C’era una volta a Lafelia …
19.11.2012, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Ottobre 2012, Anno VI, n.4)
In questi giorni mentre migliaia di turisti affollano i monumenti bagnolesi ne resta uno, ciò che fù in principio questa cittadina, abbandonato a se stesso nella sua eterna solitudine e vagamente menzionato durante le visite guidate. Dal parcheggio sul retro della chiesa di S.Giuseppe, dove oramai alla maggior parte dei bagnolesi guardando verso la “Giudecca” sembra di vedere una normalissima collina sorse molti secoli or sono la struttura che diede vita all’odierno centro abitato.
Infatti, sotto una fitta coltre verde, si riescono ancora a seguire i lineamenti delle vecchie mura. Su quella collina culla dell’abitato bagnolese giacciono da più di un millennio dei vecchi ruderi, nonché un grande pezzo di storia bagnolese d’indiscutibile valore.
La struttura era ubicata su “Lafelia” una collina appartenente alla serie di rilievi che cingono la conca in cui sorge il paese. Lo stesso termine “Lafelia” nella lingua longobarda significava fortificazione. Per ripercorrere la storia di quest’antico rudere bisogna ritornare ai tempi dell’Impero Romano d’Occidente , quando nel 476 D.C. venne deposto Romolo Augusto da Odoacre dando vita a una lunga serie d’invasioni barbariche. Una situazione di pace si ebbe solamente nel sesto secolo con lo stanziamento dei Longobardi. La penetrazione di questa popolazione nel territorio irpino si ha sotto il regno del re Alboino che governò dal 568 D.C. al 572 D.C.
I Longobardi essendo pochi amavano sistemare alcune famiglie a guardia dei territori sottomessi. Il primo documento in cui si cita la loro presenza è del 762 D.C. dove Arechi II duca di Benevento parla di un suo “gastaldato” a Montella, ciò implicava la presenza di un castello e quindi di un feudo in questa valle. Probabilmente il castello sorse dopo la caduta del regno longobardo, quando il duca Arechi II e suo figlio diedero vita ad uno stato autonomo tra Benevento e Salerno. Per opporsi alle truppe dei Franchi si ordinò la fortificazione della via che passando per queste terre congiungeva le due città e l’Adriatico al Tirreno. Presumibilmente vennero edificati il castello della Rotonda in località Croci d’Acerno, quello di Bagnoli, rinforzato quello di Montella, quello di Nusco e creata la città fortificata di Conza. Tutte le strutture erano situate a quattro miglia di distanza l’una dall’altra. Ciò avvenne tra il 774 D.C. e il 799 D.C. dato che alla fine di questo periodo è certo che al “gastaldato” di Montella appartenessero più fortificazioni. Troviamo la prima citazione ufficiale del nostro castello in un documento del 901 D.C. con cui venne ceduto ai monaci benedettini insieme a quello montellese. All’epoca doveva trattarsi di una roccaforte con annessa stalla ed edifici rustici dominanti sui vari boschi e pascoli nelle vicinanze. In questo documento Bagnoli era definita “curte” ad indicare la presenza del castello, tuttavia in un documento del 1001 D.C. viene declassata a “locum”; quindi si può dedurre che l’edificio fosse andato in rovina a causa delle invasioni saracene. Sappiamo che in questo periodo furono distrutti tutti i castelli, i monasteri e i centri abitati della zona. Però, venne edificato un nuovo castello tra le montagne di Lioni e Bagnoli detto “Castello pagano” (i cui ruderi erano ancora visibili ai tempi del Sanduzzi). Questo ci porta a dedurre che in un’epoca di distruzione un castello poteva essere eretto solo dagli invasori, inoltre la denominazione “pagano” lascia intendere che non era di religione cristiana e, pertanto, è alquanto probabile che vi furono insediamenti arabi nel territorio. Nel 1197 la Valle del Calore finì nelle mani di Diopoldo conte di Acerra, il quale amava far guerra e spesso veniva inseguito dai nemici fin qui. Pertanto favorì il riunirsi dei vari casali bagnolesi (alcuni presenti sin dal secondo secolo dopo Cristo in quanto assegnati alle sue milizie da Gaio Mario) sotto il castello che aveva ristrutturato. Quindi all’ombra di “Lafelia” sorse la “Giudecca” e il centro abitato fu cinto da mura in alcuni tratti ancora visibili. La zona tutt’ora è conosciuta e denominata “Giudecca” , mentre del vecchio castello si è persa la memoria. Proprio di fianco al castello sorse, anch’essa dimenticata, la casa del grande pittore Andrea D’Asti; i cui dipinti sono contesi ed esposti in mostre all’estero, ma questa è un’altra storia… Quello che al giorno d’oggi è conosciuto come castello venne eretto sul poggio “Serra” solo nel quindicesimo secolo dai Cavaniglia, poiché il paese si era sviluppato in direzione della piazza e “Lafelia” (ormai rudere) non aveva più una posizione centrale. Certamente nella chiesa madre erano conservati tutti i documenti relativi al paese e al vecchio castello, ma andarono completamente distrutti nell’incendio del 1651.
Per accedere al castello al giorno d’oggi ci sono tre vie:
– La prima parte dalla sommità della “Giudecca” da una piazzetta in cui si apre una porta dalla vecchia intelaiatura in legno e che risulta inserita nel complesso di mura che cingono il borgo medioevale. Al di sopra della porta si trovano i ruderi del vecchio edificio sotto un folto strato di vegetazione. Tuttavia, non si può accedere alle rovine: passata la prima porta se ne aprono altre due entrambi chiuse. Quella che si nota in questo punto era la torre più imponente della struttura, di forma quadrata ed approssimativamente larga due metri e mezzo o tre e alta quattro o cinque metri rispetto al livello della strada. Della torre restano in piedi soltanto due pareti mentre il resto è collassato nel mezzo dello stabile.
