“Serenata a Monna Lisa”… Quando scatta la sinapsi!
04.03.2013, di Antonio Cella (intervento alla presentazione del libro)
Ora tocca a me. Dedicatemi, per favore, questi ultimi dieci minuti della serata, necessari per esprimere il mio ringraziamento alle persone intervenute alla cerimonia e per parlare di cose non citate nel romanzo. Nel breve intervento, mi lascerò guidare dagli appunti scritti, non perché non sia capace di parlare a braccio, ma per i motivi che seguono.
Quando scatta la sinapsi, quella connessione funzionale tra una cellula nervosa e l’organo periferico di reazione, non sempre si ottiene in modo immediato la reazione programmata, specie nelle persone di una certa età.
E’ il mio caso!
Ormai navigo nel mare della senilità avanzata e, per i motivi appena esposti, mi capita sovente di parare il fianco agli scherzi che la natura riserva ad alcuni anziani. Quello che colpisce la mia persona, oltre all’incedere con andamento cauto, piuttosto lento, è soprattutto l’anomia, quella forma acuta, improvvisa, di momentanea dimenticanza dei nomi di persone e cose che, a volte, mi fa sentire come un idiota, come un estraneo in mezzo a una marea di amici. Anche se poi, degli stessi amici e parenti ricordi a memoria, paradossalmente, il numero di telefono e il giorno del loro compleanno.
Il non ricordare il nome delle persone nel momento giusto è, dunque, la penalità che mi è stata inflitta: cosa assai grave e ingiusta, perché mi espone a sguardi carichi di un misto di curiosità e dispregio e a scandagliamenti introspettivi, da parte delle mie vittime di turno, che mi fanno tremare le palpebre. E, per mettere riparo a tutto questo che faccio? Prima di rivolgermi ad esse indicandole con aggettivi del tipo: “coso”, “guagliò” oppure “bella signora”, mi cimento in una straordinaria spremitura di meningi finché non ottengo il nome proprio delle stesse. E’ sicuramente un lavoraccio.
Quando poi, come in questo momento, devo cimentarmi in argomentazioni di rilevanza culturale, e come quando nei Consigli Comunali devo relazionare su bilanci e conti consuntivi, per vincere l’anomia o, eufemisticamente, l’extrasistole mnemonica, faccio ricorso alla parola scritta che, vi assicuro, è di una comodità incredibile e mette al riparo dalle figuracce.
Fatta questa precisazione, passo immediatamente alla trattazione dell’argomento che ci ha qui riuniti, in questo ex convento di suore dove, da ragazzo, con l’ausilio di un amico, figlio del sacrestano della chiesa, “birbante” quanto me, e con la complicità dell’immagine del “Cuore di Gesù”, che all’epoca stava rinchiusa nella nicchia addossata alla parete a sinistra dell’entrata, facevamo scorpacciate di ostie consacrate fabbricate nel convento dall’ottuagenaria Suor Maria Teresa, sottraendole furtivamente dal tabernacolo prima dell’inizio della messa costringendo, così, nel momento della comunione, vecchi e “bizzoche” di ogni età a restare in ginocchio sul fronte della balaustra con la bocca aperta per lungo tempo, come passerotti in attesa del cibo.
Dove, come, e quando è nato il mio romanzo?
E’ nato in una città incantevole che si chiama Noto, localizzata nella Provincia di Siracusa, da me visitata nel settembre del 2010. Tra i suoi monumenti spiccano, oltre al Duomo e alla chiesa di San Domenico, una miriade di palazzi settecenteschi, nati dopo la distruzione della città vecchia, a causa del terremoto del 1693. Quei caseggiati maestosi sono letteralmente ricoperti di rilievi decorativi di marmo, di legno, di stucco e di metallo, che rappresentano banderuole, emblemi araldici, animali e mostruose figure umane di fattura neo-barocca, eseguiti ad arte dai maestri siciliani dell’epoca.
Le figure che mi hanno veramente affascinato, e che han dato al mio estro narrativo la stura, l’input, per imbastire il lavoro, sono incastonate soprattutto nella struttura delle protomi che sostengono le basi in pietra delle balconate dei menzionati palazzi. Mi hanno fortemente colpito la fantasia da farmele rinascere nell’immaginifica cittadina di Sazzano, dove il protagonista del romanzo, Rocco Gambone, vive la sua storia di uomo di bell’aspetto che piace alle donne: imprenditore agricolo, musicofilo e avvocato a tempo perso.
