Articoli

Raccolta di articoli, opinioni, commenti, denunce, aneddoti e racconti, rilevati da diverse fonti informative.

Avvisi e Notizie

Calendario degli avvenimenti; agenda delle attività; episodi di cronaca, notizie ed informazioni varie.

Galleria

Scatti “amatoriali” per ricordare gli eventi più significativi. In risalto volti, paesaggi, panorami e monumenti.

Iniziative

Le attività in campo sociale, culturale e ricreativo ideate e realizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” (e non solo).

Rubrica Meteo

Previsioni del tempo, ultim’ora meteo, articoli di curiosità ed approfondimento (a cura di Michele Gatta)

Home » Articoli

Aprile, tra segni e presagi

10.04.2013, Articolo di Aniello Russo (da Il Corriere del 07.4.2013)

Di dodici mesi aprile è il più piovoso e il più instabile: non ti senti ancora di dire che l’inverno è andato via, né ti azzardi a vivere il mese come se già fosse giunta la stagione estiva. Il nodo del cuculo e le pratiche divinatorie.

Il mese di aprile, il quarto dei dodici fratelli dell’anno, è uno snodo temporale assai importante nella vicenda delle stagioni: non è più inverno e non è ancora estate; il freddo pungente non infierisce più, ma non ti puoi neppure fidare del calore del sole; non devi coprirti pesantemente ma è un rischio vestirsi leggero. Il sole di aprile, infatti, è così pallido e debole che a stento riesce a intiepidire l’acqua contenuta in una bacinella: Lu sole r’abbrìle scarfa appena l’acqua int’a lu vacìlu. Un altro detto consi glia di non fidarsi del tepore di questo mese: Quann’abbrìle mette lu mussu, fuocu appicciatu e porte chiu se.

Il tempo meteorologico

L’instabilità del tempo di aprile è testimoniata da un proverbio popolare: Abbrìle mò chiangi e mò rire. Un tempo, dopo la segregazione dei mesi di freddo e la lunga permanenza accanto al camino acceso, le donne cominciavano a fare capolino all’uscio. Ora che la durata della luce del giorno si è allungata di oltre due ore (ventiquattrore, il vespro, ormai giunge dopo le ore diciannove), le donne riprendono a radunarsi all’aperto nel cortile ( Abbrìle, re ffémmene int’a lu curtigliu ) con la comare e le vicine per raccontarsi le storie antiche, le vicende familiari e le ultime notizie del quartiere; e intanto rammendano le calze o terminano il ricamo al lenzuolo del corredo o dipanano la matassa. Il tempo ormai volge al bello. La temperatura mite di aprile ti consente di togliere le coperte dal letto e di dormire addirittura scoperto ( Abbrìle còrchete ca tuttu te viri ); nei campi è tutto uno sbocciare di fiori, anche se poi sarà maggio a menarne il vanto ( Abbrìle faci nasci li fiuri e maggiu se piglia l’unore ). A detta del contadino, è bene che nel mese cadano piogge abbondanti nei campi: Abbrile, chiuovi chiuovi; maggiu, una e bbona; a giugnu la seconda e tuttu lu munnu abbonda. (In aprile possa sempre piovere; di maggio cada una sola acqua, ma abbondante; nel mese di giugno basta che piova due volte perché la campagna offra un ricco raccolto).

In compenso aprile è un mese ventoso, sicché i pantani d’acqua lasciati dalla pioggia subito prosciugano: Quanno canta lu cucùlo, chiove otto e asciuga uno: se al ritorno del cuculo, la prima settimana di aprile, piove per otto giorno, ne basta uno per asciugare le strade e i campi. Se il mese sarà piovoso ce lo dice il quattro di aprile: Quatt’abbrilante, juorni quaranta; infatti, se piove in questa giornata, pioverà per quaranta giorni di continuo; questo perché si crede che il diluvio universale di memoria biblica abbia avuto inizio da questo giorno. All’interno dei quaranta giorni, il periodo che intercorre tra fine aprile e inizio maggio è comunque segnato da violenti temporali, concentrati in tre giorni: 25 aprile (S. Marco), 3 maggio (SS. Croce) e 8 maggio (S. Michele Arcangelo), tre altri nodi di tempeste. Ricorda il detto: Tre so’ re bbestie feroci: Santu Marcu, l’Arcangilu e la Croci. Erano dette “bestie feroci”, perché San Marco è rappresentato con il leone alato; La Croce, col serpente ai piedi a significare la vittoria di Cristo sul serpente dell’Eden; L’Angelo S. Michele è raffigurato nell’atto di schiacciare la testa di un drago. La pioggia continua di aprile, però, infastidiva le mamme che aspettavano con ansia il momento che i figli uscissero a giocare all’aperto e riacquistassero l’incarnato rosa del volto; gli stessi bambini vivevano in ansiosa attesa, contrariati dai continui acquazzoni primaverili; allora si prendevano per mano e girando in tondo, a viva voce ripetevano più volte una filastrocca propiziatoria: Chiove, chiove, chiove e la Maronna cogli li fiuri, re ccòglie a ppe Gesù e n’atu picca nun chiove cchiù! Secondo l’immaginario popolare Aprile imprestò i suoi primi quattro giorni a Marzo che voleva consumare la sua vendetta contro un pastore che l’aveva dileggiato, scatenando temporali improvvisi per sorprenderlo sui pascoli e disperdere il suo gregge.

