si smaterializza in colore-calore, come il fuoco del garofano della poesia di Neruda…Ricordi ? Tempi aurei nella tua “Domus Deorum”? Te la ricordo un po’: “Perchè con quelle fiamme rosse/si son messi ad ardere i rubini?….Quando appresero i limoni/ la dottrina stessa del sole?/…Dov’è il fuoco sotterraneo/ che resuscita i garofani?”.
Beh, forse tu, non lo sai nemmeno dove sta questo fuoco, nel tuo stuporoso candore d’eterno ragazzo…che mi ricorda tanto i versi che Montale dedicò all’amico Sbarbaro: ” Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versicolori/ carte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia/ mobile d’un rigagno; vedile andarsene fuori./ Sii preveggente per lui, tu galantuomo che passi:/ col tuo bastone raggiungi la delicata flottiglia,/ che non si perda; guidala a un porticello di sassi…”…
Tornando a dove sta quel fuoco, quel tuo fuoco…io penso di saperlo. Ciao Bepy
Giuseppe Marano