ALTA IRPINIA, primavera 2013
25.03.2013, Il racconto breve (di Rosaria Patrone)
Il contributo alla Convention: “La terra di pane”
Michele si era laureato da un paio d’anni in “Scienze Ambientali” all’università di Urbino. Il fratello minore, Antonio, aveva discusso la tesi di laurea in “Scienze Agrarie” nel gennaio scorso.
I due fratelli erano nati e cresciuti in un paesino dell’alta Irpinia e, dopo gli studi universitari, Michele per primo, subito seguito da Antonio, avevano deciso di farvi ritorno per realizzare un progetto a lungo pensato, che aveva condizionato non poco le loro scelte di studio.
Michele, negli ultimi due anni, aveva avuto qualche breve esperienza lavorativa: come supplente in un istituto superiore, che non gli aveva fruttato nessun vero guadagno, solo una bella ed indiscutibile esperienza nel campo dell’insegnamento, e qualche consulenza ambientale, che credeva non gli avrebbero mai pagato.
Aniello, il padre dei due ragazzi, segretario in un istituto comprensivo del posto, continuava a dividersi tra due lavori, per assicurare ai figli l’istruzione universitaria prima, e poi per dare loro il tempo di sistemarsi senza particolari difficoltà economiche.
Quella che poteva sembrare un’attività secondaria, coltivare una parte del bell’appezzamento di terra, di più di due ettari, ad un chilometro circa dal centro abitato, era considerata da Aniello il jolly per consentire ai propri ragazzi di rimanere nella terra di origine, accanto a lui e alla moglie, che contribuiva in modo sostanziale al lavoro di coltura del campo ereditato dalla famiglia di origine .
L’amore per la terra, insito nei due giovani, era parte integrante del corredo cromosomico ereditato dai genitori; quel gene dominante aveva attraversato indenne millenni di trasmissioni tra generazioni, senza mutare più di tanto la sua natura di radicamento a quei suoli che sostengano la vita.
Aiutato spesso dai suoi ragazzi, Aniello coltivava il suo magnifico vigneto quasi a tempo pieno, come pure l’orto, che occupava un quarto circa di tutto il campo.
La casa colonica, piuttosto malandata, situata al limite nord dell’appezzamento, era occupata al piano terra da attrezzi per il lavoro del campo, mentre i due piani sovrastanti erano rimasti inutilizzati per molti anni.
I due giovani avevano per quella struttura un progetto ormai delineato quasi in ogni sua parte.
Aniello, quando aveva saputo del progetto “Nusco”, cioè la richiesta di ricerca, ad opera della “Italmin Exploration srl”, di petrolio liquido e gassoso nei sottosuoli vicinissimi al suo campo, che rappresentava, come già detto, il futuro dei suoi figli, non gli aveva dato l’importanza che la notizia meritava, perché, in realtà, non ci aveva capito granché, visto che, in tutta la sua vita, nessuno mai gli aveva anche solo ventilato la possibilità che sotto la profondità di quella fertile e bella terra ci potesse essere petrolio da estrarre con profitto.
Appena aveva potuto ne aveva discusso con Michele, solo così aveva capito che, se mai si fosse arrivati a trivellare il sottosuolo alla ricerca di idrocarburi, il loro territorio, compreso il campo di proprietà, avrebbe perso irrimediabilmente tutte le caratteristiche che ne avevano fatto un posto a forte vocazione turistica ed agricola, con produzione di vino marchiato con una sigla di alta qualità, che ne aveva decretato un bel successo, e che contribuiva non poco al bilancio familiare.
Il progetto dei due fratelli, di avviare un agriturismo sul terreno di famiglia, grazie anche dalle competenze acquisite con gli studi universitari, di restaurare la casa colonica, incentivare la coltivazione del vitigno e dell’orto, sarebbe fallito sul nascere, poiché il suolo, l’aria, l’acqua del loro territorio, avrebbero corso seri rischi di inquinamento già dalle trivellazioni esplorative, senza contare l’ eventuale passaggio successivo, cioè quello dell’estrazione vera e propria di idrocarburi.
Il solo allestimento delle infrastrutture atte all’industrializzazione di quell’area agricola per vocazione, che nell’estrazione di idrocarburi sono pozzi, centrali di desolforizzazione, oleodotti, strade, facevano presagire quale stravolgimento avrebbe subito tutto il territorio.
