Storia del Tuccanese, del Mangiaguerra e di altri vitigni bagnolesi
11.01.2013, Articolo di Luca Branca (da “Fuori dalla Rete” – Dicembre 2012, Anno VI, n.5)
Storia del Tuccanese, del Mangiaguerra e di altri vitigni presenti sul territorio bagnolese.
Sembrerà strano ma Bagnoli, oltre che delle castagne, dei tartufi, del pecorino o del caciocavallo, è anche terra del vino. Certo non siamo competitori delle aree vocate della provincia (Taurasi, Tufo, Lapio) ma stranamente la storia ampelografica ci colloca in una buona posizione, meglio e più di tante aree viticole blasonate.
A cosa dobbiamo questa “notorietà”: a due vitigni il Mangiaguerra e il Tuccanese. I bagnolesi più anziani sanno bene di cosa si tratta ma credo sia giusto ricostruire il percorso della vitivinicoltura locale per consentire questa conoscenza anche a quelli più giovani.
INDAGINE AMPELOGRAFICA
L’ex Ispettorato Agrario di Avellino (STAPA-CePICA) sta da alcuni anni effettuando delle indagini per recuperare parte, perché ciò sarà possibile solo in parte, del materiale genetico esistente a livello provinciale sia dei vitigni, sia della frutta maggiormente presente in Irpinia.
Da queste indagini sono scaturite delle informazioni molto interessanti che riguardano Bagnoli Irpino e le sue tradizioni vitivinicole che sarebbe interessante collegare a tutta l’Alta Valle del Calore (Montella, Nusco).
Nel 1875, il Prof. Giuseppe Frojo, componente del Comitato Centrale Ampelografico per conto del Ministero Agricoltura e Foreste, pubblicava la sua “Relazione intorno agli studi ampelografici del Principato Citeriore e del Principato Ulteriore”, corrispondenti alle attuali province di Salerno ed Avellino, nella quale descriveva tutte le varietà di vite che aveva trovato nei vari sopralluoghi effettuati.
In questi dati compariva anche il nostro Comune che con la viticoltura ha sempre avuto poco a che fare.
Di seguito si riporta uno stralcio del lavoro di Frojo relativo a Bagnoli Irpino.
Tabella 1 – Varietà di vite descritte e citate dal Frojo di interesse per Bagnoli Irpino – i nomi in corsivo dopo il tratto sono i sinonimi riportati dall’autore; in parentesi, la località di reperimento.
Altri rilevamenti effettuati da Valagara (1879), dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio – Mi.A.I.C. (1896) e dallo STAPA-CePICA di Avellino (2008-2012) confermano in parte quanto stabilito da Frojo nel 1875.
Soprattutto il lavoro che lo STAPA-CePICA di Avellino si appresta a pubblicare ha consentito di rintracciare alcune delle varietà date per scomparse e strettamente per Bagnoli Irpino sono risultati essere presenti 2 vitigni a bacca nera (Mangiaguerra=Toccanise e Tuccanese=Tuccanese) e due a bacca bianca (Bambino=Uva Tosta e Livido=Verdone), degli altri citati (a bacca nera: Duraca=Chiapparone e a bacca bianca: Cacamosca=Gaglioppo – Marrocca bianca=Morese) non è stato possibile sapere niente.
Tabella 2 – Varietà di vite descritte e citate dalle indagini successive di interesse per Bagnoli Irpino.
CARATTERISTICHE PEDOCLIMATICHE DEL TERRITORIO DI BAGNOLI IRPINO
Alcune informazioni relative al clima e al terreno per capire perché di alcuni vitigni, a Bagnoli Irpino, e non altri.
La nostra area si colloca in una fascia di insolazione dell’indice di Huglin di 1900 ed è pertanto adatta solo a vitigni con una maturazione non tardiva a causa della ridotta insolazione autunnale e all’abbassamento delle temperature.
Tab. 2 – Rapporto tra tipologia di vino e Indice di Huglin
E’, pertanto adatta a produrre vini freschi e leggeri se raccolti presto (da bere nell’anno) o mediamente alcolici (con varietà non tardive) se raccolti entro la seconda decade di ottobre.
Altri fattori che interagiscono con la maturazione delle uve sono legate agli aspetti pedologici del territorio di cui farò una sommaria descrizione.
Il territorio bagnolese è caratterizzato per la parte montana e sub montana (da 650 a 1.800 metri slm) da terreni di origine piroclastica, dovuta alle eruzioni del Vesuvio e dei Campi Flegrei, formatisi e fissati in massima parte su matrice calcarea.
