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Allah si fermò al Calvello

12.06.2013, Articolo di Federico Lenzi (da “Il Corriere”)

Gli storici locali cristiani hanno voluto far dimenticare la storia del castello saraceno di Bagnoli, per cancellare la memoria della sconfitta subita. Gli arabi nella loro avanzata distrussero tutti i manieri che incontrarono.

Inghiottito dai boschi che dai monti del Laceno degradano verso la piana dell’Ofanto si trovano delle rovine dimenticate da tutti, volutamente dimenticate. Rovine che non ci appartengono, che non appartengono alla nostra cultura cristiana e di cui nel tempo, quando la religione era collante di popoli, si è voluto far perdere la memoria abbandonandole a se stesse.

Si è voluto che il tempo distruggesse questo castello per cancellare una sconfitta, per dimenticare lo spettro della grande paura che si aggirò tra gli abitanti di queste terre molti secoli fa.

“La storia la scrivono i vincitori, ma la verità la saprai solo dagli sconfitti”, in questo caso ci restano solo vaghe testimonianze tramandatesi nella cultura popolare e poi trascritte nei libri di storia locale: la vera storia in questo caso non la sapremo mai, potremmo solo formulare ipotesi verosimili non certezze. Si dice anche che chi controlla il passato controlla il futuro e difatti hanno cancellato un tassello di storia e lasciato che il tempo distruggesse quello che sarebbe stato un pezzo del nostro patrimonio artistico.

Stiamo parlando di un castello, ma non di uno dei tanti castelli longobardi che costellano la nostra Irpinia bensì di un maniero dei loro più acerrimi nemici: i saraceni. Nell’anno 827 D.C. alcuni emiri tunisini iniziarono la conquista della Sicilia. Quest’impresa militare fu possibile grazie al patto di reciproca protezione siglato con Andrea console di Napoli. In questi anni le città marinare campane e i napoletani si allearono con i saraceni per sconfiggere il duca di Benevento Sicone che regnava anche sull’Irpinia. Il sodalizio tra napoletani e saraceni durò alcuni anni e i due eserciti collaborarono più volte. In seguito, i soldati musulmani non furono fedeli agli accordi e divennero mercenari fuori controllo al soldo del miglior offerente. Si dedicarono anche a razzie ed incursioni a spese delle popolazioni delle coste spingendosi persino nell’entroterra. Sfuggiti al controllo dei principi longobardi locali e dopo essere risaliti nel Lazio saccheggiando San Pietro, furono messi a bada dalla discesa dell’imperatore. Alleatesi con i Bizantini affrontarono nuovamente nell’ 873 D.C. le truppe imperiali in Campania e Calabria. A partire da questa data le incursioni si fecero sempre più frequenti e furono create vere e proprie basi di partenza a Santa Severina e ad Agropoli da cui s’inoltravano nell’entroterra. La costa campana fu costellata da più di cinquanta torri fortificate da cui si avvistavano le navi musulmane.

Conza conosciuta con il nome di Compsa era un’importante città sin dall’epoca romana e lo fu per tutto l’alto-medioevo, in seguito rasa al suolo da vari terremoti si ridimensionò. A quei tempi la città aveva un economia basata sull’agricoltura ed era tra le più ricche e popolose della zona, per questo motivo finì nelle mire dei saraceni che nell’865 D.C. decisero di assediarla. Avendo una possente cinta muraria la città resistette per quaranta giorni ed infine i musulmani si arresero. Solo i Normanni nel 1096 D.C. riuscirono ad espugnarla. Tutti i documenti storici relativi all’evento andarono distrutti in vari incendi avvenuti nell’arco di tempo tra i due assedi. Riflettendo e provando ad immedesimarsi nei panni degli invasori pare improbabile che un popolo così colto e raffinato come quello arabo s’inoltrasse in queste terre per tutto questo tempo (oltre un mese) lasciandosi alle spalle popoli terrorizzati nascosti nei boschi, ma pronti a tendere imboscate per vendicarsi dei torti subiti. Se i saraceni erano solamente interessati a rubare quanto più possibile per andare subito via, risulta impossibile che si siano fermati per tutto questo tempo ad assediare Compsa: città lontanissima dal mare considerando che ai tempi non c’erano i moderni mezzi di trasporto e non si procedeva speditamente tra le nostre inospitali montagne.

