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Femminicidio …

13.03.2013, Articolo di Giuseppina Di Crescenzo (da “Fuori dalla Rete” – Febbraio 2013, Anno VII, n.1)

Dalla strage delle donne di Ciudad Juared alla richiesta di riconoscimento giuridico come specifico reato e come crimine contro l’umanità.

Spesso, troppo spesso, ultimamente si legge sui media l’espressione “femminicidio”. Il termine femminicidio nasce in occasione della strage delle donne di Ciudad Juared, città di frontiera del nord del Messico in cui dal 1993 ad oggi sono state assassinate circa 400 donne secondo lo stesso rituale: rapimento, tortura, sevizie sessuali, mutilazione, strangolamento[1].

Nato in tale occasione oggi il termine indica la violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, rivolta contro la donna «in quanto donna» perché non rispetta il ruolo sociale impostole: gli omicidi e le violenze basati sul genere, ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine. Non stiamo parlando soltanto degli omicidi di donne commessi da parte di partner o ex partner; stiamo parlando anche delle ragazze uccise dai padri perché rifiutano il matrimonio che viene loro imposto o il controllo ossessivo sulle loro vite, sulle loro scelte sessuali; e stiamo parlando pure delle donne uccise dall’AIDS, contratto dai partner sieropositivi che per anni hanno intrattenuto con loro rapporti non protetti tacendo la propria sieropositività,; delle prostitute contagiate di AIDS o ammazzate dai clienti, delle giovani uccise perché lesbiche…

Chi ha deciso la loro condanna a morte? Certo il singolo uomo che si è incaricato di punirle o controllarle e possederle nel solo modo che gli era possibile, uccidendole, ma anche la società non è esente da colpe. Diana Russell [2] sostiene che “tutte le società patriarcali hanno usato – e continuano a usare – il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne”.

Ed in Italia qual è la situazione? Cinquantaquattro, nel 2012, le donne morte per mano di uomo. Già otto dall’inizio del 2013. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. E si tratta, quasi sempre, di maltrattamenti e sevizie che durano da anni, subiti e mai denunciati, il più delle volte (quasi sempre) all’interno delle mura domestiche. Le istituzioni nella maggior parte dei casi sono assenti. Meglio, non sono vicine alle vittime di abusi e maltrattamenti. E le strutture, pure previste dall’ordinamento, non funzionano per assenza di fondi.

Ma ciò che deve maggiormente far riflettere sono i pregiudizi ancora presenti. È ancora viva la protesta seguita al volantino che Don Piero Corsi ha affisso in bacheca nella sua chiesa di San Terenzo, in Lerici (SP). Il volantino aveva questo titolo: “Le donne ed il femminicidio facciano sana autocritica. Quante volte provocano?”.

In esso vi è una condanna alle donne considerate le responsabili delle violenze subite dalle stesse. A contrario l’uomo è considerato la vittima di una donna troppo autonoma, autosufficiente ed indipendente. Inutile dire che l’azione, e le idee, del parroco di Lerici si commentano da sole. Superfluo dire che, ahimè, non è l’unico a pensarla in tal modo.

Siamo partiti da crimini commessi in centroamerica e siamo giunti ad un fenomeno divenuto concetto giuridico di rilevanza interna ed internazionale: è iniziato il percorso di riconoscimento del femminicidio come crimine contro l’umanità e, dunque, da un ambito locale ad una valenza universale: questo consente di individuare il filo rosso che segna, a livello globale, la matrice comune di ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne, ovvero la mancata considerazione della dignità delle stesse come persone. Non rispettare i diritti delle donne lede l’umanità tutta: tale affermazione pone le basi per la costruzione di relazioni sociali diverse, incentrate sulla Persona in quanto tale e sul reciproco rispetto a prescindere da ogni forma di diversità, sia essa sessuale, etnica, giuridica o ideologica.

Il comitato “Se non ora quando” lancia un appello: “Il Parlamento intervenga per fermare la strage”:

“(…) E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla. (…)”.

Da Petizione Pubblica – on line – “Mai più complici” che invito a sottoscrivere.

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[1] Circa 300 secondo i dati ufficiali, In realtà secondo i dati delle associazioni  che si occupano di tale fenomeno sono oltre 600 le donne scomparse. Sono quasi tutte giovani (di età compresa tra i 15 e i 25 anni),carine, magre e con i capelli lunghi. Tutte provenivano da famiglie povere, quasi sempre operaie.

[2] Criminologa americana, autrice del libro Femicide: The Politics of woman killing. scritto nel 1992 insieme a Jill Radford.


                                                                                                       

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