Le zone più basse collinari e pedemontane (450-650 metri slm) da argille e flysch ricoperti spesso da materiale di provenienza montana a seguito del trascinamento a valle.
Le aree interessate dalla viticoltura risultano costituite, pertanto, da terreni di medio impasto tendenti all’argilloso, mediamente profondi, a pH neutro e subalcalino, calcarei, con una media dotazione di sostanza organica e con una buona capacità di scambio degli elementi minerali.
La loro pendenza è mediamente accentuata e l’esposizione è ovest-sud-ovest.
La superficie interessata è molto ridotta essendo l’area pedemontana e collinare costituita da molto meno di 1.000 ettari su un totale di circa 7.000.
I dati della viticoltura dicono che attualmente sono presenti a Bagnoli circa 6 ettari di vigneti ma credo che la situazione reale non superi i 4 ettari.
I VITIGNI PRESENTI A BAGNOLI IRPINO
1. MANGIAGUERRA
Non essendo più presenti viti di Mangiaguerra a Bagnoli (in base alle mie conoscenze attuali) la storia di questo vitigno potrebbe finire sul nascere ma nei circa 130 anni tra l’indagine di Frojo e il lavoro dello STAPA-CePICA di Avellino, si inserisce un ricercatore campano, Giuseppe Murolo, che mettendo insieme una serie di informazioni prese da vari studiosi dell’800 e ‘900 descrive un Mangiaguerra a Bagnoli Irpino in contrasto con altri Mangiaguerra della Campania, perché di Mangiaguerra o supposti tali in Campania ne esistono diversi.
Non è cosa da poco perché il Mangiaguerra è uno dei vitigni campani descritti da Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III Farnese, il quale nel 1500 mandato in Campania per approvvigionarsi di vino cosi ne parlava:
“Viene dal regno di Napoli ed è rosso; ne vengono da Castellamare e da Anglia (Angri). È dolce assai e molto carico di colore, rispetto alla vendemmia tarda che si usa in cotali luoghi, dove non si può vendemmiare per insino a S. Francesco. Tale vino è possente et è matroso et opilativo assai. Sono vini da hosti et da imbriaconi. Alcuni vini non sono di quella grandezza et colore, et Cortigiani et Prelati ne potriano bere, ma sono in generale per incitare la lussuria. S.S. non beveva mai et diceva essere opilativo et generante flemma et motivo di catarro, sicché è mala bevanda.
Siamo di fronte al primo trattato di enologia descrittiva e degustativa della storia.
Pertanto se il Mangiaguerra fosse stato presente nel territorio di Bagnoli Irpino sarebbe stato un vanto da pubblicizzare ampiamente; avere sul proprio territorio un vitigno citato nel ‘500 dal bottigliere del papa sarebbe stato un fatto non indifferente per tutta l’area.
Negli anni ’80, quando ho iniziato la professione di agronomo ho sentito spesso citare il Mangiaguerra da Patrone Pietro il muratore detto “Runatuccio re Ciacciaredda”, che me ne aveva indicato le caratteristiche e riconducendolo ad un aglianico ma a maturazione anticipata – inizi ottobre, cosa che coincide con la descrizione del Lancerio anche se il nostro è un termine di inizio vendemmia e non di fine.
Dopo la morte di “Runatuccio” non mi è stato più possibile risalire al vitigno per farne l’identificazione ma la curiosità era rimasta.
Possibile che il Mangiaguerra di Bagnoli sia quello di Sante Lancerio? Difficile dirlo, oggi.
Intanto non ci è pervenuta la descrizione del vitigno, anche se alcuni caratteri del vino coincidono con quanto da lui riportato (maturazione anticipata, colore scuro).
Più facile, invece, che il Mangiaguerra di Bagnoli Irpino corrisponda al Sangiovese o a un biotipo di Aglianico.
Credo che la correlazione tra i due vitigni possa nascere dalla sinonimia tra Mangiaguerra e Toccanise/Tuccanese riportata dal Valagara nel 1879.
Non essendoci, però, più piante di Mangiaguerra a Bagnoli non è possibile fare un confronto con il vitigno sopravvissuto, il Tuccanese che invece è ancora presente nel nostro territorio.
2. TUCCANESE
Molto interessante è la storia del Tuccanese, conosciuto con identico nome a Orsara di Puglia e lungo la Valle dell’Ofanto (Sant’Andrea di Conza, Calitri) e come Turchinese a Montecalvo Irpino.
Le Caratteristiche del vitigno
Pianta a portamento espanso con foglia pentagonale, glabra; grappolo compatto, cilindrico-piramidale; acino di media grandezza a buccia pruinosa, subrotondo; polpa sciolta e succo rosa. Dalle indagini ampelografiche (2008) effettuate dallo STAPA-CePICA di Avellino il Tuccanese corrisponde a un vitigno italiano molto noto: il Sangiovese.