Dobbiamo precisare anche che la città era situata lungo la strada che sin dall’epoca romana risalendo dalla piana del Sele, passava per il valico delle Croci d’Acerno e costeggiando i monti scendeva nella piana dell’Ofanto per terminare in Puglia: quella che collegava il Tirreno all’Adriatico. Come avrebbero potuto condurre una vera e propria guerra e assediare la città senza stanziarsi in queste terre? Come avrebbero potuto dormire sogni tranquilli accampandosi in una terra di straniera ed essendo circondati da nemici? Il clima nel Medioevo secondo alcuni studi era ancora più rigido rispetto ad ora e a questo va aggiunta la certezza che le nostre terre in passato pullulavano di lupi. Prendendo in considerazione questi dati è veramente improbabile che si siano accampati per tutto questo tempo invece che stanziarsi stabilmente.

Troviamo risposta ai nostri interrogativi facendo una scrupolosa lettura di “Memorie storiche di Bagnoli Irpino” del Sanduzzi e leggendo la “Storia di Lioni” di RoccoPietro Colantuono. A pagina 211 del primo libro menzionato dopo aver parlato del castello longobardo di Bagnoli sorto intorno al 775 D.C. in un rigo e mezzo si accenna vagamente ad un “castello pagano” situato in territorio lionese, ma a ridosso del confine con Laceno (frazione di Bagnoli). L’autore cita come fonte il “Chronicon Cassinense” e sostiene di aver visitato i ruderi. Questo libro anche se è considerato come una vera e propria Bibbia dagli storici locali non è del tutto completo, lo stesso autore ammette che non avendo molti mezzi d’informazione ha semplicemente raccolto da varie fonti quante più notizie possibili e considerando il volume dell’opera non si dilunga mai sulle antiche costruzioni che ai suoi tempi erano già in cattivo stato di conservazione. Sanduzzi afferma che questo castello viene citato nel “Chronicon Cassinense” mentre si narra l’assedio di Compsa da parte del sultano di Bari, purtroppo non sono riuscito a reperire e a consultare personalmente quest’opera.

Nel libro si racconta che gli arabi nella loro avanzata distrussero tutti i castelli che incontrarono lungo il percorso compreso quello longobardo di Bagnoli. Essendo quella su cui avanzavano una via d’interesse commerciale e strategico era protetta da una fitta rete di castelli longobardi. Nella cronaca si dice anche che dopo aver distrutto tutti i forti nemici i Saraceni ne eressero uno sui monti lionesi per controllare al meglio le operazioni militari nella valle dell’Ofanto. Non essendoci altri rilievi i monti del Laceno dominano sull’intera valle; dal monte Magnone (più vicino a Bagnoli che a Lioni) nei giorni più tersi si vede persino la Puglia ed il mare che si affaccia timidamente all’orizzonte.

Sempre nel “Chronicon Cassinense” si narra che tutti i centri abitati della zona furono abbandonati per paura dei tremendi massacri perpetrati dagli infedeli. RoccoPietro Colantuono nella sua “Storia di Lioni” parla di ben due castelli sulla strada che collega Lioni a Laceno. Da sempre i popoli hanno scelto posizioni elevate per controllare al meglio le zone sottostanti. Uno di questi castelli si trovava nella località Oppido che ai tempi delle conquiste romane era la città gemella del capoluogo degli Irpini: Ferentino. Non sappiamo quando fu costruito e ne da chi fu costruito, si sa solo che fu raso al suolo dal terremoto del 10/09/1349.