Il panino di San Marco

Questo mese è privo di particolari ricorrenze festive. Soprattutto se, come quest’anno, le festività pasquali si sono celebrate nel mese di marzo. Tuttavia in aprile ricorrono le feste di S. Giuseppe Moscati (12), di S. Giorgio (23), di S. Marco (25), di S. Caterina da Siena (29). S. Giuseppe Moscati, irpino originario di Serino, è salito agli onori dell’altare in anni recenti. Santa Caterina e San Giorgio hanno conosciuto il massimo rigoglio della fede popolare nel medioevo; a San Giorgio è legato pure un gioco di ragazzi, la zompa cavallina. Infine San Marco, Patrono di Manocalzati, venerato fin dagli albori del Cristianesimo.

E a Bagnoli è ancora viva la tradizione della festa in onore del Santo Evangelista, a cui è dedicata una chiesetta rustica. Nella giornata del venticinque vige ancora l’usanza di andare a sentire messa nella cappella che sorge oltre la cinta delle mura del paese; dopo la funzione religiosa il popolo festante dei bambini e dei ragazzi si sparge nei prati circostanti e consuma un panino a forma di croce, imbottito di ricotta di pecora. La croce rinvia al sacrificio di Cristo e richiama la ricorrenza della Pasqua nel tempo di primavera, mentre la ricotta festeggia il ritorno dei pastori dalla transumanza. Rimettendo piede nella loro terra, i pastori costruivano i recinti provvisori nella parte bassa del paese, perché in montagna i pascoli non erano ancora pronti, in quanto la neve durava nelle valli e nelle radure fino a giugno inoltrato. Al loro ritorno, nel primo giorno di lavorazione del latte i pastori un tempo donavano la ricotta alla comunità tutta; in questo modo essi scioglievano il voto fatto a S. Marco per la protezione ricevuta durante il lungo viaggio di spostamento del gregge da Terra di Lavoro alla terra d’Irpinia.

Il nodo del cuculo

La cultura popolare irpina riteneva aprile un mese denso di segni e di presagi ( mensis sacer ), favorevole alla pratica divinatoria. A partire dalla giornata del quattro, conosciuta come il nodo del cuculo, che determina, come dicevo, il tempo per oltre quaranta giorni. Il cuculo ritorna con la primavera, nella prima settimana di aprile, questa la credenza comune: Lu cuculu canta tra l’unu e l’ottu; e si nun canta mò, o è malatu o è mmuortu.

Secondo l’immaginario collettivo, il canto di un gallo, il singhiozzo di un uccello notturno, il fruscio di una lucertola tra le foglie avevano un significato di simboli. Il cuculo in particolare possiede facoltà divinatorie. Il rito, che è conosciuto anche in Sardegna (cfr. Deledda, Cenere, cap. II) accende la speranza nel cuore della fanciulla che ha raggiunto la pubertà. Essa sa che il suo destino è già segnato: in qualche parte del mondo batte il cuore innamorato del suo uomo. E aspetta il cuculo per chiedergli a che età coronerà il sogno d’amore. Il cuculo, ripetendo cucù, cucù, cucù, col numero dei versi rivela l’anno delle nozze.

Nella formula di Bagnoli si coglie un sentimento che accomuna il cuculo, che suscita pena col suo verso lamentoso, e la ragazza in cerca di marito, che suscita pena per la sua condizione di zitella: Cuculu, cuculante, che ppena ssu cantu, che ppena sta vita! Quann’è ca pigliu maritu? (Cuculo che fai cucù, che pena suscita il tuo canto, che pena la mia vita! E dimmi: quando, quando troverò un marito?). Tre volte la ragazza ripeteva la filastrocca, tre volte pestava il piede sinistro a terra. Dal numero dei versi del volatile essa traeva l’auspicio per l’età delle sue nozze.

A Torella, a Morra, a Guardia il cuculo vaticina dall’alto di un fico, che pare essere il luogo propizio alla divinazione. Il fico era il simbolo della morte, per cui è da supporre che il rito un tempo coinvolgesse nel vaticinio anche il mondo dei defunti: Si tu canti ra copp’a la fica, iu quant’anni resto zita? Aprile è uno dei mesi che contiene la “r”, lettera che, secondo un’antichissima credenza, esprimerebbe la potenza delle forze occulte e il coinvolgimento del mondo demoniaco.

(da “Irpinia magica”,  di Aniello Russo)

                                                                                                       

Lascia un commento!

Devi essere logged in per lasciare un commento.