Tutto il romanzo, come ampiamente commentato negli interventi di chi mi ha preceduto, è imperniato sulla figura di quest’uomo straordinario di buona cultura. Lui discetta di storia, di filosofia, di musica, di religione, ed è preso a tal punto dal suo “presuntuoso sapere” da azzardare giudizi gratuiti sull’operato del Creatore e sul comportamento di Ponzio Pilato meritevole, a suo dire, di una sorte migliore.
Il suo modo di amare le donne è infarcito da un misto di invaghimento e passione, che non hanno nulla in comune con l’amore vero, quello che, come lui stesso asserisce: “… scatena passioni e desideri carnali e ti fa assistere al concerto di migliaia di violini e canto di usignoli”.
L’amore, quello vero, che in ogni essere umano esplode prima o dopo, a prescindere dall’età, gli cammina accanto, di cui lui si accorge soltanto quando, da un esame del profondo dell’anima emerge, prepotente, la figura di Elena, ragazza di sani principi che invoca verso l’uomo, di cui conosce le qualità umane e intellettive, un suo intervento che possa aiutare a risolvere la querelle che vede in lotta i braccianti agricoli di Bisaccia e dell’Alta Irpinia verso i latifondisti del posto, possessori, tra l’altro, di vaste aree di terreni agricoli, incolti e abbandonati. E’ la parte storica del romanzo, questa, dove la realtà è la stessa degli anni cinquanta, così come la si evince dalle cronache riportate nella stampa dell’epoca, che ho pedissequamente osservato e spalmato nelle frame della narrazione.
Qualcuno, dopo la lettura del mio lavoro, mi ha chiesto: “ Non credi di essere stato un tantino blasfemo nel parlare di Dio e delle belle donne volute per completare l’arazzo del paesaggio di Sazzano?”
La mia risposta è stata, ed è, di assoluto diniego.
Non penso che nei giardini dell’Eden l’Onnipotente possa aver usato, come esca per Adamo, il prototipo del corpo di Tina Pica. Se le cose fossero andate così, non avrebbe mai ottenuto quel capolavoro del “peccato originale” e avrebbe lasciato incompleta la sua opera creatrice delle meraviglie del mondo. Avrebbe, inoltre, vanificato anche la venuta di Cristo tra gli uomini: non ce ne sarebbe stato più bisogno in assenza del “peccato”.
Non sono ateo, né materialista. Sono un umile lavoratore della ricerca intellettuale e spirituale, libero dalle servitù, indipendente nel modo di pensare e giudicare. Ho voluto soltanto umanizzare la figura di Dio, ponendola virtualmente tra gli uomini. Sono stato piuttosto audace, questo sì. Evidentemente, la differenza che passa tra me e l’accusatore risiede nel fatto che lui, l’accusatore, è sicuramente un fondamentalista cattolico, ubbidiente alla parola della Chiesa e abituale frequentatore dei riti religiosi. Io no, poiché vedo in Dio la figura del buon padre di famiglia, dell’uomo probo, altruista, del fratello, dell’amico reperibile in ogni istante e in ogni luogo sempre pronto a tendermi le mani, che vive tra la gente e che spesso, nello scorrere del romanzo, cito e invoco con il dovuto rispetto e la dovuta riverenza.
Tutto qui.
Ora smetto di dissertare. Non ho nessuna intenzione di annoiarvi.
Vi ringrazio per avermi onorato della vostra presenza.
Ringrazio, innanzitutto, la D.ssa Rosaria Patrone che mi è stata vicino nelle fasi di rifinitura del romanzo; ringrazio il Prof. Pasquale Sturchio, che ha scritto una simpatica, benevola, sintesi recensiva del mio lavoro; ringrazio il Prof. Paolo Saggese e consorte per il bell’articolo sul giornale “Il Mattino” e per il dotto intervento critico riconducibile al romanzo; ringrazio l’Editore Fortunato Iannaccone che mi ha sopportato con pazienza; ringrazio la Prof.ssa Anna Maria Corso per le belle parole e i complimenti inviati al mio indirizzo di posta elettronica; ringrazio Michele Gatta e Mimmo Nigro, “Deus” di Palazzotenta39, che hanno organizzato l’incontro e pubblicato sul blog dell’Associazione le prime notizie relative alla pubblicazione del libro. E, infine, il mio commosso ringraziamento è rivolto soprattutto verso le persone di Nello Chieffo e Luciano Arciuolo che mi hanno spronato a procedere verso la presentazione del mio modestissimo lavoro che, proprio perché tale, credo non meritasse tanta attenzione.
Grazie a tutti voi.