Il castello a cui si riferisce il “Chronicon Cassinense” e dunque il Sanduzzi è probabilmente quello di Paola denominato anche “castello di buonalbergo”. Questo maniero sorgeva sulle pendici del Monte Calvello situato al confine tra il territorio bagnolese (Laceno) e quello lionese. Precisamente era ubicato nei pressi delle cascate di “Gorgosavo” create dal fiume Ofanto. La zona in cui sorgeva era denominata dalla popolazione locale “crepatore” o “schiatta-cristiani”, due nomi dal significato lugubre. Nel dialetto locale i termini “crepare” e “schiattare” sono sinonimi di morte.

Sappiamo benissimo che solamente i Saraceni nella storia locale si sono macchiati di grandi massacri di cristiani, quindi per essersi conservata questa denominazione nella toponomastica locale è un dato di fatto che siano passati di lì. Inoltre, quella montagna coincide con le descrizioni date nel “Chronicon Cassinense” di un monte al confine tra i due comuni altirpini che domina la valle sottostante. Questa zona per la vicinanza alle cascate ed essendo circondata dai boschi non avrebbe creato problemi per l’approvvigionamento di acqua e legna da ardere. Secondo la testimonianza di Colantuono al di sopra delle rovine si trovava una vecchia casa colonica in pessimo stato usata come rifugio dai pastori. Nel libro oltre a delle foto delle rovine e a degli schizzi si trovano anche altri dettagli, ad esempio: la forma era rettangolare con lati lunghi trentadue e diciotto metri (i lati più lunghi erano quelli a est-ovest), le mura molto possenti inglobavano delle torri agli angoli e sul lato nord e su quello ovest erano presenti due torri di forma circolare all’esterno e quadrata all’interno di due metri di diametro, quella sul lato est aveva un diametro leggermente inferiore. A oriente il castello era protetto da un dirupo molto profondo che terminava nel letto del fiume, questo dirupo terminava a nord dove si trovavano le cascate. Si parla anche di una galleria scavata nella collina in direzione est-sud, lì si trovavano dei grandi massi che a detta di Colantuono potevano essere resti di mura pelasgiche che giungevano fino a sud dove si trovava l’ingresso della fortezza in parte demolito per costruire la casa colonica. Da quella zona si vede la valle sottostante, Lioni, Nusco, Morra de Sanctis e Andretta.

L’ultima notizia fornitaci da Colantuono è la causa e l’anno di distruzione di questa fortificazione: il terremoto del 1496. Quindi essendo rimasto in uso per oltre cinquecento anni dopo il passaggio dei Saraceni avrà subito certamente delle modifiche sul piano architettonico. Sarei stato veramente lieto di poter visitare la zona e costatare lo stato attuale di conservazione delle rovine, ma anche avendo origini lionesi-bagnolesi non ho una sufficiente conoscenza della zona e non ho la strumentazione e l’esperienza adatta per inoltrarmi nella montagna alla ricerca di questo rudere.

Delle rovine se n’è persa la memoria ed essendo queste cascate del “Gorgosavo” una zona poco conosciuta e frequentata non sono riuscito nemmeno a trovare qualcuno in grado di condurmi. Inoltre, le ricerche del Colantuono si sono svolte prima del sisma del 1980 e quindi i resti delle mura potrebbero aver subito ulteriori danni. Questi ruderi se valorizzati potrebbero essere l’anello di congiunzione tra un turismo fatto di escursioni nei monti e di visite guidate al patrimonio artistico locale.

Il castello saraceno rappresenta uno dei momenti più bui della nostra storia, ma pur sempre degno di nota e da non dimenticare. La storia nella buona e nella cattiva sorte cambia le sorti dei popoli e non saremmo ciò che siamo se i nostri antenati non avessero subito queste invasioni e la storia avrebbe seguito un altro corso. L’importante è non dimenticare, cercare sempre le proprie origini per conoscersi meglio, perché senza passato non c’è futuro!

                                                                                                       

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