La Generazione perduta
06.04.2013, Articolo di Antonio Nigro (da “Fuori dalla Rete” – Marzo/Aprile 2013, Anno VII, n.2)
Le ultime elezioni politiche hanno prodotto dei risultati che possono apparire sorprendenti, solo se si analizza in modo superficiale la profonda trasformazione che la nostra società sta vivendo in questi anni.
Le vecchie classi sociali in cui è stata suddivisa la popolazione italiana, ma anche europea, dal secondo dopoguerra in poi hanno perso ormai di significato. Ciò che attualmente determina la condizione di vita di un cittadino italiano, non è più tanto la sua cultura, i suoi studi, il tipo di lavoro che fa o che non fa, il luogo dove vive ecc… ma è soprattutto il suo anno di nascita. L’Italia è infatti divisa in due blocchi sociali ben distinti: da un lato ci sono quelli nati fino agli anni sessanta (come anno simbolo si può considerare il 1968), i nostri genitori, dall’altro quelli nati nei decenni successivi, cioè tutti noi, la generazione perduta. Coloro che appartengono alla prima categoria hanno vissuto per decenni al di sopra delle loro possibilità, godendo di benefici e privilegi che non potevano permettersi e scaricando gli oneri di questo benessere fittizio su tutti gli altri. Questo fenomeno appare lampante analizzando l’andamento del debito pubblico italiano, che è cresciuto in modo esponenziale negli anni settanta e ottanta fino al 1992, per poi stabilizzarsi su valori superiori al 100% del prodotto interno lordo, finendo così per essere un enorme macigno sulle nuove generazioni. Sfruttando la crescita del debito pubblico i nostri padri si sono garantiti un posto fisso, (il più delle volte attività a bassa produttività o addirittura parassitarie), la possibilità di trovare lavoro nel luogo dove si è nati, di acquistare una casa senza indebitarsi per il resto della vita e di ottenere ricche pensioni in età molto giovane. Tutte cose che noi possiamo solamente sognare, visto che il lavoro è ormai un miraggio e per trovarlo siamo costretti ad emigrare, in Italia o all’estero, e a spostarci continuamente. Per raggiungere il posto fisso dobbiamo vivere lustri di precariato e per acquistare una casa, l’unica soluzione è vincere al Superenalotto, visto che siamo gravati da una tassazione mostruosa e l’accesso ai mutui è diventato quasi impossibile. La pensione poi è un miraggio che si allontana sempre più con il succedersi dei governi, e se anche un giorno ci arriveremo, per garantirci un importo decente siamo costretti a investire la nostra buonuscita nei fondi pensione, per poter integrare le pensioni misere che lo stato erogherà.
È evidente che l’Italia non può sostenere una condizione del genere a lungo, di questo passo ci stiamo avviando più o meno velocemente verso la bancarotta, il fallimento economico, sociale e morale la cui responsabilità non è di un’unica persona o della sola classe politica come qualcuno cerca di farci credere. Questa responsabilità va attribuita ad tutta una classe dirigente, anzi una intera generazione che per anni ha gestito l’Italia: politici locali e nazionali, sindacalisti, magistrati, imprenditori, manager privati e soprattutto pubblici, giornalisti, pseudointellettuali, professori universitari, ecc. Non meno responsabili sono tutti coloro che hanno votato e sostenuto questa classe dirigente, acquisendone dei vantaggi più o meno leciti ma che di sicuro non gli spettavano.
Per anni la nostra generazione ha subito inerme questa situazione, illudendosi che prima o poi i nostri padri avrebbero pensato per davvero al futuro dei loro figli, solo adesso stiamo iniziando a capire che chi ci ha portato in queste condizioni non è in grado di tirarci fuori. È arrivato il momento di fare per conto nostro, costruirci in prima persona il nostro avvenire, mettendo da parte valori e ideali vetusti che ci sono stati inculcati. La generazione perduta, quella dei bamboccioni e dei giovani senza ideali, probabilmente si sta svegliando, forse è iniziata la rivoluzione generazionale di cui questa nazione ha bisogno da anni.
In questo panorama nazionale desolato, l’Irpinia e il nostro paese appaiono come una landa devastata da decenni di sprechi e clientelismo, con centinaia se non migliaia di miliardi di lire arrivati dopo il terremoto che non hanno portato né sviluppo né benessere, ma hanno solo arricchito poche persone e garantito un potere duraturo ad una classe politica e dirigente che se fossimo nel medioevo andrebbe messa alla gogna e presa a pesci in faccia. Ci hanno fatto credere (non a me) che per raggiungere un qualsiasi risultato nella vita non servissero impegni e sacrifici ma bastava conoscere le persone giuste, adesso ci stiamo accorgendo che per garantirci un’esistenza dignitosa saremo costretti a fare sacrifici enormi come i nostri nonni nei periodi di guerra. Il risultato è un impoverimento economico, morale e culturale ben rappresentato dalla nuova emigrazione verso il nord o verso l’estero. Fra trent’anni i nostri paesi diventeranno degli enormi ospizi dove i vecchi passeranno le giornate a ricordare i bei tempi andati.
Con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative la mia speranza e il mio augurio è che anche a Bagnoli i giovani inizino a svegliarsi e a pretendere ciò che ci spetta e che per anni ci è stato negato, cioè la possibilità di decidere sul nostro futuro. Senza aspettare che siano gli altri a lasciarci il posto ma andando a prendercelo da soli. Il termine “giovani” è molto usato in queste settimane, io per giovane intendo una persona che lo sia anagraficamente e mentalmente, quindi che non abbia la mentalità che ha rovinato questo paese negli ultimi decenni ma che abbia onestà, competenze, conoscenze, entusiasmo, merito e anche un pizzico di rabbia, come riferimento. Gli intellettuali bagnolesi, quelli che per anni hanno consumato i sanpietrini della piazza discutendo del nulla, di sicuro storceranno il naso, diranno che per fare politica e amministrare un paese di vuole esperienza, io ritengo che in questa fase storica l’esperienza rappresenta un fattore negativo perché scaturisce da mentalità e comportamenti sbagliati acquisiti negli anni. Mi piacerebbe anche che chi ha tessuto le trame politiche, alla luce del sole o nell’ombra, negli ultimi decenni avesse la decenza di farsi da parte, ma ormai ho smesso da tempo di credere ai miracoli.