– Per giungere alla seconda via d’accesso bisogna percorrere il marciapiede situato sulla “Serra” dal lato in cui si trovano le panchine, finito il marciapiede si apre una piccola scala. Di lì, si nota come la fortificazione dominasse su un vasto panorama che va dal valico delle” croci d’Acerno” a Nusco (all’epoca non c’erano le attuali barriere architettoniche), passando per Ponteromito, Montella e Cassano. Quindi da Lafelia si vedevano le altre fortificazioni erette nella valle. Dal marciapiede possiamo vedere bene anche il castello che si confonde con la natura circostante. La scala è in cemento e non è mai stata del tutto terminata, i gradini sono letteralmente invasi da rifiuti di ogni genere (dai materiali edili all’abbigliamento) e la massiccia presenza di sciami di moscerini indica che sono stati gettati anche rifiuti organici. Il percorso è ostacolato dai numerosi rami che scendono dagli alberi o che sono caduti a terra creando veri e propri sbarramenti. Dopo poco le scale finiscono in un sentiero sterrato molto stretto (riesce a passare una persona alla volta) ed alla destra si aprono varie rampe di scale ricoperte di pietra e in alcuni tratti munite di un passamano lavorato, ma mai pittato e pertanto arrugginito. Presumibilmente si voleva creare un percorso che portasse i visitatori direttamente alla rocca, ma l’opera rimasta abbandonata è caduta in rovina ed è stata inghiottita dalla natura. Salendo queste gradinate si può ammirare la maestosità dell’edificio notevolmente sviluppato in altezza, ma totalmente mimetizzato nella vegetazione. L’edificio sorge proprio a ridosso di una conformazione rocciosa che è parte integrate della struttura. Potevano esserci all’incirca due o tre livelli escludendo i sotterranei. Finite le rampe di scale si giunge sulla sommità, allo stesso livello della piazzetta della “Giudecca” e al primo sguardo appare evidente che la struttura non aveva una notevole larghezza ed era di forma rettangolare con due torri ai lati, non molto sovra-elevate rispetto al corpo centrale. Dalla disposizione dei rovi sembra che il solaio in questo livello sia ancora parzialmente integro. Dai rovi e dall’edera emergono pezzi di muro e filtrano raggi di sole che ricalcano perfettamente la forma di antiche finestre.Riscesi siamo ritornati lungo il sentiero sterrato ed abbiamo continuato il percorso; in questo tratto non doveva passare nessuno da moltissimo tempo data l’ingente quantità di ragnatele in cui ci siamo imbattuti. Il sentiero costeggia l’edificio ed è separato da esso da un mare di rovi che si estende per circa due metri. Speravamo di raggiungere il contrafforte mostrato in una foto di un libro di Tommaso Aulisa, ma il sentiero termina in un bivio: da una parte un precipizio che termina nel cantiere sottostante e dall’altro un inespugnabile barricata di rovi.
– L’ultimo modo con cui avevamo intenzione di raggiungere le rovine era quello di risalire la scarpata che parte dalla località “Santa Maddalena”. Ci siamo pertanto diretti verso questa località scendendo giù dalla “Giudecca”. Venendo dalla piazzetta menzionata come prima punto d’accesso a Lafelia si giunge alle scale accanto la Chiesa, qui s’intravedono perfettamente della mura a cui è annessa una piccola torre seguita da una struttura in rovina a ridosso di un angolo formato dalla fortificazione. L’edificio è un rudere in pietra inagibile essendo collassato il soffitto, sono presenti vari vani, tutti invasi da rovi e rifiuti. Giunti a destinazione la risalita si preannuncia di non poche difficoltà essendo l’unico percorso percorribile costituito dalle rocce che affiorano dal rilievo; tutt’intorno si trova una foltissima vegetazione su un suolo scosceso. Sfortunatamente l’unica via d’accesso al percorso è recintata in quanto è un deposito di legname. Pertanto ci siamo accontentati di scattare foto con lo zoom a quel contrafforte mostrato dall’Aulisa che ora come allora si mostra nelle medesime condizioni. Il blocco di pietre è ancora perfettamente integro, non mostra nessun segno di cedimento ed è ricoperto nella parte superiore di muschio; probabilmente è la parte meglio conservata del castello. Bisogna aggiungere, tuttavia, che nella foto si notavano delle mura dietro questo blocco di pietra che ora sono state coperte dalla vegetazione.
Senza ombra di dubbio la struttura ristrutturata sarebbe la punta di diamante del patrimonio artistico bagnolese. In settore sul quale non si è molto puntato negli ultimi anni, ma che attirerebbe molti visitatori. Il castello che ormai ha più di milleduecento anni si erge imperturbabile nel suo ostinato essere nel corso di secoli e secoli, resistendo a vari terremoti e vedendo passare alle sue spalle generazioni e generazioni di bagnolesi sotto le più svariate dominazioni. L’edificio non necessità di urgenti interventi di manutenzione, infatti la natura l’ha inglobato al suo interno costudendolo fino ai nostri tempi. Quindi è preferibile lasciarlo in questo stato piuttosto di privare la struttura del manto vegetale ed esponendola alle intemperie mediante lavori di ristrutturazione che poi verrebbero lasciati incompleti. Sebbene la realizzazione di questo articolo abbia presentato vari grattacapi, ne è certamente valsa la pena considerando che dopo aver studiato il passato di quelle vecchie rovine che da sempre svettano superbe a difesa dell’abitato si può provare una certa emozione concependone il reale valore.
Le foto (di Federico Lenzi)