Il Sangiovese è uno dei vitigni più diffusi in Italia ed è tradizionalmente il vitigno più diffuso in Toscana. Entra negli uvaggi di centinaia di vini, tra i quali alcuni dei più prestigiosi vini italiani: Rosso Piceno Superiore, Chianti e Chianti Classico, Brunello di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, Montefalco rosso e molti altri meno conosciuti ma altrettanto validi, quali il Morellino di Scansano.
Considerata l’orografia del nostro territorio le aree maggiormente interessate alla produzione sono quelle di media-bassa collina o di fondovalle (450-600 metri slm) – San Lorenzo, Rosole, Quercia di Loica, San Donato, ecc. con indice di Huglin 1500-2000 e possibilità di maturazione delle uve a inizi-metà ottobre.
La Produzione delle uve
Ma perché proprio il Sangiovese a Bagnoli Irpino?
Perché le condizioni di maturazione del vitigno Sangiovese (vedi Indice eliotermico di Huglin) consentono una maturazione ottimale delle uve rispetto all’Aglianico che è più tardivo, e più tardi per Bagnoli significa piogge, freddo e (in passato) neve.
Per la verità la data di riferimento per la vendemmia, agli inizi degli anni ’60, cadeva intorno al 18-20 ottobre (San Luca) e questo per ricordi personali collegati alla vendemmia degli Stabile/Russo che si verificava per quella data.
Il Tuccanese è, tuttora, il vitigno maggiormente presente presso alcune famiglie di produttori storici di vino a Bagnoli Irpino.
Foto 1. – Particolare dell’abitazione degli Stabile (Rientiroru) in via Anisio
Foto 2. – Cantina degli Stabile (Rientiroru) all’incrocio tra Via Anisio e la Salita San Domenico
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La Provenienza
Le ipotesi circa la provenienza del Tuccanese, a questo punto, sono due.
- Provenienza pugliese: secondo l’ing. Angelo Russo, il nonno a seguito della distruzione dei vigneti, operata dalla fillossera negli anni prima della seconda guerra mondiale, reimpiantò un vigneto con “maglioccole” di Tuccanese innestate provenienti da Calitri, forse dalla Puglia o da Orsara (Calitri dista da Orsara 80 km) dove è presente lo stesso vitigno (Sangiovese) con il nome Tuccanese.
Questa ricostruzione non risolve, però, l’enigma della presenza del Tuccanese a Bagnoli Irpino attestata dagli stessi Stabile prima del ’40 e, accertata dal Frojo nel 1875, circa 70 anni prima.
- Provenienza toscana: il Tuccanese/Sangiovese potrebbe essere di provenienza toscana in quanto importato dai Majorca-Strozzi, famiglia di origine toscana proprietaria del Ducato di Bagnoli dagli inizi del 1600 fino al 1806, per produrre vino rosso di media-buona qualità adattabile alle condizioni pedoclimatiche del territorio bagnolese; il nome deriverebbe dalla corruzione del termine “Toscanese” ovvero “della Toscana”.
Il Vino
Che vino si produce dal Tuccanese?
Vino di colore rosso rubino tendente allo scuro, di sapore asciutto e tannico con retrogusto amarognolo a volte troppo accentuato, adatto ad essere invecchiato se con buona gradazione alcolica.
Da alcune analisi effettuate nel 2008, su un campione del 2006 dell’azienda Russo, è possibile rilevare alcune (poche) informazioni:
Elevato grado alcolico dovuto anche alla completa fermentazione degli zuccheri (inferiori a 2 g/l), pH nella norma come pure i valori di acidità totale e volatile.
Come migliorare il Tuccanese
Facendo attenzione a. all’epoca di vendemmia (II° metà di ottobre) attraverso una verifica del grado zuccherino delle uve; b. allo svolgimento delle temperature di fermentazione.
3. BAMBINO O UVA TOSTA
Uva bianca a grappolo chiuso di medio-grossa dimensione, di provenienza incerta, segnalata in Irpinia anche a Paternopoli dove c’è ancora una discreta presenza.
A Bagnoli il Bambino era presente presso l’azienda Farese Rocco, oggi credo ne restino poche piante presso altre aziende (?).
Sicuramente sarebbe interessante poter confrontare il Bambino di Bagnoli con quello di Paternopoli per valutarne le differenze.