Di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) Michele ne sapeva abbastanza, era stata materia di studio in più di un esame del suo corso universitario, per questo sperava che il punto di fermo, con conseguente revoca del progetto “Nusco”, si realizzasse già con un auspicabile esito negativo dello studio di impatto ambientale.
Credeva in questa possibilità, non solo perché così avrebbe voluto, ma perché era fermamente convinto che, in quello studio multidisciplinare, il geologo, l’agronomo, il biologo, l’ingegnere minerario, l’architetto urbanista e altri, ognuno per la propria parte, difficilmente avrebbero potuto sottoscrivere che l’operazione di estrazione di idrocarburi, in quel territorio, fosse immune da seri pericoli per l’uomo e la natura, e da coinvolgimenti paesaggistici fortemente impattanti.
Petrolizzare un territorio, infatti, significa imbruttirlo, avvelenarlo, annientare quasi tutto quello che già sul territorio esiste o potrebbe esistere.
E poi, pensava Michele, il bilancio costi – benefici, ovvero la sua analisi, che è l’atto politico della Valutazione d’ Impatto Ambientale, non poteva che risultare in un equilibrio precario, considerando che il petrolio estratto in Italia è scadente in quantità e qualità, ed è difficile da estrarre perché posto in profondità. E’ inoltre saturo di impurità sulfuree che vanno eliminate, ed è proprio in questo processo che si liberano sostanze nocive, come l’idrogeno solforato, nitrati, nanopolveri, molto pericolose per la salute delle persone, per l’agricoltura e gli animali.
Pertanto, il petrolio da estrarre in Irpinia, non potendo che avere le medesime caratteristiche di quello estratto in altre parti del territorio nazionale, avrebbe sbilanciato fortemente l’equilibrio della sua analisi costi-benefici a scapito dei benefici, condizione invece necessaria per l’avvio di una così complessa ed onerosa impresa.
La Italmin Exploration srl era diventata, intanto, l’incubo degli abitanti del paese e dell’Alta Irpinia tutta, dal momento in cui la Giunta Regionale, il 9 luglio 2010, le aveva conferito il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in una estesa area dell’Irpinia; questo aveva fatto sì che nascesse, come forza di opposizione, una coalizione di cittadini denominata “Comitato No petrolio Alta Irpinia” a cui subito avevano aderito Michele ed Antonio e che successivamente aveva coinvolto lo stesso Aniello e molti rappresentanti dei comuni vicini.
Antonio confidava spesso al fratello, non senza una punta di amarezza, le conclusioni a cui era giunto, avendo oramai chiaro in testa dove la politica regionale volesse condurli.
Possibile, diceva, che l’unica strada per i nostri governatori, per migliorare la nostra condizione, per sviluppare il territorio, in questa terra già martoriata da secoli di arretratezza, da terremoti catastrofici, ma pur sempre bella e incontaminata, sia quella che porta a snaturarla nella sua essenza?
Nella famiglia di Aniello non si dormiva più bene da tempo.
Molte altre famiglie dell’Alta Irpinia non riuscivano più a vivere serene, eppure in quel territorio preoccupazioni ce n’erano sempre state, ma mai, in nome della risoluzione del bilancio energetico nazionale, era stato chiesto loro un prezzo tanto alto.
Michele pensava alle rinnovabili, solo dirigendosi verso quel tipo di produzione energetica avrebbero potuto salvaguardare l’ambiente.
La strada, per gente come Michele ed Antonio, per le popolazioni interessate dal progetto “Nusco”, era in salita da quando nuove politiche energetiche, proposte nell’ultima legislatura, richiedendo la modifica del titolo V della Costituzione, andavano verso una politica finalizzata a limitare il potere di scelta e di veto delle popolazioni a solo vantaggio delle istanze e dei progetti di sfruttamento del territorio.
Il comitato “No petrolio” avrebbe intanto continuato con tenacia a portare avanti la campagna di sensibilizzazione, per invertire la rotta verso la sostenibilità e la tutela incondizionata della loro terra.
Nei due fratelli era maturata nel tempo la consapevolezza che, se avessero agito insieme agli altri, uniti dallo stesso obbiettivo per la salvaguardia di quella terra d’Irpinia, avrebbero potuto fare davvero tanto.