In passato si è parlato di Bambino come di sinonimo di Bombino bianco, l’analisi genetica effettuata dallo STAPA-CePICA di Avellino non lo ha confermato, parliamo quindi di una varietà a se stante.
Anche in questo caso non è possibile definire con certezza la varietà perché non è stato possibile verificarla.
4. LIVIDO
Attualmente a Bagnoli ne resta una sola pianta, presso l’azienda Farese Rocco (Rocco ‘r Letca) a “Fontana Vuddi”.
Ritengo sia un vitigno molto interessante per il nome (Livido o Verdone) e suppongo per il colore. Anche in questo caso non è possibile avere indicazioni sugli aspetti qualitativi del vitigno non essendoci le condizioni per almeno una microvinificazioni (100-120 kg di uva).
CONCLUSIONI
Cosa possiamo trarre da queste informazioni:
- Il Mangiaguerra potrebbe essere il Sangiovese, vitigno toscano da cui si ottiene il Chianti e altri nobili vini, il cui nome, forse, deriverebbe da “mangiameruli” ovvero “mangiato dai merli” perché dolce e a maturazione precoce – inizi di ottobre;
- Il Tuccanese è risultato essere il vitigno Sangiovese, introdotto forse a Bagnoli Irpino quando il paese era ducato dei Majorca-Strozzi, famiglia fiorentina, che per le caratteristiche pedoclimatiche dell’area (autunno freddo e piovoso) l’avranno ritenuto più adatto dell’Aglianico per la produzione di vino con una buona gradazione alcolica. Il nome deriverebbe da Tuscanese o Toscanese (originario della Toscana) da cui la corruzione Tuccanese.
- Il Bambino ovvero Bambino rosa detto a Bagnoli Irpino Uva Tosta sembrerebbe essere una varietà a parte, di cui si conosce poco o niente, da verificare con opportune microvinificazioni, qualora siano disponibili almeno 100-120 kg di uve;
- Il Livido è praticamente un vitigno sconosciuto ma che potrebbe essere interessante sia perché è un vitigno bianco, sia perché il nome Livido o Verdone ne richiama le caratteristiche del colore, aspetto interessante per un vino; anche in questo caso bisognerebbe disporre di un minimo quantitativo di uva per effettuare una microvinificazione;
- Ritengo che vada posta più attenzione alla viticoltura locale (alcuni già lo stanno facendo – vedi la Famiglia Russo) sia perché è un settore che lo merita, ovvero c’è una tradizione ancora viva (quella del Tuccanese), sia perché abbiamo delle peculiarità che vanno preservate e forse potenziate prima che scompaiano (Livido/Verdone – Bambino/Uva Tosta), sia perchè sono un patrimonio locale e bisogna evitare che questi vitigni scompaiano, come forse è successo al Mangiaguerra; infine se le ipotesi di riscaldamento globale sono veritiere nei prossimi anni ci sarà sempre più la tendenza a portare la coltivazione della vite in ambienti che possano avere temperature più miti e un inversione termica giorno/notte tale da garantire un migliore accumulo di zuccheri e una migliore elaborazione degli aromi.
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BIBLIOGRAFIA
1. – Frojo G. – Relazione intorno agli Studi Ampelografici del Principato Citeriore e del Principato Ulteriore. MiAIC – Bullettino Ampelografico. 1875
2. – Valagara R. – Inchiesta agraria governativa. 1879
3. – MiAIC – Notizie e studi intorno ai vini e alle uve d’Italia. 1896
4. – Murolo G. – Note di ampelografia campana: Piedirosso – Strepparossa – Mangiaguerra. 1976
5. – STAPA-CePICA Avellino – Vitigni Storici Irpini – Anno 2008/2012. (lavoro in fase di pubblicazione)
Mail di Rocco Russo:
LEGGENDO L’ARTICOLO STORIA DEL TUCCANESE, MI PASSA PER LA MENTE DA BAMBINO CON I MIEI NONNI ENTRAVO NELLE BOTTI A 6 ANNI PER TOGLIERE IL TARTARO ALLE PARETI DELLE BOTTI, E A VOLTE MI MANCAVA IL RESPIRO.
AL TRASPORTO DELL’UVA CON 10 ASINI DA SAN DONATO A BAGNOLI, QUEL RUMORE SONANTE DEL TORCHIO CHE SI SENTIVA FINO IN PIAZZA, ALLA VENDEMMIA, ALLE 15 BOTTI DI 15QL. DI VINO PIENE.
OGGI LA COUNTRY HOUSENONNAPINA PRODUCE 10 QL.DI VINO TUCCANESE CHE SI PUO’ ASSAGGIARE PRESSO IL PROPRIO RISTORANTE.